Dall’opera di James Hunter sulle “guerre culturali” sappiamo che la questione dei valori è stata al centro delle mobilitazioni politiche negli Stati Uniti 1. Secondo l’influente tesi di questo sociologo americano, a partire dagli anni ’70 i fondamentalisti protestanti e i cattolici conservatori hanno unito le loro forze per contestare l’egemonia progressista sulla cultura americana. Da allora si sono affrontati due schieramenti: da un lato “gli ortodossi”, per i quali la verità morale è statica, universale e sancita dal divino; dall’altro, i “progressisti”, che considerano la verità morale evolutiva e strettamente contestuale.

È nella storia di questa guerra culturale che dobbiamo leggere il successo della campagna che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Tra il 2016 e il 2024, gli ideologi del MAGA sono riusciti a prendere il controllo del Partito Repubblicano, estromettendo la destra liberale. L’ascesa dei movimenti di matrice trumpista e la critica al “wokismo” che li accompagna sono quindi espressione di un ritorno alla tradizione e ai valori conservatori? E dobbiamo aspettarci un effetto domino nello spazio politico europeo?

Ci sono tre correnti all’opera tra coloro che gioiscono della vittoria di Donald Trump: una destra cristiana, un populismo identitario e un’accelerazionismo tecnologico e libertario.

Olivier Roy

In Europa, negli ultimi decenni, la destra è stata più incline a porsi in continuità con riferimenti progressisti: quasi ovunque ha sancito il diritto all’aborto e persino il matrimonio omosessuale. Nella maggior parte dei paesi e a livello europeo, ha soprattutto accettato di partecipare al cordone sanitario che tiene l’estrema destra fuori dal governo.

Ma oggi è finita. In Europa come negli Stati Uniti, assistiamo al crollo della destra liberale – il Partito Repubblicano della famiglia Bush, i Tories britannici, la Democrazia Cristiana italiana, passando per la corrente gollista in Francia sempre più tentata dall’estrema destra – o al suo allineamento con i movimenti nazional-populisti che mettono in primo piano la difesa dei valori conservatori e di un’identità bianca e cristiana.

I principali ideologi del trumpismo, ovvero Steve Bannon e il vicepresidente J. D. Vance, stanno cercando di mobilitare le destre europee attorno alla questione dei valori tradizionali, segnando una rottura con temi geostrategici come la difesa del mondo libero che hanno permesso la costruzione di una rappresentanza atlantista comune 2.

Il fascino per Trump è evidente in questa nuova destra europea, anche se si basa su un paradosso ben evidenziato dai risultati dell’indagine Eurobazooka: come si può creare una coalizione internazionale di valori se allo stesso tempo si fa una brutale apologia dell’egoismo nazionale, arrivando persino a sostenere l’ingerenza e la vassallizzazione?

Che il fattore Trump sia una delle ragioni della ricomposizione dei confini tra destra e estrema destra o che ne sia solo un sintomo, poco importa. La questione qui è se dietro questa ascesa dei populismi ci sia una visione coerente di un sistema di valori in rottura non solo con il progressismo, la difesa dei diritti umani e ciò che viene etichettato come “woke”, ma anche con la destra liberale classica.

Hajime Sorayama. © CFOTO/SIPA

La destra in Francia e i valori del trumpismo

Per comprendere questo fenomeno, possiamo riprendere la tipologia di René Rémond 3 — legittimisti, bonapartisti e orleanisti, ovvero, per non limitarsi alla Francia: tradizionalisti, cesaristi e liberali — e constatare che i primi due stanno bene sotto nuove vesti, ma che il terzo è in crisi.

“Per la legge più che per la fede”: il paradosso legalista del legittimismo

I “legittimisti” non sono più molto monarchici, ma si aggrappano a un cristianesimo conservatore di cui vogliono imporre le norme con la legge più che con la fede, poiché si trovano di fronte al declino della pratica religiosa — più lento ma altrettanto reale negli Stati Uniti. La lotta contro l’aborto, il femminismo e i diritti LGBT sono al centro della loro battaglia. Paradossalmente, in Europa la Francia laica affianca la Polonia nell’espressione di un tradizionalismo cristiano particolarmente virulento: Manif pour tous, opposizione all’aborto, ai diritti LGBT, difesa della messa in latino e ritorno a un vecchio gallicanesimo che diffida di un papa che non sembra abbastanza europeo.

Che il cattolicesimo controrivoluzionario sia al centro di questa nostalgia cristiana per i tempi antichi è logico, poiché il protestantesimo si è secolarizzato o, nella sua forma evangelica, riguarda principalmente gli ambienti immigrati, poco interessati a un’identità cristiana bianca.

Tuttavia, negli Stati Uniti, sono anche gli intellettuali cattolici – per lo più convertiti dal protestantesimo, come J. D. Vance – a guidare la crociata intellettuale contro il progressismo. Sul piano elettorale, tuttavia, sono i protestanti evangelici a costituire le grandi masse del trumpismo. Questa incapacità dell’evangelismo di produrre un’avanguardia intellettuale è interessante e potrebbe essere ampiamente spiegata da un certo disprezzo per la cultura in generale e per l’alta cultura in particolare 4. Sono quindi i padri della Chiesa, tra cui sant’Agostino e san Benedetto, a essere chiamati a ristabilire la legge naturale e il radicamento della società nella trascendenza.

Il bonapartismo tech o l’autoritarismo senza valori

La seconda categoria della destra secondo Rémond è il bonapartismo, che si trova al centro della mobilitazione populista.

Da un leader autoritario ci si aspetta che ripulisca con vigore le stalle di Augia, anche se la leadership può essere femminilizzata, nel contesto attuale.

Tuttavia, il bonapartismo non è di per sé portatore di un sistema di valori, se non quello del rispetto dell’autorità. È proprio questa dimensione che contribuisce all’innesto “tecno-cesarista” portato avanti dalla Silicon Valley e alla sua ricerca di un autoritarismo efficace che risolverebbe i difetti della democrazia instaurando una “monarchia geek”.

La morte dell’orleanismo o l’impasse neoliberista

La grande frattura a destra è la profonda crisi del liberalismo politico, l’orleanismo secondo Rémond.

Questa corrente era un tratto distintivo dei partiti di centro-destra che, dal Nord America all’Europa, hanno governato, in alternanza con la socialdemocrazia, le nostre società dalla fine della Seconda guerra mondiale, promuovendo la democrazia e lo Stato di diritto, difendendo l’economia di mercato, su una linea anticomunista e antifascista, atlantista e filoeuropea.

Come la socialdemocrazia, il liberalismo orleanista condivideva con la democrazia cristiana – che si richiamava anch’essa al liberalismo politico ma difendeva un proprio sistema di valori – un umanesimo radicato nella filosofia dell’Illuminismo e un senso dell’etica.

Il liberalismo politico è esploso su una contraddizione fondamentale: non riesce più a concepire il legame sociale se non nell’astrazione dello Stato di diritto. Sul piano economico, a partire dagli anni ’80 ha adottato un neoliberismo che ha minato le fondamenta dello Stato e distrutto il legame sociale. Se Margaret Thatcher e Ronald Reagan pretendevano di difendere i valori tradizionali, in realtà hanno appoggiato la deregolamentazione che ha iniziato a distruggere il tessuto sociale. La Thatcher dichiarava infatti: “there is no such thing as society“, una profezia che si è autoavverata 5.

Il liberalismo politico è esploso su una contraddizione fondamentale: non riesce più a concepire il legame sociale se non nell’astrazione dello Stato di diritto.

Olivier Roy

In Europa la destra liberale si è “berlusconizzata” con le stesse conseguenze, ma questa volta senza nemmeno l’omaggio del vizio alla virtù: il diritto al godimento è diventato un privilegio dei nuovi dirigenti che, da Berlusconi a Trump, lungi dallo scandalizzare i propri elettori, lasciano loro condividere i riflessi delle loro scappatelle.

Il neoliberismo è stato quindi molto “moderno”, ha prodotto, come nota Marcel Gauchet, un individualismo esacerbato, ossessionato dalla realizzazione di sé e poco interessato a fare società 6. Il wokismo, d’altra parte, che difende un individualismo contrattuale, è un vero e proprio nipote del liberalismo politico. Il mondo del business neoliberista, da Walt Disney a Benetton, si è perfettamente adattato al wokismo fino alla brutale inversione di rotta del 2024 a favore di Trump.

In reazione a quella che percepisce come una deriva “dirittista” dell’individualismo moderno, il pensiero liberale torna alle sue origini: Pierre Manent, ex assistente di Raymond Aron, deplora l’abbandono della teoria del diritto naturale, che radicava l’individuo sia nella trascendenza che nella natura 7.

Come ridare un fondamento al valore, che non può essere ridotto a una transazione tra cittadini? La politica non dovrebbe conoscere neutralità assiologica: deve operare per il bene comune. Si pone quindi la questione della natura della comunità politica, del suo rapporto con la legge come condizione della sua libertà, e quindi della sua cultura e identità. L’autocritica del liberalismo si ricollega qui alla protesta legittimista e al rifiuto populista di un’immigrazione portatrice di un’altra cultura, che non rispetta l’identità della nazione. Il liberalismo si percepisce come una cultura particolare e non più come espressione dell’universalismo. Gli eredi di Raymond Aron diventano sovranisti; non credono più nell’assimilazione, cioè nell’universalità della propria cultura. Ciò che era considerato un valore universale – i diritti umani, l’evangelizzazione – si trasforma in un segno identitario di una cultura propriamente europea, se non addirittura nazionale, assediata e minacciata.

I transfughi del liberalismo ripensano ora lo Stato in una visione più vicina a Schmitt che a Locke, perché presuppone l’esistenza di un nemico: l’immigrazione (e per l’Europa, l’Islam) e i valori del ’68 (ora etichettati come wokismo) sarebbero le due cause principali della crisi del legame sociale. L’Islam e il wokismo sono i due nemici che vengono dichiarati alleati sotto il nome di islamo-sinistra. Per combatterli non serve uno Stato arbitro, ma uno Stato sovrano, uno Stato forte. Essi si uniscono a un populismo che non vuole meno Stato, ma uno Stato che sia il loro Stato e che li protegga. Vogliono riconquistare lo Stato – ed è proprio questo il senso dell’occupazione del Congresso a Washington il 6 gennaio 2021. L’orleanismo è definitivamente morto 8.

Il nuovo arrivato: le correnti libertarie

Una volta constatata la morte del liberalismo politico, si nota che lo spazio filosofico che occupava è oggi occupato da una nuova corrente: i libertari.

Essi condividono lo stesso individualismo volontaristico, ma rifiutano il contratto sociale, ovvero la delega allo Stato dello status di arbitro. Se credono nel contratto, è in quello commerciale. Lo Stato non può che essere un ostacolo. Non lo si accetta: lo si distrugge.

L’ondata di executive orders firmati da Trump subito dopo il suo insediamento rivela una visione schmittiana, in cui il narcisismo del sovrano prenderebbe il posto dello Stato sovrano. Finora il movimento era rimasto ai margini della vita politica, con il suo eterno candidato alle elezioni americane, Ron Paul. Ma ora è diventato l’ideologia della tecnologia e interviene direttamente nella vita politica americana nella persona di Elon Musk. Con Trump, i libertari sono probabilmente per la prima volta pienamente associati al potere.

Hajime Sorayama. © CFOTO/SIPA

Il nuovo scontro delle destre

Oggi assistiamo quindi a una nuova configurazione della destra, ormai dominata dai populisti, anche se tra coloro che gioiscono per la vittoria di Donald Trump sono ancora presenti tre correnti: una destra cristiana, un populismo identitario e un movimento tecnologico accelerazionista e libertario. Tutti insieme festeggiano l’elezione di Trump e lavorano per esportare il modello in Europa.

Tuttavia, nonostante evidenti punti in comune – un comune disprezzo per la democrazia liberale e lo Stato di diritto, nonché un discorso anti-immigrati, anti-tasse, anti-woke, anti-regolamentazione e climatoscettico – essi rappresentano tre sistemi di valori fondamentalmente opposti.

Anche se le versioni europee e americane del cocktail trumpista possono mescolare questi tre ingredienti in proporzioni diverse, le tensioni sono le stesse e prima o poi esploderanno. Se è facile unirli nell’opposizione, è più difficile tenerli insieme quando si è al potere e si decide di portare avanti radicalmente le proprie idee: a quel punto bisogna scegliere.

La destra cristiana e reazionaria: una vocazione minoritaria?

La destra cristiana è reazionaria in senso forte, come abbiamo visto: vuole tornare alla filosofia dell’Illuminismo e difende un’antropologia ben definita che dovrebbe essere alla base della società: famiglia tradizionale, rifiuto del femminismo e dell’omosessualità. La libertà non esiste al di fuori del riconoscimento della Verità. Bisogna tornare alla “legge naturale”, teorizzata da Tommaso d’Aquino. Questo è il discorso di Vance e Bannon.

Questa destra intransigente, tuttavia, non conta più su una fede ormai svanente: non è particolarmente proselitista, perché identifica l’identità cristiana con il dominio della civiltà occidentale, se non addirittura della razza bianca. Punta quindi soprattutto sulla legge per imporre le proprie norme, anche a costo di scimmiettare una sorta di wokismo di destra.

La difesa della mascolinità non è il ritorno alla famiglia tradizionale, perché si rivolge agli individui e non alle coppie. È un’ideologia di singles, la cui versione più radicale è quella degli incels e che si adatta perfettamente alla poligamia di Elon Musk.

Olivier Roy

La sua lotta fondamentale è il divieto dell’aborto e, secondariamente, la difesa della messa in latino. Promuove una legislazione punitiva e rifiuta la carità difesa dal Papa. È al centro del Partito Repubblicano americano insieme ai protestanti evangelici, ma è guidata da intellettuali cattolici, spesso provenienti dal protestantesimo, come il vicepresidente degli Stati Uniti.

Questa destra è più marginale in Europa, dove subisce sconfitte elettorali a causa della sua difficoltà a trasformarsi in un progetto maggioritario. Ovunque, negli Stati Uniti e in Europa – compresa la Polonia – si scontra con il continuo declino della pratica religiosa. Nonostante l’attivismo di Vincent Bolloré e il successo di pubblico del Puy du Fou, la ricristianizzazione non funziona, se non nel proibito. Cerca quindi di allearsi con il populismo identitario (Zemmour in Francia), ma si scontra con la questione dei valori e della pratica: la maggior parte dei leader populisti non conduce affatto una vita cristiana, nemmeno in apparenza.

La vocazione maggioritaria: gli identitari della fine della storia

Il populismo identitario, che ha il vento in poppa, è infatti più nostalgico che reazionario. Difende uno stile di vita, quello dei “Trente Glorieuses” in Francia, quello degli anni Cinquanta in America e, paradossalmente, quello della Repubblica Democratica Tedesca.

Questo populismo, dominante in Europa, ha ampiamente integrato i valori libertari degli anni Sessanta, se non nella formulazione dei suoi programmi, almeno nella vita personale dei suoi elettori e dei suoi leader. Con Marine Le Pen, Geert Wilders, Nigel Farage e Alice Weidel, essi ribaltano alcuni valori liberali ritenuti universali – come il femminismo – trasformandoli in segni identitari occidentali, contrapposti ai valori medievali attribuiti ai musulmani. Se non mettono in discussione né il diritto all’aborto né il matrimonio omosessuale, è perché per loro il riferimento cristiano è solo una metafora per difendere un Occidente “bianco” e opporsi alla “grande sostituzione”. Al loro interno si trovano anche neopagani anticristiani e suprematisti bianchi, che passano più facilmente alla violenza.

Il riferimento cristiano, puramente retorico tra i populisti identitari, lascia da parte i cattolici tradizionalisti, come dimostra l’allontanamento di Marion Maréchal da parte della zia Marine Le Pen. La libertà è vivere tranquillamente senza essere disturbati da regolamenti, tasse e dalla presenza degli immigrati.

Vogliono solo continuare a godersi la vita come prima. Sono gli usufruttuari di un mondo in decadenza: dopo di loro, il diluvio, o meglio, le fratture geopolitiche e il riscaldamento globale.

Il grande ricentramento tra le derive del centro e l’avanzata dell’estrema destra si sta così realizzando: le società europee, che si suppone stiano virando a destra, sembrano in realtà sempre più liberali sulla questione dei costumi, pur votando sempre più a destra sulla questione identitaria.

L’accelerazione digitale: organizzare la separazione democratica

Infine, il terzo elemento è ormai la tecnologia libertaria: pochi uomini, come Elon Musk, che dispongono di un potere straordinario. Ovviamente non sono populisti, ma elitari e quindi, al limite, seguaci di una forma di cesarismo o di tecno-cesarismo, secondo l’espressione coniata dalla rivista.

Hanno una missione: organizzare il separatismo di un’élite bianca e geniale, rinchiusa nelle sue “gated communities” e altre “zone franche”, prodotte dal “capitalismo della frammentazione” così ben descritto da Quinn Slobodian 9in attesa di andare su Marte.

Non hanno alcun interesse per il popolo, buono solo a pedalare per consegnare pizze o a consumare i loro servizi digitali. Non hanno bisogno dei poveri. Iper-ricchi, non credono nei diplomi, ma nella trasmissione genetica del genio. Non c’è quindi redenzione per la gente comune. Certo, tra loro ci sono alcuni cristiani fondamentalisti, ma il loro orizzonte non è un ritorno all’antropologia del Concilio di Trento o al diritto naturale di Tommaso d’Aquino: è lo spazio del transumanesimo che li anima.

Il cielo che sognano non è quello del Padre Nostro, ma quello del razzo che decolla. Demiurghi o Prometei, hanno solo disprezzo per la creatura e quindi per il Creatore. La loro visione del mondo è agli antipodi del cristianesimo, in tutte le sue forme.

A differenza del capitalismo neoliberista, che giocava sul mito della realizzazione di sé alla portata di tutti – e che era quindi perfettamente compatibile con il woke – i tecnolibertari accettano il fatto che ci sono i dannati della terra e che bisogna abbandonarli al loro destino.

Non hanno alcun interesse per lo Stato: non cercano di limitarlo, ma di privatizzarlo e quindi di distruggerlo. Trasformare il Pentagono in una milizia privata: il loro sogno dovrebbe essere l’incubo di tutti i sovranisti. Preparare un futuro post-umano: il loro obiettivo dovrebbe essere anatema per i cristiani.

I tecnolibertari accettano il fatto che ci sono i dannati della terra e che bisogna abbandonarli al loro destino.

Olivier Roy

Chi perde al gioco?

In questo piccolo gioco, i primi perdenti sono già i fondamentalisti cristiani. Pensano di aver vinto sul punto centrale: il divieto dell’aborto. Ma non hanno capito che non si trattava affatto di un ritorno alla famiglia cristiana, ma di una norma per la norma. Perché il grande discorso su cui si legittima l’elitarismo sfrenato della tecnologia è quello della mascolinità senza limiti. È quasi comico vedere Zuckerberg, il capo di Meta, scoprire nell’autunno del 2024 di essere un maschio represso e di avere i pettorali cadenti. È quindi necessario rimettere la donna al suo posto: l’attuazione del divieto di aborto è inquisitoria e non è affatto accompagnata, come vorrebbe la tradizione cristiana, da una politica di carità verso le più bisognose.

È in atto il movimento contrario. Il divieto dell’aborto non è una difesa della famiglia: è un divieto che funziona solo come divieto e lascia intatta la libertà sessuale dei dominanti. La prova: non appena i tradizionalisti cristiani hanno celebrato quella che credevano essere una vittoria, Trump ha annunciato una sorprendente nuova sovvenzione per la fecondazione in vitro.

Immediatamente i vescovi cattolici americani si indignano: ci sarebbe una contraddizione 10. Ma non hanno capito: l’accelerazione non è cristiana, è transumanista come altri sono transgender. Se vogliono dei figli, non è per rispetto della Vita, è per perpetuarsi. La difesa della mascolinità non è il ritorno alla famiglia tradizionale, perché si rivolge agli individui e non alle coppie. È un’ideologia di singles, la cui versione più radicale è quella degli incels e che si adatta perfettamente alla poligamia di Elon Musk.

Hajime Sorayama. © CFOTO/SIPA

Antropologie dell’Impero delle norme

Ci troviamo quindi di fronte a tre “antropologie” e tre sistemi di valori opposti.

  • I cattolici tradizionalisti sono molto infastiditi dalla fantascienza demiurgica dei tecno-libertari che vogliono rendere Dio inutile quanto la gente comune. Ma non possono nemmeno accettare l’individualismo edonistico dei populisti identitari che vogliono semplicemente essere lasciati vivere in pace, senza vaccini né migranti, ma anche senza messa né confessione.
  • I populisti identitari sono inoltre sovranisti perché, per proteggere il loro stile di vita, hanno bisogno dello Stato sovrano che i tecnolibertari vogliono distruggere.
  • Questi populisti non vogliono la privatizzazione della sanità e della sicurezza, vogliono lo Stato-nazione, al contrario dei tecnolibertari che sognano solo di distruggere lo Stato per sostituirlo con un consorzio mondiale di imprenditori.

Questi tre gruppi non fanno riferimento a una visione comune di ciò che sarebbe la cultura occidentale, anche se tutti sperimentano una forma di deculturazione 11.

  • I cristiani fondamentalisti si considerano estranei a una cultura diventata pagana 12.
  • I libertari vivono in un’ucronia fantascientifica: un altro mondo è possibile, ma altrove; sono costantemente immersi in un videogioco; Il Signore degli Anelli è il loro serbatoio di immaginario; il passato non li interessa né li ispira.
  • I populisti vivono nel “modo di vivere”, nell’immanenza permanente, nella nostalgia della giovinezza dei loro genitori.

Queste tre tribù hanno tuttavia due punti in comune: il risentimento – quindi l’odio – e l’amore per la norma.

I cristiani fondamentalisti credono nella legge – più che nell’amore – come condizione stessa della libertà; si lamentano delle lungaggini burocratiche solo nella misura in cui impediscono loro di applicare le proprie norme, come ad esempio esigere dai propri dipendenti l’adesione ai valori cristiani. Quando parlano di libertà, non dicono “freedom” ma “liberty“, cioè non la tanto odiata libertà individuale, ma l’autonomia della Chiesa – libertas ecclesiae nella terminologia canonica –; è significativo che l’executive order di Trump che amnistia i militanti cristiani parli piuttosto di “religious liberty” che di religious freedom 13. Tutto lo sforzo dei fondamentalisti cristiani è quello di agire attraverso la legge, da qui la centralità del controllo della Corte Suprema nella loro strategia politica.

I populisti e i libertari sembrerebbero molto più contrari a qualsiasi estensione dell’impero delle norme che attribuiscono al «wokismo» e all’ecologia. Ma è esattamente il contrario: vogliono semplicemente invertire la logica normativa a loro vantaggio. L’arrivo di Trump al potere ha portato a un aumento della pressione normativa. Per porre fine a una normatività ecologica, come il divieto delle cannucce di plastica, Trump non risponde con la libertà di scelta, ma con il divieto delle cannucce di cartone. Lamentandosi della censura woke, la nuova destra esercita una nuova censura ancora più sistematica sui libri e sull’istruzione: invece di censurare un autore, si censura un’intera categoria concettuale: il genere e la razza. Questo riflesso si ritrova logicamente nella destra francese su scala minore: la protesta contro la censura woke si esprime con richieste di divieto, espulsione e revoca della cittadinanza.

Per porre fine a una normatività ecologica, come il divieto delle cannucce di plastica, Trump non risponde con la libertà di scelta, ma con il divieto delle cannucce di cartone.

Olivier Roy

Il paradosso dei libertari è che sono contrari alle norme, ma aderiscono a un impero in cui le norme si applicano agli altri. Le norme servono quindi a consentire alla nuova élite di affrancarsi dalle norme. Sono la condizione per l’esercizio dell’onnipotenza. L’uomo del risentimento può finalmente realizzare il suo sogno nietzschiano: porre fine al senso di colpa.

Ecco perché è necessario seguire da vicino questo dibattito sui valori.

I risultati delle elezioni sia in Europa che negli Stati Uniti dimostrano da tempo che si vota più per le proprie idee che per i propri interessi: come spiegare altrimenti perché i bianchi poveri e le minoranze hanno votato per Trump?

Ma questa guerra dei valori al centro dell’elettorato populista è molto mutevole. Perché quando i valori si traducono in norme meschine che toccano tutti gli ambiti della società e della vita privata, senza per questo alleviare l'”insicurezza culturale” né portare prosperità, allora forse la libertà tornerà ad essere desiderabile.

Note
  1. Culture Wars: The Struggle To Define America, Basic Books, 1991.
  2. Sulla coalizione mondiale dei valori, cfr. Stoeckl, Kristina e Dmitry Uzlaner (2022). The Moralist International. Russia in the Global Culture Wars. New York: Fordham University Press; Pasquale Annicchino, Sovranismo religiosoIl Foglio, 17 settembre 2018.
  3. René Rémond, La Droite en France de 1815 à nos jours. Continuité et diversité d’une tradition politique, Parigi, Aubier, 1954.
  4. Olivier Roy, L’Aplatissement du monde, capitolo 3, Le Seuil, 2023; Mark Noll, The Scandal of the Evangelical Mind. Da notare che la più grande università evangelica (Liberty University) non ha alcun dipartimento di “Humanities“, filosofia o storia, a differenza delle università cattoliche (Notre-Dame, Georgetown), ma dipartimenti di marketing, comunicazione e psicologia comportamentale. Vedi anche qui.
  5. Per il contesto della citazione, cfr. G. R. Steele, There is no such thing as society, IEA, 30 settembre 2009.
  6. Marcel Gauchet, À la découverte de la société des individus, Le Débat 2020/3 n. 210.
  7. Pierre Manent, La Loi naturelle et les droits de l’homme, PUF 2018.
  8. Per curiosità, la Cappella Reale di Dreux, necropoli degli Orléans, riunisce ora la famiglia e i suoi ospiti in messe in latino dove si ritrova tutto il gotha legittimista d’Europa. Il principe Jean, conte di Parigi, si distingue dal suo rivale legittimista, Luigi di Borbone, solo per l’accento spagnolo di quest’ultimo.
  9. Quinn Slobodian, Crack-Up Capitalism: Market Radicals and the Dream of a World Without Democracy (p. vi), Henry Holt and Co., 2023.
  10. L’industrie de la FIV traite les êtres humains comme des produits et congèle ou tue des millions d’enfants“, Riposte catholique, 21 febbraio 2025.
  11. Per gli evangelici, vedi: Olivier Roy, La Sainte Ignorance; per i populisti, Olivier Roy, L’aplatissement du monde.
  12. Ruth Graham, He Gave a Name to What Many Christians FeelThe New York Times, 6 marzo 2025.
  13. Casa Bianca, “Il Dipartimento dell’Istruzione di Biden ha cercato di abrogare le protezioni della libertà religiosa per le organizzazioni religiose nei campus universitari“, 6 febbraio 2025.