Come in tutte le sinistre europee, il tema che divide il partito laburista nel Regno Unito è l’immigrazione. Tra la sinistra metropolitana e le roccaforti operaie del nord dell’Inghilterra, tra i difensori dei diritti universali e i sostenitori di un socialismo radicato, le linee di frattura sono antiche. Tuttavia, solo una settimana dopo la sua grave sconfitta alle elezioni locali contro il partito populista di destra di Nigel Farage, il 12 maggio 2025, il primo ministro Keir Starmer sembra aver scelto da che parte stare. Circondato da diverse bandiere britanniche, il primo ministro ha annunciato una serie di misure molto restrittive e ha dichiarato: «Faremo ciò che avete chiesto, più e più volte, e riprenderemo il controllo delle nostre frontiere.» 1
Questo cambiamento di tono, senza dubbio strategico, è in linea con le misure adottate da diversi partiti di sinistra in Europa, in particolare in Danimarca.
Ma questa evoluzione riveste un’importanza particolare per un motivo fondamentale: a differenza di questo piccolo paese scandinavo, il Regno Unito condivide con la Francia o l’Italia dimensioni simili e un passato caratterizzato da un’apertura culturale e politica al mondo. Capire le scelte operate oltremanica potrebbe quindi alimentare la riflessione della sinistra in Francia e in Europa sulla questione migratoria.
Come in tutte le sinistre europee, il tema che divide il partito laburista nel Regno Unito è l’immigrazione.
Marc Le Chevallier e Renaud Large
La dottrina storica della sinistra sull’immigrazione
Storicamente, la sinistra non è mai stata unanimemente favorevole all’apertura incondizionata delle frontiere. Già Karl Marx associava la figura del lavoratore straniero non integrato alla famosa « riserva industriale di manodopera » 2: una forza lavoro in eccesso che il capitale può mobilitare per abbassare i salari e dividere i lavoratori. Studiando il mercato del lavoro inglese, Karl Marx osservava gli effetti della manodopera immigrata irlandese sulla classe operaia inglese:
A causa della crescente concentrazione della proprietà terriera, l’Irlanda invia la sua popolazione in eccesso sul mercato del lavoro inglese, facendo così diminuire i salari e degradando le condizioni morali e materiali della classe operaia inglese. E, cosa più importante di tutte! Ogni centro industriale e commerciale in Inghilterra ha ora una classe operaia divisa in due campi ostili, i proletari inglesi e i proletari irlandesi. […] Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, nonostante la sua organizzazione. È il segreto grazie al quale la classe capitalista mantiene il suo potere. E questa classe ne è perfettamente consapevole 3.
L’immigrazione, quando sfugge al controllo dei sindacati e non è accompagnata da diritti collettivi, diventa una leva di deflazione salariale. Questa intuizione marxista trova eco nei lavori dell’economista americano di Harvard George Borjas 4, che dimostra empiricamente che l’immigrazione non regolamentata può danneggiare i lavoratori locali meno qualificati, in particolare quando i nuovi arrivati non beneficiano delle stesse tutele sociali o sindacali.
I dati (…) indicano che l’immigrazione ha un impatto significativo sui redditi dei lavoratori autoctoni. In particolare, un aumento del 10% dell’offerta di lavoratori in un determinato gruppo di competenze riduce i salari dei lavoratori di quel gruppo di circa il 3-4%. Questo effetto negativo è particolarmente marcato tra le persone senza diploma di scuola secondaria, che sono le più esposte alla concorrenza degli immigrati per i posti di lavoro 5.
Prima della svolta neoliberista degli anni ’80, nella maggior parte dei paesi occidentali, la richiesta di apertura delle frontiere era sostenuta principalmente dalle organizzazioni padronali, preoccupate di garantire un approvvigionamento costante di manodopera a basso costo. Al contrario, molti sindacati, in particolare in Francia con la CGT, chiedevano una rigorosa regolamentazione dei flussi migratori e la presenza dei sindacati negli organi di selezione dei lavoratori stranieri 6.
La sinistra non è mai stata unanimemente favorevole all’apertura incondizionata delle frontiere.
Marc Le Chevallier e Renaud Large
Nel 1919, alla conferenza di Berna, la grande maggioranza dei sindacati europei, tra cui quelli francesi, britannici e tedeschi, dichiararono:
Ogni Stato potrà limitare temporaneamente l’immigrazione in periodi di depressione economica, al fine di proteggere sia i lavoratori autoctoni che quelli emigranti; ogni Stato ha il diritto di controllare l’immigrazione nell’interesse della salute pubblica e di vietarla per un certo periodo; gli Stati possono esigere che gli immigrati sappiano leggere e scrivere nella loro lingua madre, al fine di proteggere l’istruzione popolare e rendere possibile l’applicazione efficace della legislazione del lavoro nei settori industriali che impiegano lavoratori stranieri; gli Stati si impegnano a introdurre leggi che vietino l’assunzione di lavoratori a contratto per lavorare all’estero, al fine di porre fine agli abusi delle agenzie di collocamento private. È vietato il contratto di assunzione preliminare; gli Stati si impegnano a redigere statistiche sul mercato del lavoro sulla base delle relazioni pubblicate dalle borse del lavoro e a scambiarsi informazioni tramite un Ufficio centrale internazionale. Tali statistiche saranno comunicate in modo specifico alle organizzazioni sindacali di ciascun paese.
L’obiettivo non era quello di escludere, ma di integrare pienamente questi lavoratori nel mercato del lavoro nazionale, per evitare forme di sfruttamento eccessivo e garantire una reale parità di accesso ai diritti.
Il paradigma danese
Questa attenzione alla giustizia sociale e alla coesione nel mondo del lavoro rimane un punto di riferimento importante per coloro che, a sinistra, vogliono coniugare solidarietà internazionale e tutela delle condizioni di lavoro.
L’esempio contemporaneo della Danimarca illustra un approccio socialdemocratico alla regolamentazione dell’immigrazione, il cui obiettivo dichiarato è quello di preservare la coesione sociale e lo Stato sociale. Sotto la guida di Mette Frederiksen dal 2019, i socialdemocratici danesi hanno adottato una politica migratoria rigorosa, che combina posizioni economiche di sinistra con misure severe in materia di immigrazione. Questo «paradigma danese» si basa sull’idea che la protezione delle classi popolari richiede un controllo rigoroso dei flussi migratori per evitare pressioni sui salari e sui servizi pubblici 7. L’allora ministro dell’Immigrazione, Mattias Tesfaye, è stato uno dei principali artefici di questa politica. Figlio di un rifugiato etiope, sosteneva che i lavoratori poco qualificati fossero i più colpiti dall’immigrazione incontrollata. Questo orientamento ha permesso ai socialdemocratici di riconquistare il sostegno degli elettori popolari, riducendo al contempo l’influenza dell’estrema destra. Integrando i lavoratori immigrati nel tessuto sociale e proteggendo al contempo le conquiste sociali, il modello danese è un tentativo di conciliare giustizia sociale e controllo dell’immigrazione.
Ma la Danimarca non è paragonabile alle grandi potenze europee. Questo è uno degli argomenti spesso addotti per screditare il « paradigma danese ». Essendo un piccolo paese con 6 milioni di abitanti, la pressione migratoria è storicamente più debole. La Danimarca, pur avendo un lungo litorale, è maggiormente protetta dalla sua posizione settentrionale. Infine, il paese dispone di un modello sociale specifico della Scandinavia.
Il «paradigma britannico» che si sta delineando potrebbe essere esportato più facilmente nel resto d’Europa rispetto al modello danese.
Marc Le Chevallier e Renaud Large
Al contrario, il caso del Regno Unito offre insegnamenti molto diversi per il continente europeo. L’Inghilterra, considerata separatamente dal Regno Unito, presenta caratteristiche simili alle grandi potenze dell’Europa continentale, come Germania, Francia, Italia o Spagna. Con 57 milioni di abitanti, ha una popolazione simile a quella dell’Italia (circa 60 milioni) o della Francia, senza i territori d’oltremare. Dal punto di vista geografico, l’Inghilterra presenta una densità urbana, una diversità regionale e un’intensità di mobilità interna simili a quelle della Germania o della Spagna. In termini di pressione migratoria, l’Inghilterra deve affrontare dinamiche simili a quelle della Francia o della Germania: un’immigrazione economica e familiare significativa, dibattiti ricorrenti sull’integrazione, campi di transito informali e una domanda di asilo sostenuta. Per quanto riguarda le frontiere, l’Inghilterra, come la Francia, la Spagna o l’Italia, dispone di un lungo litorale — oltre 3 000 chilometri — che la rende un importante punto di accesso marittimo.
In altre parole, il «paradigma britannico» che si sta delineando attorno alla politica migratoria di Keir Starmer potrebbe essere esportato più facilmente nel resto d’Europa rispetto al modello danese.
Dal New Labour al Blue Labour: l’evoluzione della dottrina migratoria laburista
Sotto Tony Blair (1997-2007), il New Labour adotta una linea liberale sull’immigrazione, percepita come una leva economica e culturale.
Nel 2004, il suo governo decide di aprire immediatamente il mercato del lavoro britannico ai cittadini dei paesi dell’Europa orientale che entrano nell’Unione (Polonia, Lituania, ecc.), senza periodo transitorio. Questa decisione porta a un’immigrazione massiccia – oltre 600.000 persone in due anni – giustificata dalla necessità di manodopera e dalla volontà di modernizzazione 8. Blair istituì inoltre nel 2002 il Highly Skilled Migrant Programme e sostenne gli studenti stranieri.
Con Gordon Brown (2007-2010), il tono cambia leggermente. Nel 2008 introduce un sistema a punti per i lavoratori extracomunitari, ispirato al modello australiano, e afferma la priorità dei «British jobs for British workers» (lavori britannici per i lavoratori britannici), una formula criticata all’epoca per il suo tono nazionalista 9. Mantiene una politica globalmente aperta, insistendo però sull’integrazione e sulle competenze economiche.
Ed Miliband (2010-2015) costituisce una parentesi innovativa nella dottrina laburista in materia. In un discorso del 2012, riconosce che il Labour ha «sbagliato» a minimizzare l’impatto dell’immigrazione, in particolare sui salari dei lavoratori poco qualificati 10. Promette di limitare il ricorso alla manodopera straniera nel settore pubblico, impone test di inglese più severi per gli immigrati e propone di rafforzare i controlli sullo sfruttamento dei lavoratori stranieri, cercando di ricollegare il Labour alle classi popolari preoccupate per gli effetti della globalizzazione. L’ascesa della corrente Blue Labour, guidata da Lord Maurice Glasman negli anni 2010, è stata il sintomo di una presa di coscienza: le classi popolari legate alla sicurezza, ai confini e all’appartenenza culturale si stavano allontanando da un Labour percepito come elitario e distaccato dalla realtà. Oggi, la ritrovata influenza del Blue Labour è evidente nel gabinetto Starmer, in particolare sulla politica migratoria.
Questa parentesi si conclude con la presa del potere del partito da parte di Jeremy Corbyn (2015-2020), la cui linea torna ad essere più aperta e favorevole ai diritti dei migranti. Corbyn critica le politiche restrittive dei conservatori, come le «hostile environment policies» di Theresa May, e difende la libertà di circolazione, anche dopo la Brexit 11. Tuttavia, la vittoria del Leave nel 2016 pone il Labour di fronte a una contraddizione: il suo elettorato è profondamente diviso tra le grandi città filoeuropee e le ex roccaforti operaie favorevoli a un controllo più stretto dell’immigrazione. Corbyn cerca di conciliare queste posizioni proponendo nel 2019 un sistema «giusto e basato sulle esigenze economiche», senza tornare esplicitamente sulla libertà di circolazione 12. Ma questa ambiguità diventa un handicap: il Labour appare inadeguato alla nuova realtà post-Brexit, in cui la sovranità migratoria è diventata una richiesta centrale per gran parte dell’elettorato. La vaghezza della posizione laburista – il rifiuto di difendere pienamente la chiusura, senza affermare una linea chiara di apertura – contribuisce al suo crollo elettorale nel 2019. La Brexit mette a nudo le difficoltà del Labour nel definire una dottrina migratoria chiara e coerente in un Regno Unito in mutamento.
L’ascesa della corrente Blue Labour, guidata da Lord Maurice Glasman negli anni 2010, è stata sintomatica di una presa di coscienza: le classi popolari legate alla sicurezza, ai confini e all’appartenenza culturale si stavano allontanando da un Labour percepito come elitario e distaccato dalla realtà.
Marc Le Chevallier e Renaud Large
Keir Starmer o la possibilità di una sinistra post-Brexit
Inaugurando il primo governo laburista post-Brexit, Starmer deve inventare una nuova grammatica della sinistra sul tema dell’immigrazione.
Sin dal suo insediamento, ha annullato il controverso piano di espulsione verso il Ruanda, definendo questa politica «morta e sepolta» 13. Al suo posto ha istituito il Border Security Command, un’unità che coordina gli sforzi dell’Immigration Enforcement, dell’MI5, della Border Force e della National Crime Agency per combattere le reti di trafficanti che facilitano gli attraversamenti illegali della Manica.
Di fronte all’ascesa del partito populista di Nigel Farage, Reform UK, e ai risultati deludenti delle elezioni locali e legislative parziali del maggio 2025, Starmer ha annunciato una serie di riforme volte a ridurre in modo significativo l’immigrazione netta.
Tra le misure chiave figurano l’estensione del periodo richiesto per ottenere lo status di residente permanente da cinque a dieci anni, il rafforzamento dei requisiti linguistici e di istruzione per i visti per lavoratori qualificati, il divieto per gli operatori sanitari di assumere lavoratori stranieri, l’introduzione di carte d’identità digitali per i cittadini stranieri, la priorità alla residenza per i migranti che contribuiscono attraverso le tasse, il servizio pubblico o lavori altamente qualificati, l’istituzione di un legame diretto tra la formazione dei lavoratori nazionali e il ricorso alla manodopera straniera in alcuni settori, rendendo quest’ultimo condizionato all’effettiva attuazione della prima. Starmer ha difeso questi cambiamenti come necessari per la coesione sociale e la sostenibilità economica, ispirandosi al paradigma danese.
Keir Starmer afferma che l’immigrazione di massa non è un fenomeno subìto, ma il prodotto diretto e «deliberato» del modello economico conservatore.
Marc Le Chevallier e Renaud Large
Queste riforme hanno suscitato critiche da vari schieramenti politici.
I membri del Partito Laburista hanno espresso preoccupazione per un possibile allontanamento dai valori progressisti, mentre i partiti dell’opposizione hanno messo in guardia contro gli effetti negativi su settori quali la sanità e l’istruzione. Inoltre, gruppi per la difesa dei diritti delle minoranze hanno denunciato una retorica ritenuta stigmatizzante, in particolare quando Starmer ha dichiarato che il Regno Unito rischiava di diventare un’«isola di stranieri» 14.
In un paese con una lunga storia di apertura al mondo come il Regno Unito, come ha giustificato il primo ministro britannico le sue misure?
A sinistra, l’immigrazione è innanzitutto una questione economica
Per capire la critica di sinistra all’immigrazione nel Regno Unito, non si può ignorare un elemento centrale: il Paese è uno dei più liberali d’Europa e presenta uno dei tassi di disuguaglianza sociale più elevati.
Questa situazione non ha smesso di peggiorare negli ultimi quindici anni.
I conservatori hanno applicato senza moderazione il loro programma, facendo precipitare milioni di persone in una povertà cronica.
Di conseguenza, sempre più britannici si sono trovati esclusi dal mercato del lavoro, in gran parte a causa di malattie fisiche o mentali di lunga durata. In assenza di sostegno da parte dei servizi pubblici, una parte crescente della popolazione viene lasciata indietro, proprio mentre il mercato del lavoro rimane sotto pressione.
In questo contesto, Keir Starmer afferma che l’immigrazione di massa non è un fenomeno subìto, ma il prodotto diretto e «deliberato» del modello economico conservatore. Definendo i conservatori «il partito del mercato non regolamentato», li accusa di aver privilegiato la facilità di reclutare manodopera all’estero piuttosto che «fare il lavoro difficile sulla formazione professionale […] sulla riforma del sistema sociale […] sulle opportunità per i nostri giovani» 15. In altre parole, solo l’immigrazione di massa avrebbe permesso di mantenere in piedi un’economia basata sull’abbandono di milioni di propri cittadini.
Di fronte a ciò, i laburisti rivendicano una risposta di sinistra radicata in una visione morale del lavoro.
Nella nuova narrativa laburista, il controllo dell’immigrazione sarebbe una leva di solidarietà e giustizia sociale.
Marc Le Chevallier e Renaud Large
Partito dei «lavoratori» 16, secondo Starmer il Labour avrebbe il dovere morale di ridare opportunità di lavoro agli emarginati. Ispirato dalle riflessioni della corrente Blue Labour, il partito insiste sulla centralità del lavoro non solo come mezzo di sussistenza, ma come fondamento della dignità umana. Come riassume l’ex deputato laburista Jon Cruddas: «Il lavoro ha la precedenza sul capitale, quindi è necessario mettere in atto misure di protezione per fermare le violazioni della dignità umana, in particolare la disoccupazione, le disparità salariali, la precarietà del lavoro e gli sconvolgimenti tecnologici» 17.
In questa prospettiva, limitare l’immigrazione non è un atto di chiusura identitaria, ma uno scontro politico con il modello ultraliberista dei conservatori. È un atto di rottura, un tentativo di riprendere il controllo delle condizioni economiche a favore dei più vulnerabili. Per questo motivo, a partire dall’estate del 2024, il governo laburista ha voluto instaurare un legame diretto tra la formazione dei lavoratori nazionali e il ricorso alla manodopera straniera in alcuni settori, rendendo quest’ultimo aspetto strettamente subordinato al primo. L’obiettivo è chiaro: obbligare le imprese a investire nel capitale umano nazionale piuttosto che in manodopera a basso costo.
Così reinterpretato, il controllo dell’immigrazione non sarebbe né un fine in sé né un ripiegamento su se stessi: nella nuova narrativa laburista, sarebbe piuttosto una leva per la solidarietà e la giustizia sociale.
Riprendere il controllo: la questione della sovranità a sinistra
Per il governo Starmer, l’ascesa del populismo sarebbe in gran parte spiegata dal senso di impotenza provato da una parte crescente dell’elettorato di fronte a un mondo percepito come caotico e incontrollabile. Il mondo che ci circonda non sembrerebbe più controllabile: sarebbe incomprensibile e quindi spaventoso.
Per molti elettori tentati dal voto Reform UK, sono quasi quarant’anni che subiscono, senza poter agire, gli effetti di una brutale deindustrializzazione. L’immigrazione, legale o illegale, diventa quindi, nella loro percezione, il simbolo più visibile di questa perdita di controllo sul proprio destino. Non è tanto la presenza dei migranti a preoccupare, quanto l’impressione che le decisioni vengano prese senza di loro e non per loro.
Starmer è ben consapevole di questo senso di caos. Quando commenta i dati sull’immigrazione netta per il 2023 – quasi un milione di persone – non parla semplicemente di statistiche, ma di percezione politica: «Non è il controllo, è il caos» 18.
I tentativi del Partito Laburista di riposizionarsi sulla questione dell’immigrazione potrebbero allontanare la sua base tradizionale senza attirare gli elettori di Reform UK.
Marc Le Chevallier e Renaud Large
In quest’ottica, l’inasprimento delle norme sull’immigrazione non sarebbe solo una risposta in termini di numeri: si tratterebbe soprattutto di un gesto politico, volto a dimostrare agli elettori che possono riprendere il controllo su questioni che fino ad ora erano loro completamente sfuggite. Come afferma nel suo discorso: «Non è solo una questione di numeri», ma anche un modo per onorare lo spirito della Brexit: «Manterremo ciò che avete chiesto, più e più volte, e riprenderemo il controllo delle nostre frontiere» 19.
Il controllo dell’immigrazione sarebbe quindi una questione sia di giustizia sociale che di sovranità democratica, poiché la sinistra non ha solo il compito di garantire l’uguaglianza dei redditi, ma innanzitutto l’uguaglianza del potere. Si tratterebbe di restituire ai cittadini la sensazione di poter influire collettivamente sulle grandi dinamiche che plasmano la loro vita quotidiana. Da questo punto di vista, il controllo dei flussi migratori non sarebbe in contraddizione con i valori della sinistra, ma ne sarebbe una coerente estensione.
Effetti politici limitati… per ora
Le dichiarazioni di Keir Starmer sull’immigrazione non hanno tuttavia prodotto gli effetti elettorali sperati dal Partito Laburista.
Secondo un sondaggio YouGov pubblicato nel maggio 2025, la sua popolarità è scesa a un livello storicamente basso, con solo il 23% di opinioni favorevoli contro il 69% di opinioni sfavorevoli, ovvero un netto -46, il più basso mai registrato per lui. Il calo è particolarmente marcato tra gli elettori laburisti del 2024, il 50% dei quali ora esprime un’opinione sfavorevole nei suoi confronti, contro il 33% del mese precedente 20.
Allo stesso tempo, il sostegno a Reform UK, guidato da Nigel Farage, ha raggiunto livelli record.
Un sondaggio Freshwater Strategy/City AM indica che il partito raccoglie ora il 32% delle intenzioni di voto, superando il Partito Laburista al 22%. Questo progresso è attribuito in parte alla percezione che Reform UK stia adottando una posizione più ferma sull’immigrazione, un tema che preoccupa il 43% degli elettori, subito dopo l’inflazione e il costo della vita 21.
Pertanto, nonostante gli sforzi del Partito Laburista per attirare gli elettori di Reform UK, i risultati sono deludenti. Un sondaggio YouGov rivela che solo il 4% degli elettori di Reform UK intende votare per il Partito Laburista, mentre il 79% esclude questa possibilità. Inoltre, l’80% degli elettori di Reform UK percepisce Starmer come favorevole all’immigrazione, nonostante i suoi recenti annunci restrittivi. Questi dati suggeriscono che i tentativi del Partito Laburista di riposizionarsi sull’immigrazione potrebbero allontanare la sua base tradizionale senza attirare gli elettori di Reform UK 22.
Questo divario tra il segnale politico inviato e la risposta elettorale immediata ricorda una legge tacita della politica contemporanea: gli effetti della comunicazione sono immediati, ma la credibilità non si decreta — si costruisce.
Per la sinistra britannica, l’immigrazione non è più un tabù, ma non è nemmeno un totem. È oggetto di un continuo compromesso tra pragmatismo elettorale, vincoli economici e fedeltà ai valori storici del partito.
Marc Le Chevallier e Renaud Large
Oggi il Labour può apparire opportunista o in contrasto con una parte della sua base storica, il che rende la transizione di immagine ancora più delicata. Tuttavia, se alle parole seguiranno i fatti e se si manterrà una linea coerente nel tempo, è possibile che questa strategia dia i suoi frutti nel lungo periodo. La sinistra britannica, a lungo considerata ingenua o lassista sulle questioni migratorie da alcuni segmenti dell’elettorato popolare, potrebbe ritrovare ascolto se riuscirà a dimostrare pazienza strategica. Ci vorrà quindi ben più di un discorso o di un annuncio forte perché gli elettori di Reform UK riconsiderino la loro posizione. Secondo il detto consacrato, «un politico pensa alle prossime elezioni e uno statista alla prossima generazione». La posta in gioco non è tanto un’operazione di seduzione immediata quanto un profondo ripristino della competenza percepita del Labour sui temi regali.
In questo caso, regolamentare senza cadere nella xenofobia e controllare senza rompere con l’umanesimo sono sfide che il Labour al potere dovrà affrontare nel lungo periodo.
Note
- PM remarks at Immigration White Paper press conference: 12 May 2025.
- Karl Marx, Il capitale, Libro I, capitolo 25.
- Karl Marx e Friedrich Engels, Correspondance, volume 10 (1869-1870), Parigi, Éditions sociales/Gallimard, 1984 citato in Bassem Asseh e Daniel Szeftel, «La gauche et l’immigration. Retour historique, perspectives stratégiques», Fondation Jean Jaurès, 24 gennaio 2024.
- Si veda su questo argomento : George J. Borjas, Immigration Economics, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2014.
- George J. Borjas, « The Labor Demand Curve Is Downward Sloping: Reexamining the Impact of Immigration on the Labor Market », Quarterly Journal of Economics, Vol. 118, No. 4 (Nov. 2003), pp. 1335–1374.
- Si veda su questo argomento: Bassem Asseh et Daniel Szeftel, «La gauche et l’immigration. Retour historique, perspectives stratégiques», Fondation Jean Jaurès, 24 janvier 2024.
- Si veda su questo argomentot: Renaud Large, Ambitieux sur les retraites, ferme sur l’immigration: le modèle social-démocrate danois (2016-2022), Fondation Jean-Jaurès, 12 janvier 2023.
- Nicholas Watt, Patrick Wintour, «How immigration came to haunt Labour: the inside story», The Guardian, 24 marzo 2015.
- Deborah Summers «Brown stands by British jobs for British workers remark», The Guardian, 30 gennaio 2009.
- Labour Press, Ed Miliband speech to IPPR, 22 giugno 2012.
- «Britain’s Corbyn rejects call for EU immigration curbs at party conference», Euractiv, 29 settembre 2016.
- General election 2019: Jeremy Corbyn rules out ‘arbitrary’ immigration target – BBC News
- Sir Keir Starmer confirms Rwanda plan ‘dead’ on day one as PM – BBC News
- David Miller, «Keir Starmer’s “island of strangers”», The New Statesman, 17 maggio 2025.
- PM remarks at Immigration White Paper press conference
- Peter Walker, «‘Working people’ definition is work in progress for No 10», The Guardian, 25 ottobre 2024.
- The Dignity of Labour – Together For The Common Good
- PM remarks at Immigration White Paper press conference
- Ibid.
- Dylan Difford, «Keir Starmer falls to lowest net favourability rating on record, while positivity towards Nigel Farage and Reform UK rises», YouGov, 16 maggio 2025.
- Fonie Mitsopoulou, «Reform UK tops latest City AM poll as Nigel Farage’s approval ratings climb», City AM, 13 maggio 2025.
- Matthew Smith, «Who thinks Keir Starmer is anti-immigration?», YouGov, 21 maggio 2025.