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Trump è ora il presidente eletto degli Stati Uniti. Com’è l’atmosfera in Estonia?
Calma.
Avevate previsto questo scenario?
Siamo sempre pronti ad affrontare qualsiasi scenario. In un sistema politico come quello degli Stati Uniti, dove la scelta è tra due candidati, ogni alleato mantiene ampie relazioni con le forze politiche di entrambi i partiti, sia al potere che all’opposizione.
Questa volta le cose sono un po’ diverse: Trump è già stato Presidente. Abbiamo avuto un rapporto coerente con la sua amministrazione nei quattro anni in cui è stato in carica e, poiché le elezioni erano state considerate come potenzialmente molto combattute, noi, come ogni altro Paese del mondo, ci siamo preparati al meglio.
Che cosa significherà concretamente questo secondo mandato per l’Estonia?
I fondamenti della politica estera estone non sono cambiati da un giorno all’altro.
Putin non ha cambiato i suoi obiettivi. Sta ancora conducendo una guerra di aggressione con l’obiettivo di controllare l’intera Ucraina e di creare una zona cuscinetto in Europa, spingendo le attività militari della NATO verso i confini precedenti al 1997, cosa che rappresenta per noi una questione esistenziale.
In secondo luogo, gli obiettivi che abbiamo perseguito fin dall’inizio, ossia l’instaurazione di una pace duratura in Europa, che può solo basarsi sui principi dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’idea che il crimine di aggressione non possa beneficiare l’aggressore, non sono cambiati.
Non è cambiato nemmeno il fatto che dobbiamo continuare ad aumentare il costo dell’aggressione per la Russia ed a sostenere l’Ucraina, sia materialmente, civilmente e militarmente, sia politicamente, per accompagnarla sulla strada dell’adesione alla NATO e all’Unione Europea.
La necessità di un’alleanza transatlantica forte e funzionante per raggiungere una pace giusta e duratura in Europa e per proteggere i nostri interessi in un mondo sempre più instabile non è cambiata. Ma perché questa relazione funzioni, abbiamo bisogno di un’Europa più fiduciosa, capace di stare in piedi da sola, di gestire i propri affari e di garantire la sicurezza nelle sue immediate vicinanze. Questo era già vero prima delle elezioni americane: dobbiamo investire nella nostra difesa di più rispetto alla soglia minima concordata del 2%.
Tenendo conto di tutti questi fattori, le priorità e la determinazione dell’Estonia rispetto alle questioni su cui abbiamo lavorato negli ultimi anni sono rimaste esattamente le stesse.
Se fossi un Britannico, direi: “Keep calm, and carry on”.
È molto probabile che gli Stati membri si precipitino negli Stati Uniti per concludere accordi bilaterali di sicurezza. Questo potrebbe mettere a rischio quelle decisioni necessarie che dobbiamo prendere in Europa?
La corsa a Washington è una procedura standard per i governi europei.
Quattro anni fa, anche noi ci siamo precipitati il più velocemente possibile, anche se la situazione è stata in qualche modo ritardata dalla pandemia del Covid-19.
È normale che i Paesi cerchino di ristabilire i contatti con chi sta arrivando, mantenendo i legami con l’amministrazione in carica.
Il Presidente Biden resterà in carica fino al 20 gennaio. È ancora un periodo piuttosto lungo e possono succedere molte cose.
Viste le precedenti dichiarazioni di Trump sull’Ucraina, pensa che sarebbe possibile costringere l’Ucraina a concludere un accordo di pace in cui dovrebbe cedere i territori attualmente occupati dalla Russia?
La nostra posizione è stata chiara fin dall’inizio della guerra: niente Ucraina senza Ucraina; niente Europa senza Europa.
I parametri della pace dopo questa guerra avranno un impatto fondamentale sugli elementi più essenziali della sicurezza europea. Si tratta di un interesse vitale per l’Unione e, naturalmente, per l’Ucraina.
Il tempo in cui le grandi potenze si dividevano i continenti a scapito dei Paesi più piccoli è finito. Deve finire, perché non riusciremo a raggiungere una pace giusta e duratura usando la stessa ricetta di Chamberlain, e di tutti gli altri dirigenti dell’epoca, a Monaco.
Per noi, nessuno dei principi fondamentali è cambiato. Nessuno obbligherà nessuno a fare qualunque cosa sia. Ci sarà un cambiamento nella politica estera americana – le elezioni hanno delle conseguenze. Le politiche dell’amministrazione Biden non assomigliavano alla presidenza Trump che l’ha preceduta, e la seconda presidenza Trump non assomiglierà agli anni di Biden.
Guarderemo a quali sono le priorità del popolo americano ed a come vuole affrontare queste questioni fondamentali. Non baseremo le nostre posizioni su ipotesi che potremmo avere oggi, a quasi tre mesi dall’insediamento del nuovo presidente. Le baseremo sulla realtà fattuale.
L’Europa ha fatto tutto il possibile per aiutare l’Ucraina?
Non abbiamo fatto abbastanza, e non l’abbiamo fatto abbastanza in fretta, perché l’unica cosa che conta in una guerra è il risultato. Finché non avremo convinto Putin a ritirarsi, non potremo considerare la nostra politica un successo.
Putin non è cambiato. Il suo piano iniziale di prendere Kiev in poche settimane e poi negoziare con le altre grandi potenze da una posizione di forza non si è concretizzato, ma non ha comunque cambiato il suo obiettivo. Considerare la nostra politica un grande successo sarebbe semplicemente irrealistico.
Dal febbraio 2022, l’Europa ha adottato misure forti, ma non abbastanza decisive. Come giudica il tacito compromesso di sostenere Kiev a difendersi senza permettergli di vincere?
Il bicchiere è sia mezzo pieno che mezzo vuoto. Non sarebbe giusto dire che non abbiamo ottenuto risultati essenziali. Il modo in cui l’Unione opera oggi è fondamentalmente diverso da quello che chiunque avrebbe potuto immaginare cinque anni fa: forniamo assistenza militare letale, abbiamo adottato 14 diversi pacchetti di sanzioni, abbiamo avviato i negoziati di adesione… e potrei continuare.
Ma l’unico criterio che conta è se siamo riusciti o meno a convincere le truppe russe a lasciare l’Ucraina. La risposta è lampante: non ci siamo riusciti.
Perché?
È nella natura umana sperare per il meglio e non prendere la strada più difficile finché non diventa inevitabilmente necessaria. Tendiamo a preferire qualsiasi soluzione facile a quella difficile, purché il problema non riguardi i nostri interessi diretti ed immediati.
Solo quando si capisce che il costo dell’inazione è più alto di quello dell’azione, si è disposti ad agire.
Per esempio, nessuna persona ragionevole si sottoporrebbe volontariamente a un’operazione per rimuovere l’appendice se non credesse alla diagnosi del medico che prevede un esito ancora peggiore senza l’operazione. Il motivo per cui le persone scelgono volontariamente di sottoporsi a procedure mediche difficili è che capiscono che l’alternativa è molto peggiore e che, al fin fine, si fidano della competenza del medico.
È qui che entra in gioco la leadership. Il ruolo del leader non è solo quello di prendere le decisioni giuste – soprattutto in una democrazia – ma anche di capire e spiegare quali sono le alternative all’azione.
Dobbiamo fare un lavoro migliore per spiegare la posta in gioco e perché una guerra che ad alcuni può sembrare geograficamente lontana, è di vitale importanza per noi europei, non solo oggi, ma anche domani e dopodomani.
Il motivo per cui molti Paesi dell’Europa centrale e orientale sono stati più rapidi nell’agire e hanno avuto un maggiore senso di urgenza non è dovuto alla loro vicinanza geografica al teatro di guerra, ma al fatto che i disastri del XX secolo sono ricordi più recenti.
In Europa occidentale, il mondo del dopoguerra basato sullo stato di diritto, sulla democrazia e sulla sicurezza comune sotto l’egida della NATO e dell’UE è emerso alla fine della Seconda guerra mondiale. In questi Paesi, diverse generazioni hanno beneficiato di una storia europea che, per noi, è stata possibile solo dopo il 1991 e il 1994, anno in cui i russi hanno ritirato le loro forze militari. A differenza di coloro che sono stati liberati nel 1944 o nel 1945, gli estoni sono stati direttamente colpiti dalle disastrose decisioni prese a Monaco nel 1938 e dalla catastrofe della Seconda guerra mondiale, e questo fino all’inizio degli anni Novanta.
Il risultato delle elezioni americane conferma la posizione di Orbán sull’Ucraina?
Le elezioni in un Paese non confermano mai le posizioni di altri Paesi. Alla fine, solo la storia conferma le posizioni assunte.
Se gli Stati Uniti smettono di sostenere l’Ucraina, gli Stati membri hanno la capacità di sostituirli?
L’Estonia è dalla parte di coloro che considerano la situazione come urgente, sia in termini di sanzioni e assistenza militare, ma anche politicamente: dobbiamo aiutare l’Ucraina ad avvicinarsi alla NATO e all’UE. Vogliamo muoverci più velocemente. Nel complesso, credo che siamo sulla strada giusta. Ciò che mi preoccupa è il ritmo a cui stiamo andando.
È ovviamente molto più facile affrontare i grandi problemi di sicurezza del mondo quando Europa e Stati Uniti agiscono insieme. Questo vale per l’attuale guerra in Europa. Lo stesso vale per qualsiasi situazione in Asia orientale. Preferiamo continuare a lavorare con gli Stati Uniti. Un’equa ripartizione degli oneri è una parola chiave che tornerà di moda.
La nostra spesa per la difesa è pari a circa il 3% del PIL. Chiederemo ai nostri alleati della NATO di aumentare l’attuale obiettivo del 2% a un livello più alto, almeno del 2,5%: una richiesta più giusta soprattutto nei confronti di coloro che devono vivere accanto alla fonte del pericolo e che già spendono di più.
Questa è la nostra preferenza. Ma dobbiamo garantire i nostri interessi vitali, qualsiasi sia la situazione. Se ciò non dovesse accadere, vedremo cosa fare.
Quanto costerebbe difendere l’Europa se l’alleanza transatlantica non funzionasse più?
Molto di più di quanto sosteniamo oggi. Ma lo stesso vale per tutti gli altri Paesi alleati: difendere i nostri interessi vitali in un mondo distrutto, senza alleati, sarà più costoso che difenderli con degli alleati.
Questo vale per l’Europa, il Canada, la Turchia e gli Stati Uniti.
L’Europa può aumentare la spesa per la difesa al 4 o 5% considerando l’attuale contesto delle finanze pubbliche?
Raggiungere il 4 o il 5% è un grande salto. Penso che inizieremo con il 2,5 o il 3% come nuovo punto di riferimento.
L’unico modo per aumentare la spesa per la difesa è di riorganizzare le risorse nel governo o nella società. È una questione di priorità.
In questi tempi di intensa turbolenza e crisi, il traguardo del 2%, vecchio di decenni, non è più pertinente. Era un buon obiettivo negli anni ’90 e 2000, quando il mondo sembrava stabile. Oggi c’è una guerra sul suolo europeo. Se ci guardiamo intorno, sfido chiunque ad indicare una regione che offra fonti di conforto.
È riorganizzando le priorità che avremo successo. Spetterà a ciascun governo decidere come raggiungere questo obiettivo. Noi spendiamo il 3% del nostro PIL per la difesa. Se possiamo farlo noi, possono farlo anche altri.
L’Europa può aumentare la spesa per la difesa e mantenere allo stesso tempo il suo modello di Welfare?
Sono assolutamente convinto che se perdiamo l’architettura di sicurezza europea, lo Stato sociale scomparirà. Il modo più semplice per distruggere lo Stato sociale è perdere una guerra.
La rielezione di Trump potrebbe essere un campanello d’allarme per l’Europa?
Ogni giorno offre nuove opportunità. Se noi europei abbiamo ancora bisogno di una scusa per svegliarci, allora usiamo la vittoria di Trump.
Sento dire che la guerra in Ucraina è stata il campanello d’allarme di cui avevamo bisogno: la prima guerra di aggressione finalizzata alla conquista del territorio nel nostro continente dal 1945.
Io sono ben sveglio. Anche la maggior parte delle persone con cui ho parlato sembra esserlo. La domanda è: come e cosa facciamo ora?
Quali dovrebbero essere le priorità per i prossimi cinque anni?
Le nostre proposte sono chiare.
L’elenco delle sfide che l’Europa deve affrontare è considerevole: gestire le relazioni con il Medio Oriente, con le potenze globali in ascesa in Asia e in Africa, rispondere alle sfide globali che vanno dal cambiamento climatico al terrorismo internazionale, senza dimenticare l’onnipresente Russia alle nostre porte.
La spesa per la difesa dovrebbe essere in cima alla lista. Dobbiamo dimostrare ambizione geopolitica e capire che l’allargamento della NATO e dell’Unione Europea non è solo nell’interesse del Paese che vi aderisce, ma anche nell’interesse geopolitico di costruire stabilità e sicurezza per il resto degli europei. Ciò necessiterà un’unità strategica.
Il mantenimento di una stretta relazione transatlantica, anche in termini di scambi commerciali, deve essere una priorità assoluta, per garantire, al contempo, la nostra competitività in un mondo sempre più competitivo. L’Europa è una delle regioni più ricche, ma questo non garantisce che lo sarà ancora tra 50 anni, nell’era della rivoluzione tecnologica. Dobbiamo tenere il passo con gli altri e andare ancora più veloci.
In fin dei conti, l’elenco delle sfide è sempre lo stesso, quale sia l’esito (successo o fallimento) in Ucraina. Dovremo sempre gestire le nostre relazioni con la Russia. Avremo un Paese, l’Ucraina, da ricostruire.
Se avremo successo in Ucraina, affronteremo le altre sfide da una posizione di forza. Se falliremo e lasceremo che l’Ucraina fallisca, affronteremo lo stesso elenco di sfide, ma da una posizione di debolezza.
Se l’UE fallisce in Ucraina, come saranno le sue relazioni con la Russia?
Estremamente ostili e pericolose. La Russia non ha cambiato il suo duplice obiettivo di assumere il controllo dell’intera Ucraina. Considera la conquista del Paese come geopoliticamente vitale per la sua idea di impero russo.
In secondo luogo, Mosca vuole riportare l’architettura di sicurezza europea ai confini precedenti al 1997. Una Russia vittoriosa non solo non cambierà idea, ma non diventerà certamente più modesta.
La relazione sarebbe estremamente pericolosa, non solo nelle tradizionali aree di competizione, ma anche nell’area delle minacce ibride e cibernetiche, con interferenze di ogni tipo, ad esempio nelle nostre elezioni.
Il rapporto Draghi chiede un finanziamento congiunto a livello europeo. È d’accordo?
Nel contesto più ampio del rapporto Draghi, l’idea è benvenuta. È il tipo di pensiero di cui abbiamo bisogno: ambizioso e coraggioso. Il fatto che si riesca o meno a trovare un accordo su ogni sfumatura di ciò che ha proposto è meno importante.
Il rapporto ci esorta a pensare in grande, a livello geopolitico e macroeconomico. Dobbiamo rafforzare la fiducia in noi stessi soprattutto rispetto alle nostre relazioni con il resto del mondo.
L’Unione europea ha imposto tariffe sulle auto elettriche cinesi ed è probabile che con Trump alla Casa Bianca la politica dell’UE nei confronti della Cina subisca pressioni. Pensa che l’Europa sia pronta ad adottare una posizione più dura nei confronti della Cina?
L’Europa vede la Cina come un partner, un concorrente economico e un rivale sistemico. Questi sono i tre pilastri del nostro approccio.
L’Europa sta iniziando ad affermarsi e questo si riflette nelle sue decisioni, non solo nella sfera politica, ma anche nelle relazioni commerciali.
Non sono sicuro che sia appropriato descrivere questo sviluppo dicendo che siamo diventati più duri. In realtà siamo diventati più geopolitici quando dobbiamo proteggere i nostri interessi. I dazi sulle auto elettriche provenienti dalla Cina sono solo un esempio.
L’ingenua aspettativa che tutti siano disposti a giocare secondo le regole non è più una caratteristica dell’Europa, e questo è un bene. È un segno che ci stiamo rendendo conto che gli altri non rispettano le regole e che stiamo agendo per difendere i nostri interessi.
Cosa dovremmo fare se gli Stati Uniti diventassero più ambigui sull’articolo 5?
Non mi aspetto che gli Stati Uniti diventino ambigui sulla difesa collettiva.
Paradossalmente, per mantenere gli americani impegnati nell’alleanza transatlantica, l’Europa deve fare esattamente ciò che dovrebbe fare se gli americani dovessero, per davvero, allontanarsi in maniera significativa: investire molto di più nella difesa, rimanere autonoma e sicura di sé nell’arena geopolitica.
Non sono preoccupato come alcuni commentatori, e non perché non veda necessariamente i pericoli che ci circondano. Il mondo diventa ogni giorno più pericoloso e la guerra in Europa è ancora in corso. Siamo in una situazione molto difficile. Se sono fiducioso e tranquillo, è perché le cose che dobbiamo fare sono quelle che dobbiamo fare in ogni caso.
Il mio suggerimento è semplice: non facciamoci prendere dal panico, nessuna iperventilazione – svegliamoci e mettiamoci al lavoro.