Il divario di Kamala Harris dai risultati ottenuti da Joe Biden contro Donald Trump nel 2020 è impressionante. Secondo CNN, in nessuna delle contee osservate ha superato il punteggio dell’ex candidato democratico. Quanta parte della responsabilità di questo storico fallimento è da attribuire al processo di selezione che ha portato il Partito Democratico a nominare Kamala Harris, e quindi al Presidente Biden?

Joe Biden deve assumere la propria enorme responsabilità. In primo luogo, non ha voluto organizzare la messa al bando di Donald Trump dalla vita politica dopo il tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio 2021. Se ha nominato un procuratore generale così cauto e così poco attivo nel portare il caso di Trump davanti alla giustizia, è perché lui e altri come Mitch McConnell, il leader dei Repubblicani al Senato, pensavano che la gravità delle sue azioni avrebbe squalificato definitivamente Trump agli occhi del popolo americano. Non è andata così.

A differenza di Lula e dei giudici brasiliani, Biden non si è reso conto della portata di questa ribellione di estrema destra?

Se ne reso conto, ma troppo poco e troppo tardi. Trump è tornato al potere. Se questo è successo, è anche e soprattutto perché Biden, invece di decidere di fare un solo mandato, come gli imponeva l’età, e di facilitare la transizione verso una nuova generazione all’interno del Partito Democratico, ha fatto esattamente il contrario. Appena arrivato alla Casa Bianca, ha blindato il partito e riorganizzato l’ordine delle primarie per assicurarsi la candidatura democratica per un secondo mandato.

Joe Biden deve assumere la propria enorme responsabilità.

Patrick Weil

È stata la sua disastrosa performance durante il dibattito del 27 giugno, che ha dimostrato che probabilmente soffriva di una malattia cronica (forse Parkinson) a costringerlo a ritirarsi dopo le forti pressioni di Nancy Pelosi e Barack Obama. Questi ultimi volevano una convention aperta in cui Kamala Harris avrebbe potuto competere con altri candidati capaci di unire più americani, come Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan, o Mark Kelly, senatore dell’Arizona. Ricordiamo che la stessa Kamala Harris, quando si era candidata alle primarie, aveva ottenuto solo il 6% dei voti e si è ritirata molto presto. Ma Kamala Harris aveva preparato una campagna interna per far adottare la sua candidatura senza concorrenza.

Kamala Harris è intelligente ed ha molte qualità, soprattutto quando si confronta con l’avversario – ha vinto il dibattito contro Trump. È in quelle circostanze che diventa come l’ex procuratore quando affronta avvocati o imputati. Ma ha anche mostrato grandi limiti. Da ottobre c’è stata una sorta di stagnazione nei sondaggi. Quando si è trovata di fronte ad un pubblico, non è riuscita ad affascinarlo. Le mancavano calore, carisma e interazione genuina. Non è stata in grado di dire cosa avrebbe potuto o voluto fare meglio di Biden – avrebbe potuto citare l’inflazione, la vera piaga delle famiglie americane – e soprattutto un programma, una narrazione di ciò che stava offrendo loro. Non si vincono le elezioni solo gridando “Freedom” e “Joy”.

Donald Trump sarà il più anziano Presidente degli Stati Uniti mai eletto. “Make America Great Again” è un motto che sembra basarsi su un’analisi e una diagnosi della decadenza americana rivolta al passato. C’è una nuova dimensione in questa alleanza strutturale con Elon Musk?

A mio avviso, il meeting di Donald Trump a New York aveva qualcosa di simbolico e significativo. Era la sua città e quella di suo padre. C’era una dimensione personale: in un certo senso, gli stava dicendo “Ho avuto successo, e ho portato qui con me il miliardario più ricco del mondo, avanti anni luce in aree tecnologiche chiave che potrebbero rendere l’America di nuovo grande”. Per consentire all’America bianca e dominante, sconfitta nella guerra civile americana, di ritornare ad essere di nuovo grande, non stava semplicemente offrendo un ritorno al passato; con Elon Musk e le sue innovazioni tecnologiche futuristiche, stava offrendo ai cristiani bianchi la prospettiva di impadronirsi del potere globale, collaborando con Putin, che considera un alleato.

Non si vincono le elezioni solo gridando “Freedom” e “Joy”.

Patrick Weil

Il sodalizio tra Trump ed il sudafricano Musk riecheggia quello che Wilson creò nel 1919 con un altro sudafricano, il generale Jan Smuts, membro della delegazione britannica alla conferenza di pace, di cui si era infatuato. Con lui redasse gli Statuti della Società delle Nazioni. Con lui, Wilson immaginava di governare il mondo in nome di Dio e di Cristo, libero dai vincoli della Costituzione americana.

Donald Trump si affida a un passato glorificato per offrire una prospettiva dinamica, il cui grande rappresentante sarebbe Elon Musk. Elon Musk parla agli americani molto più dei fondatori di Facebook o di Google perché, dal punto di vista dell’immaginazione, la creazione di razzi o di auto automatiche ha un impatto molto maggiore. Elon Musk ha avuto un ruolo molto importante nella vittoria di Trump e continuerà ad avere un ruolo simbolico e politico importante durante la sua presidenza.

Ricordo molto bene la campagna elettorale di Trump nel 2016. L’ho seguita da vicino e già nell’estate del 2015 prevedevo ai miei colleghi che avrebbe vinto perché, incredibilmente talentuoso dal punto di vista politico, aveva costruito la sua campagna attorno a tre assi: all’elettorato cristiano che voleva l’abolizione del diritto all’aborto, gli aveva promesso dei “buoni” giudici alla Corte Suprema. All’elettorato razzista che era preoccupato per l’immigrazione, gli aveva promesso un muro al confine con il Messico. E poi c’era un terzo punto. Si era presentato agli elettori dicendo: “Io sono un costruttore”. Strade, treni e ponti sono obsoleti negli Stati Uniti e Trump aveva promesso di investire nelle infrastrutture. Nella sua campagna elettorale del 2024, tutti e tre i filoni sono rimasti: l’impegno per i valori cristiani si è spostato sul rispetto di genere e sul divieto di chirurgia transgender; l’ossessione anti-immigrati rimane il secondo filone; i miglioramenti infrastrutturali sono stati sostituiti dalle attività di Elon Musk e dai progetti che ripristineranno la supremazia mondiale bianca e cristiana – compresa la conquista di Marte.

È terrificante, perché dietro tutto ciò c’è l’idea che non ce ne importa niente degli africani che potrebbero morire per il caldo. Gli americani creeranno tutte le tecnologie necessarie per proteggere i migliori tra di loro. E della democrazia, e del resto del pianeta, non ce ne può importare di meno.

Tra il 2016 e il 2024, i miglioramenti infrastrutturali sono stati sostituiti dalle attività e dai progetti di Elon Musk che riporteranno i bianchi cristiani alla supremazia globale – compresa la conquista di Marte.

Patrick Weil

Per Kamala Harris è stato difficile di assumere il bilancio di Biden. Non aveva una vera e propria narrativa. Molti pensavano che avrebbe incarnato le idee “woke”, di politica identitaria o di discriminazione positiva. In realtà, il messaggio della sua campagna non è stato affatto questo: Kamala Harris ha enfatizzato il suo background borghese molto più che la sua identità di donna nera di origine asiatica.

Kamala Harris ha condotto una campagna molto universalistica. Non ha fatto affermazioni sul suo genere o sul colore della sua pelle. Ma non si può fare a meno di pensare che una parte dell’elettorato che ha votato per Biden non volesse votare per una donna nera di classe media. Trump l’ha definita tale e i Democratici sono identificati come il partito delle minoranze. Il Partito Democratico non poteva cambiare questa percezione con una campagna di due mesi. La coalizione democratica si è divisa anche sulla questione della guerra tra Israele e Gaza.

I Democratici dovranno farsi un esame di coscienza e ripensare il loro intero programma. Continuare con questo approccio universalistico è ciò che dovrebbero fare per ricostruirsi. La CNN ha riferito la sera delle elezioni che l’80% dei bianchi non laureati ha votato per Trump. Il 20% degli americani è al di sotto della soglia minima per leggere e comprendere un testo (Level-1 literacy). Naturalmente hanno votato per Trump. L’istruzione è essenziale. Lo vediamo in ogni studio, in ogni Paese. Sono soprattutto le persone che non hanno studiato a votare per i leader populisti.

La Francia si è già trovata in questa situazione di abbandono da parte degli americani: nel marzo 1920.

Patrick Weil

Eppure i Democratici non hanno mai fatto dell’accesso all’istruzione pubblica e all’istruzione gratuita e di qualità fin dalla più tenera età una priorità politica nazionale. Le scuole pubbliche sono in gran parte finanziate da tasse locali o statali basate sui valori delle proprietà vicine o sui redditi dei genitori. Nonostante i sistemi di compensazione, le scuole delle aree più povere degli Stati Uniti ricevono tra il 10% e il 20% in meno di finanziamenti pubblici rispetto a quelle delle aree più ricche. Ma questa è solo una media e nasconde disparità molto più evidenti. Per non parlare del fatto che gli stipendi più bassi degli insegnanti nelle aree più povere spesso scoraggiano gli insegnanti migliori a trasferirsi in queste zone.

Questo sistema ingiusto, che inizia in tenera età, non ha senso e non può essere compensato dall’affirmative action. È una situazione strutturale che richiede una mobilitazione nazionale e un finanziamento federale. I finanziamenti alla scuola pubblica sono molto popolari e vengono sempre più spesso approvati tramite referendum quando le legislature statali repubblicane li tagliano: martedì, il giorno dell’elezione di Trump, gli elettori di Colorado, Kentucky e Nebraska hanno votato per tagliare i finanziamenti alla scuola privata che erano stati approvati nei loro Stati a scapito delle scuole pubbliche. Questa dovrebbe essere una priorità nazionale per i Democratici.

È ovviamente molto presto, ma è una domanda importante perché il modo in cui questo risultato viene inquadrato a livello europeo giocherà un ruolo chiave anche nell’arena pubblica: quali lezioni si dovrebbero trarre da questa campagna, che ha fallito per il Partito Democratico e che ha funzionato per Donald Trump?

L’impatto immediato per la Francia e l’Europa potrebbe essere l’abbandono o l’accantonamento dell’alleanza atlantica. La Francia si è già trovata in questa situazione di abbandono da parte degli americani, nel marzo 1920. La mancata ratifica del Trattato di Versailles significava la mancata ratifica del trattato di assistenza militare che Stati Uniti e Inghilterra avevano garantito alla Francia in caso di aggressione tedesca. Clemenceau aveva perso la sua scommessa sull’alleanza atlantica. La Francia ricorda ancora quel momento. E grazie al suo status relativamente indipendente nell’attuale Alleanza Atlantica, è nella posizione migliore per contribuire ad una difesa europea indipendente.

Ma il nostro rapporto con gli Stati Uniti rimarrà. Dobbiamo lavorare con i molti americani che condividono i nostri valori. Dobbiamo anche accogliere coloro che vogliono – almeno temporaneamente – sfuggire alla morsa del loro nuovo presidente. Ho diversi amici americani che mi hanno chiesto se possono chiedere asilo in Francia. Il CNRS, gli istituti di ricerca, le università e, più in generale, il Ministero degli Affari Esteri francese dovrebbero ascoltare queste richieste.

Negli Stati Uniti, gli Stati federali avrebbero dovuto gestire il Paese. Oggi non è più così. Il potere presidenziale è stato eccessivamente rafforzato.

Patrick Weil

Ma soprattutto dobbiamo mantenere un rapporto con la maggioranza dei nostri amici americani che resteranno, resisteranno e si mobiliteranno. Ci sono questioni su cui potremmo lavorare insieme: la disuguaglianza, la giustizia fiscale, il riscaldamento globale. Un giorno, l’Europa e gli Stati Uniti si incontreranno di nuovo per progredire insieme su questi temi.

Infine, c’è una questione strettamente franco-americana: l’eccesso di presidenzialismo nelle nostre due repubbliche.

Va ricordato che sia in Francia che negli Stati Uniti, i Presidenti della Repubblica non erano inizialmente previsti come capi dell’esecutivo. Negli Stati Uniti, gli Stati federali avrebbero dovuto gestire il Paese. Oggi non è più così. Il potere presidenziale è stato eccessivamente rafforzato, da ultimo dalla Corte Suprema, che concede al presidente americano un’immunità altamente protettiva. In Francia, secondo la Costituzione, il Presidente non ha alcun potere – ma detiene tutte le leve se ha una maggioranza parlamentare. Negli Stati Uniti, come in Francia, i presidenti controllano e soffocano l’apparato del proprio partito. È tempo di riflettere su queste questioni istituzionali e forse di chiedersi se il sistema presidenziale sia compatibile con l’evoluzione delle nostre democrazie. I cittadini si stanno allontanando dal sistema presidenziale sclerotico, con i suoi vincoli di fedeltà. Sebbene non sia ancora chiaro se i Democratici o i Repubblicani controllino la Camera dei Rappresentanti, Trump ha vinto il voto popolare perché molti dei suoi elettori hanno votato democratico per la Camera dei Rappresentanti. Nancy Pelosi, l’ex speaker della Camera dei Rappresentanti, non solo non li ha spaventati – la sua vasta conoscenza locale, la sua capacità di unire i democratici di tutte le convinzioni e di raccogliere fondi hanno certamente contribuito al buon risultato democratico alla Camera. Lo stesso desiderio di un contrappeso è stato espresso in Francia contro i candidati del partito presidenziale alle elezioni legislative del 2022 e del 2024. Ma questo sistema istituzionale offre ai cittadini scelte limitate. Eleggere un Presidente e poi limitarne i poteri perché siamo costretti a fargli completare il suo mandato, anche quando non è più adatto, non è più un buon sistema.