L’espressione idiomatica “Nixon in Cina” ha avuto grande successo nella storia degli Stati Uniti, con una lunga storia degli effetti.

L’apertura di Nixon alla Cina in ottica anti-sovietica all’inizio degli anni ’70, uno dei grandi eventi della storia contemporanea, continua a occupare l’attenzione degli Stati Uniti. L’evoluzione della Repubblica Popolare Cinese ha portato ad alcuni ripensamenti sulla lungimiranza di Nixon e Kissinger, con una certa continuità nelle ultime amministrazioni statunitensi, come testimoniato tra l’altro dagli interventi di Mike Pompeo, da segretario di Stato della prima amministrazione Trump, e di Jake Sullivan, da consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden.

Il dibattito strategico di quest’amministrazione Trump ha poi visto tante chiacchiere sulla mossa cosiddetta “Reverse Nixon” (Nixon al contrario), il tentativo di staccare la Federazione Russa dalla Repubblica Popolare Cinese.

Tuttavia, la storia del nostro tempo non è più “Nixon in Cina”. È, piuttosto, “Jensen in Cina”. Per capire questa vicenda fondamentale della nostra epoca, dobbiamo partire da Singapore e Shanghai. 

La traccia di George Yeo 

George Yeo, ex ministro degli Esteri di Singapore, è una persona molto intelligente, come lo sono chiaramente molti burocrati e politici di Singapore. Tra tanti colleghi di grande talento, George Yeo si distingue in modo particolare: tiene frequenti discorsi al pubblico cinese, sempre utili per analizzare le relazioni tra Cina e Singapore, e ha profonde intuizioni intellettuali, non solo per quanto riguarda la politica contemporanea. Possiede una chiara comprensione e una reale curiosità per il pensiero occidentale, la storia cinese e indiana e altri argomenti.

C’è un’interessante conversazione del 12 maggio 2025 di George Yeo con Zhang Weiwei, Preside del China Institute presso la Fudan di Shanghai, tenutasi il 12 maggio.

Jensen agisce come canale tra Pechino e Washington.

Alessandro Aresu

A un certo punto della conversazione, George Yeo parla dei viaggi di Jensen Huang a Pechino per approfondire la sua analisi della tecnica di negoziazione di Trump. La sua premessa è che non ha “alcuna prova” per ciò che sostiene, ma c’è chiaramente una ragione per cui espone la seguente teoria: 

Sapete, Jensen Huang di NVIDIA è andato a trovare Trump. Ha cenato con Trump a Mar-a-Lago per il suo chip H20. Hanno fatto una bella cena. Trump ha detto “OK, potete vendere i vostri chip H20 alla Cina”. Poi, una settimana dopo, Jensen Huang è comparso a Pechino. E questa volta si è tolto il suo classico giubbotto in pelle, ha indossato la cravatta e aveva un aspetto molto cinese. Io lo vedevo e mi chiedevo: “È molto pericoloso per Jensen Huang andare a Pechino. Verrà criticato in patria”. Invece, non è stato criticato. La mia conclusione, da esperto di politica estera, è che stava portando un messaggio, che ha trasmesso un messaggio. Due giorni dopo, Bessent ha detto che i dazi non sono sostenibili e il mercato azionario si è zittito. Poi, Trump ha detto che stavano parlando con i cinesi e i cinesi se la sono presa, quindi tutto si è inceppato.

George Yeo, oltre a fornire una lunga analisi dello stile negoziale di Trump, della sua attenzione per il mercato, del suo desiderio ultimo di un accordo con la Cina, suggerisce un particolare importante. 

A suo avviso, le visite del CEO dell’azienda al centro dell’ecosistema dell’intelligenza artificiale, la prima azienda della storia ad aver superato una capitalizzazione di 4.000 miliardi di dollari, non riguardano solo i propri affari, ma hanno a che fare col canale tra Pechino e Washington.

I viaggi di Jensen Huang in Cina

Con l’ultimo viaggio di luglio, Jensen Huang è stato in Cina per la terza volta nel 2025. Non sono poche.

La prima volta, a gennaio, il CEO di NVIDIA è stato a Taiwan e in Cina quando è avvenuta la cerimonia di inaugurazione di Trump.

Il viaggio di aprile è quello a cui si riferisce George Yeo, e in cui hanno avuto i suoi incontri di alto profilo col Ministero del Commercio.

Nell’ultimo viaggio, il CEO di NVIDIA è tra l’altro intervenuto alla China International Supply Chain Expo, iniziativa presieduta da Ren Hongbin, importante personalità cinese nell’ambito del commercio, che ha accumulato esperienze in tutte le arene rilevanti, dal WTO alla politica degli investimenti.

Il canale tra Ren Hongbin e Jensen Huang sembra solido. Infatti, il CEO di NVIDIA pronuncia un discorso con alcune parole in cinese — su richiesta della controparte cinese — ma soprattutto elogia il contributo della Cina ai vari passaggi della storia di NVIDIA e dell’intelligenza artificiale, nonché il “miracolo” della supply chain cinese. 

Da un lato, Ren Hongbin orchestra quest’evento per mostrare la forza della supply chain cinese, per dire che — anche in un mondo di guerre commerciali — non si può fare a meno di queste capacità. È un’ambizione che si riflette nei dati del primo semestre 2025, in cui l’economia cinese ha mostrato una capacità di diversificare i mercati di sbocco rispetto agli Stati Uniti: come prevedibile, col maggiore contributo da parte dell’area del Sud-est asiatico, ma anche dall’Europa e da altre geografie.

Oltre un milione e mezzo di sviluppatori in Cina, secondo Jensen Huang, si basano su NVIDIA.

Alessandro Aresu

Il CEO di NVIDIA elogia Alibaba, Baidu, Tencent, Xiaomi, DeepSeek e gli altri operatori cinesi.

Si sofferma inoltre sulla robotica (un tema di enorme interesse per il mercato e la leadership della Cina, come è sempre più evidente) e torna su un elemento che ha spesso sottolineato: la forza dei ricercatori, sviluppatori e imprenditori cinesi, “gli eroi dell’innovazione della Cina”. 

Oltre un milione e mezzo di sviluppatori in Cina, secondo Jensen Huang, si basano su NVIDIA.

L’investimento di NVIDIA in Cina – come del resto quello di altre grandi aziende tecnologiche statunitensi — è di lungo corso, legato sia al capitale umano che al mercato della Repubblica Popolare.

Per esempio, nel 2016, qualche mese dopo la vittoria di AlphaGo contro Lee Sedol (un momento di grande importanza per il dibattito pubblico sulla tecnologia in Cina, com’è noto), il CEO di NVIDIA dedica il suo intervento alla GTC China alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale e alla sua pervasività. L’ecosistema dei suoi partner è rappresentato sul palco da un noto ricercatore come Andrew Ng, che all’epoca svolge l’incarico di chief scientist di Baidu. Durante la GTC, Jensen esalta la sua collaborazione con le grandi aziende tecnologiche cinesi, ponendo l’enfasi su alcune aree, tra cui la smart city, o AI city, e si sofferma a lungo sul lavoro con Hikvision. Nell’incontro del 2017, tra le numerose partnership vi sono anche quelle con Dahua e con Huawei, per la sicurezza nelle città e il controllo del traffico. In quegli anni, NVIDIA rivendica la sua collaborazione con aziende come SenseTime, in seguito colpite dalle sanzioni statunitensi. 

Con l’ascesa dei controlli sulle esportazioni a partire dall’estate 2022, NVIDIA con le sue principali personalità è sempre critica. Per esempio, il chief scientist Bill Dally, una delle più importanti figure della ricerca applicata di questo secolo, ha affermato letteralmente a novembre 2023 all’Università Cornell:

L’unico vero effetto di questa politica di controllo delle esportazioni è stato far sì che migliaia di programmatori cinesi che scrivevano software per le nostre macchine adesso lo scrivano per le macchine di Huawei e Biren. In sintesi, questo farà male all’industria degli Stati Uniti nel lungo termine senza rallentare per nulla il progresso cinese nell’intelligenza artificiale. Ma alla gente di Washington non piace sentirselo dire. 

La politica dell’azienda cambia nel momento in cui la tesi di sicurezza nazionale di Washington emerge

Alessandro Aresu

L’ascesa politica di Jensen Huang

L’imperativo dell’accesso al mercato cinese si basa per NVIDIA su due fattori: la volontà di fare profitti su quel mercato, mantenendo i rapporti coi clienti e coi fornitori, e il riconoscimento della forza del talento cinese. 

Da un lato, essere sul mercato cinese per NVIDIA vuol dire fare soldi, e questo non va mai sottovalutato. 

La politica dell’azienda, nel momento in cui la tesi di sicurezza nazionale di Washington emerge, cambia da “fateci vendere quello che ci pare nel mercato cinese” a “dite le specifiche tecniche di ciò che non possiamo vendere nel mercato cinese, e realizzeremo un prodotto che sta dentro quest’asticella”. Insomma, la teoria di Sullivan “piccolo cortile con un’alta recinzione” diviene un insieme di specifiche tecniche, un processo che NVIDIA può comunque gestire. 

Per gli interessi dell’azienda, nel momento in cui questo diventa la pretesa di dividere il mondo in amici degli USA, nemici degli USA e una zona grigia sottoposta a una serie di autorizzazioni, come nell’AI Diffusion Rule di Biden del 13 gennaio 2025, non va più bene.

In questo avviene il “pivot” politico di Jensen Huang nell’era Trump, come notato anche da “The Information” in un accurato articolo 1

NVIDIA è un’azienda storicamente prudente e poco interessata agli schieramenti politici, ma in occasione dell’AI Diffusion Rule critica aspramente e violentemente le politiche di Biden 2 aggiungendo alla fine un grande elogio per le politiche della prima amministrazione Trump. Una mossa chiaramente voluta da Jensen Huang in persona, una persona che — ricordiamolo — guida la sua azienda dal 1993.

Nei suoi interventi pubblici, sapendo che Trump tiene molto a queste cose, il CEO di NVIDIA non ha mai smesso di elogiare il presidente. Ha detto di recente che Trump è “pro-innovazione, pro-crescita, pro-energia, pro-industria”, aggiungendo che “ama la sua visione di reindustrializzare l’America”. Quando ci sono problemi nella trattativa col governo, fa capire che si tratta di cattivi consigli verso il presidente Trump e ribadisce che la sua visione è quella giusta. 

D’altra parte, come in generale nella partita commerciale, è evidente che la Cina ha alcune “carte”. 

Senza l’apporto delle persone nate in Cina, tutto questo sistema dell’intelligenza artificiale non può esistere

Alessandro Aresu

Nel caso specifico delle aziende tecnologiche, una “carta” non riguarda solo la capacità manifatturiera di Pechino (terre rare, materie prime, componentistica varia) ma è la potenza del mercato cinese, di cui non sanno fare a meno (il che vuol dire rinunciarvi del tutto), e su cui la burocrazia celeste di Pechino esercita il suo potere politico. Non solo nell’aspetto militare, spesso rivendicato e dilatato a piacimento dalla leadership di Washington, ma nel vero e proprio potere di mercato. 

Ne è un segnale l’ascesa del ruolo politico della SAMR, l’apparato antitrust di Pechino, che con le sue inchieste dal 2018 a oggi ha mostrato chiaramente la volontà di influenzare le principali operazioni di fusioni e acquisizioni della tecnologia mondiale, colpendo da Qualcomm a Intel, tenendo sulle spine la stessa NVIDIA e Synopsys. L’operazione cruciale per la crescita del sistema di NVIDIA, l’acquisizione di Mellanox, ha ricevuto un’approvazione condizionale per cui – guarda caso! – Pechino ha poi riaperto il procedimento nel 2024 3, per tenere NVIDIA sulle spine. Pechino ha poi adattato il suo sistema di controllo sulle esportazioni e di “capitalismo politico”, apprendendo dai sistemi statunitensi e riproducendoli, preparandosi costantemente per una guerra di posizionamento, un gioco continuo di Go.

Inoltre, conta l’altra frase di Jensen Huang: “Il 50% dei ricercatori sull’intelligenza artificiale al mondo sono cinesi”. 

Quella frase si riferisce, sulla base dei dati di MacroPolo, ai ricercatori provenienti dalla Cina, ma riguarda anche il funzionamento concreto dei laboratori di ricerca e dei dipartimenti universitari degli Stati Uniti: basta fare un giro a qualunque conferenza del settore, leggere i paper rilevanti, considerare la geografia delle acquisizioni dei talenti (come le recenti operazioni di Mark Zuckerberg di Meta) per capire che, senza la base delle persone nate in Cina, tutto questo sistema dell’intelligenza artificiale non può esistere.

La tesi di un’azienda come NVIDIA è che debba continuare a esserci l’interscambio della ricerca e l’attrazione dei cinesi nelle università statunitensi. 

Pertanto, le due filiere non si possono separare, perché la filiera statunitense non può reggere il costo della separazione.  

La “battaglia finale” dell’intelligenza artificiale 

Infine, è importante comprendere che negli Stati Uniti continua e continuerà a esistere una tesi diversa. Anzi, diametralmente opposta. 

Da ultimo, quello che dice NVIDIA è in contrasto con una parte ingente della coalizione di Trump, che converge col pensiero permanente degli apparati di sicurezza degli Stati Uniti. Secondo questa tesi (che ho ripreso anche in riferimento alla lunga epopea di TikTok), la separazione tra Pechino e Washington deve avvenire, TikTok deve essere bandito, i ricercatori cinesi devono essere sostituiti dai “bianchi” (secondo alcuni) o dagli indiani (secondo altri), e non ci devono essere più componenti o materiali cinesi in grado di ricattare gli Stati Uniti, in un negoziato continuo. 

Per il pensiero permanente degli apparati di sicurezza di Washington esistono i nemici, e in particolare c’è il Nemico, cioè il Partito Comunista Cinese che può disarcionare il primato americano.

Alessandro Aresu

Perché si materializzi quest’ultima tesi, gli Stati Uniti devono pagare un prezzo altissimo, ma una volta che la Cina è definita come “nemico esistenziale” e non come “avversario” (come continua a ribadire Jensen Huang), si tratta comunque della logica conseguenza di tutto il ragionamento, che va portato all’estremo perché è amico/nemico. 

Per Trump, è tutto più incerto.

Come ha detto più volte i problemi vengono sia dagli “amici” che dai “nemici”; pertanto, non esistono né gli amici né i nemici. 

Al contrario, per il pensiero permanente degli apparati di sicurezza di Washington esistono i nemici, e in particolare c’è il Nemico, cioè il Partito Comunista Cinese che può disarcionare il primato americano, e il Nemico rimane anche se costruisci 500 resort nel Mar Cinese Meridionale.   

Non bisogna dimenticare che quest’ultima tesi converge con l’ipotesi che l’intelligenza artificiale raggiunga nel medio periodo un punto che può determinare la “vittoria definitiva” di un attore rispetto a un altro. Possiamo chiamarlo AGI, Superintelligenza o come ci pare, ma il senso della tesi è quello, si tratta di una “arma assoluta” da conquistare prima, perché avere “una nazione di geni in un data center”, per dirla con Dario Amodei di Anthropic, sovverte ogni valore in campo. 

In sostanza, è utile ammettere che NVIDIA non crede a questa tesi. La “superintelligenza” sarebbe un’“arma assoluta”, da conquistare per prima.

Se si tratta di fornire un’infrastruttura che oggi ha 1,2 milioni di componenti, domani ne avrà magari qualche milione in più e che richiede il contributo diretto e indiretto di centinaia, migliaia di aziende, il capo-filiera (NVIDIA) non crede che qualcun altro possa aprire un modello di qualunque tipo e chiedere “realizza questo procedimento meglio di Foxconn, Supermicro, TSMC, Air Liquide eccetera” e che possa realmente farlo. 

Ogni passo di quelle realtà, di quelle aziende, di quella supply chain, ha contenuto in passato e contiene dinamiche e variabili irriducibili a queste operazioni. 

La “superintelligenza” sarebbe un’“arma assoluta”, da conquistare per prima.

Alessandro Aresu

Il risultato è che Foxconn usa una serie di strumenti per migliorare le sue stesse operazioni, Foxconn stessa può capire cosa serve e cosa non serve, ma non è vero che arriva un’azienda dal nulla e crea Foxconn 2, 3, 4, in un’escalation indefinita in questo pianeta, sistema solare, galassia. Chiaro?

Per questo, la stessa intelligenza artificiale è un mercato (una serie di mercati in trasformazione) ma non è un compimento.

In questa continua epoca di transizione e di infrastrutturazione, non c’è la “battaglia finale” tra amici e nemici, e in verità non c’è nemmeno la “corsa”. Jensen Huang parla infatti di una “maratona”, dicendo sempre che “sarà lunga”, rifiutando di sparare date definitive.

Per questo, la stessa intelligenza artificiale è un mercato (una serie di mercati in trasformazione) ma non è un compimento.

Alessandro Aresu

In questo spazio temporale, in cui le supply chain si pesano politicamente e competono, ma non si separano in modo drastico e definitivo, possono esserci gli inviati e i messaggeri.

Figure che si muovono tra mondi diversi ma che sono destinati alla relazione, e non “destinati alla guerra”.

Questo è il significato profondo di “Jensen in Cina”.  

Note
  1. Qianer Liu et Wayne Ma, “Jensen Huang Used to Delegate Politics—Until Trump’s Return”, The Information, 29 maggio 2025.
  2. Ned Finkle, “NVIDIA Statement on the Biden Administration’s Misguided ‘AI Diffusion’ Rule”, Nvidia, 13 gennaio 2025.
  3. Jet Deng et Ken Dai, “China’s Antitrust Investigation into NVIDIA: Background, Procedures and Practical Interpretation”, Lexology, 13 febbraio 2025.