Con la pubblicazione del rapporto Draghi, che Il Grand Continent ha accompagnato nelle varie lingue della rivista, l’Unione si prepara a entrare in una nuova fase. Da diverse settimane diamo la parola a ricercatori, commissari europei, economisti, ministri e industriali per reagire a una delle più ambiziose proposte di trasformazione dell’Unione. Se apprezzate il nostro lavoro e avete i mezzi per farlo, vi invitiamo ad abbonarvi a Il Grand Continent.

La produzione di idrogeno a partire da elettricità rinnovabile e a basse emissioni di carbonio giocherà un ruolo fondamentale non solo per il successo delle politiche energetiche, climatiche e industriali dell’Unione, ma anche come strumento per la sicurezza energetica e alimentare in un mondo in crisi. Senza l’adozione su larga scala dell’idrogeno rinnovabile, sembra impossibile procedere verso una reale sicurezza energetica e alimentare compatibile con le nostre ambizioni climatiche. La nascita di un’infrastruttura per l’idrogeno a livello europeo potrebbe trasformare questa visione in realtà.

Come ci ricorda il rapporto sul futuro della competitività redatto da Mario Draghi, l’Europa sta affrontando una sfida di competitività senza precedenti su tre fronti: la semplicità, la velocità e l’efficacia. In altre parole: l’Unione non sa essere semplice, veloce ed efficace nelle sue politiche industriali ed energetiche.

Questo articolo fa il punto sulle politiche europee definite nel mandato della Commissione precedente, e propone sette modi per migliorarle e farle dunque diventare più semplici, più forti e più efficaci. Sebbene possano essere letti come adattamenti più o meno diretti delle principali raccomandazioni del rapporto Draghi, devono soprattutto essere visti alla luce del grande messaggio che ci viene inviato dagli Stati Uniti a favore della semplicità – non del semplicismo – e di una leadership più forte – che non è sinonimo di autoritarismo.

L’Europa non ha più né tempo per raffinatezze e né mezzi per soddisfare le forze economiche in gioco. Le normative devono smettere di essere costruite su compromessi che creano complessità e illegalità: dobbiamo fare la scelta decisa della semplicità per tracciare un percorso di decarbonizzazione che sia favorevole agli investimenti perché chiaro, piuttosto che organizzare una giungla di regimi normativi e meccanismi di sostegno. Per quanto riguarda la governance, essa deve puntare soprattutto alla velocità. I buoni risultati devono essere sostenuti attivamente, e quelli cattivi puniti secondo regole anticipate, trasparenti e non discriminatorie. Questo è l’unico modo per rendere le regole efficaci.

Sviluppare una vera pianificazione su scala europea

Con l’idrogeno, per la prima volta, una nuova energia sarà dispiegata all’interno di una prospettiva europea che viene dunque integrata fin dall’inizio, piuttosto che attraverso un collegamento ed un’armonizzazione ex post dei mercati nazionali: l’economia dell’idrogeno è quindi di per sé un elemento importante nel perseguimento dell’integrazione economica europea. Può contribuire alla sicurezza energetica ampliando l’accesso alle energie verdi e rafforzare la nostra sovranità alimentare ricollocando i fertilizzanti nel nostro Paese o in Paesi “amici” per assicurare il nostro domani. Questa visione è stata al centro delle realizzazioni della Commissione europea per il periodo 2019-2024, dalla strategia dell’Unione per l’idrogeno per il 2020 alla profonda revisione della legislazione europea in materia di energia e clima attraverso il pacchetto di misure Fit for 55.

L’Europa non ha più né tempo per raffinatezze e né mezzi per soddisfare le forze economiche in gioco.

Pierre-Etienne Franc

Il rapporto Draghi sottolinea l’importanza di una governance integrata per affrontare la sfida della competitività: l’economia dell’idrogeno deve essere pianificata a livello europeo e pensata nel quadro del mercato unico. In quanto primo importatore mondiale di energia, l’Europa può imprimere il ritmo della transizione dai combustibili fossili alle energie pulite presentando un fronte unito su queste nuove energie. Nell’attuale contesto geopolitico, dobbiamo accelerare tutte le azioni che potranno ampliare l’accesso alle energie rinnovabili e sostituibili. E l’idrogeno è uno dei principali vettori per raggiungere questo obiettivo.

Sette proposte 

1 – Impegnarsi per una graduale eliminazione della produzione di idrogeno fossile

Occorre dare segnali semplici e decisivi per stimolare gli investimenti 

Il rapporto Draghi indica che la transizione graduale all’idrogeno e ai gas verdi nell’industria dovrebbe avvenire laddove è economicamente vantaggiosa.

L’infrastruttura strategica di importazione del GNL, che è in espansione, potrebbe dover essere convertita per gestire i combustibili emergenti della transizione energetica in un futuro prossimo. Il suo finanziamento dovrebbe quindi essere soggetto a un valore di opzione che consideri uno scenario di riconversione. Ci spingiamo oltre, affermando che è necessario pianificare anche una graduale eliminazione delle applicazioni dei combustibili fossili, come l’idrogeno “grigio” prodotto dal gas naturale, sfruttando le opportunità a disposizione dell’Europa nel Mare del Nord e nel Mediterraneo per implementare soluzioni di cattura e stoccaggio del carbonio, ove opportuno, oppure organizzando e sostenendo il passaggio all’idrogeno verde. Un chiaro impegno da parte dell’UE a vietare tutte le nuove capacità di produzione di idrogeno fossile nell’UE e un’eliminazione programmata della produzione residua di idrogeno fossile entro un lasso di tempo ragionevole darebbero un grande impulso all’avvio del settore. La COP29 sarebbe stata la cornice ideale per inviare questo messaggio; ora dobbiamo puntare sul Brasile e sulla COP30. 

Il mercato del gas, quello dell’elettricità e quello dell’energia pulita sono altamente correlati. Per questo motivo, al fine di ottimizzare la conversione delle infrastrutture esistenti, lo sviluppo della rete deve essere immaginato in modo integrato. 

Sviluppare la “dorsale europea dell’idrogeno” (European Hydrogen Backbone, EHB)

A questo proposito, la realizzazione della dorsale dell’idrogeno dell’UE è una componente essenziale della produzione di idrogeno su larga scala nell’Unione. La maggior parte degli attuali vincitori degli appalti della Banca dell’idrogeno si affida in larga misura alla EHB per rifornire i consumatori finali (come nel caso dei progetti spagnoli ad esempio). Inoltre, nell’attuale contesto in cui, nel settore elettrico, si levano sempre più voci sull’aumento delle ore di tariffazione negativa, l’accesso ad una rete dedicata all’idrogeno è essenziale per consentire agli elettrolizzatori di operare in modalità load-following, assorbendo le energie rinnovabili “in eccesso” durante le ore di picco solare/eolico. Come sottolinea il rapporto Draghi, la disponibilità di infrastrutture consentirà di produrre idrogeno in luoghi dove l’energia rinnovabile è abbondante e a buon mercato, e di creare un mercato liquido e competitivo per i consumatori industriali. Ciò consentirà di sfruttare meglio gli attivi europei, in un’economia che sta diventando fondamentalmente basata sugli asset, dai quali è necessario estrarre il massimo per ridurre i costi di utilizzo degli attivi installati. 

Per ottimizzare la conversione delle infrastrutture esistenti,
lo sviluppo della rete deve essere immaginato in modo integrato.

Pierre-Etienne Franc

2 – Fornire garanzie e regole di condivisione del rischio a livello europeo per lo sviluppo della dorsale dell’idrogeno

La realizzazione della dorsale dell’idrogeno deve affrontare diverse sfide. 

La prima è il rischio in termini di volume e di calendario per la messa in servizio. Attualmente non esiste un quadro normativo che chiarisca le condizioni in base alle quali i produttori di idrogeno o i potenziali consumatori possano essere risarciti se l’Operatore della rete di trasmissione dell’idrogeno (HTNO) li collega in ritardo, né il modello finanziario per l’avvio dell’infrastruttura senza volumi immediatamente contrattati. I rischi finanziari sono enormi: a lungo termine saranno chiariti dai codici di rete e dalla legislazione europea, ma nel frattempo l’Unione Europea dovrebbe fornire una “garanzia di disponibilità dell’infrastruttura” per coprire questo rischio, secondo un sottoinsieme di criteri ed entro il limite di un livello di ritardo accettato, oltre il quale l’HTNO rimarrebbe l’unico responsabile. Questa garanzia potrebbe provenire da uno strumento specifico della Banca europea per gli investimenti (BEI), controgarantito da risorse a livello europeo.

Il pacchetto “gas” fornisce anche un quadro di riferimento per il rischio di ramp-up, ossia il rischio di dover sostenere tutti i costi dell’infrastruttura per un piccolo numero di utenti che adottano per primi la rete dell’idrogeno, il che li dissuaderebbe dall’utilizzare l’idrogeno in prima istanza. Sebbene adattato alle esigenze degli Stati membri pionieri – ad esempio il sistema tedesco Kernnetz – non corrisponde alla struttura del mercato di tutti gli Stati membri, né alle diverse capacità finanziarie dei bilanci nazionali. L’offerta di un conto di finanziamento a livello europeo e di un sistema di garanzia a livello di BEI per gli HTNO che partecipano alla diffusione di EHB rappresenterebbe quindi un importante passo avanti. 

Queste proposte sono simili a quelle avanzate per la rete elettrica nel rapporto Draghi. 

A causa del loro periodo di ammortizzamento e della loro natura di monopoli naturali, queste reti richiedono meccanismi di finanziamento del debito a lungo termine. La Commissione deve collaborare con la BEI e la Banca dell’idrogeno – il cui mandato dovrebbe essere esteso e rafforzato per includere anche altre nuove energie – per sviluppare strumenti finanziari che mobilitino capitali privati per gli investimenti nelle reti, al fine di limitare l’impatto dei costi sul consumatore finale o sui bilanci pubblici. Mario Draghi propone, ad esempio, garanzie pubbliche per ridurre il rischio di prestiti a lungo termine per gli investitori privati e affrontare i rischi di rifinanziamento associati alla lunga vita economica degli asset di rete. 

© Nano Calvo/VWPics/SIPA

Finanziare l’economia dell’idrogeno in Europa

Oltre al ruolo pionieristico del processo dei Grandi Progetti di Interesse Comune Europeo (MPCEI), attuato congiuntamente con gli Stati membri sotto l’egida della Commissione, quest’ultima ha messo in campo con successo importanti strumenti di finanziamento a livello europeo attraverso la Banca Europea dell’Idrogeno (H2B) e il Fondo per l’Innovazione ETS, che hanno avuto un impatto positivo sullo sviluppo di progetti di decarbonizzazione su larga scala incentrati sull’idrogeno a basse emissioni di carbonio. Un’iniziativa europea sul finanziamento di queste nuove energie, e in particolare delle loro infrastrutture di natura europea, sarebbe coerente con gli obiettivi – e commisurata ad essi. Terrebbe conto della necessità di fare leva su tutta l’Europa ed eviterebbe di gravare ulteriormente sui bilanci degli Stati membri, fortemente limitati dalle sfide socio-economiche che il nostro continente deve affrontare. Le stesse questioni dovranno presto essere affrontate in relazione alla difesa. L’approccio di assertivo protezionismo industriale da un lato, e di massima apertura al capitale straniero e a una manna finanziaria pubblica negli Stati Uniti per rafforzare l’economia americana dall’altro, così come la fortissima competitività cinese in parte sostenuta da fondi pubblici di Pechino, sono tutti messaggi ai quali l’Europa deve reagire il più rapidamente possibile, adattando sia la sua politica di bilancio e che monetaria. Gli Stati membri e l’Unione Europea devono mobilitarsi il più rapidamente possibile, esigendo allo stesso tempo un alto livello di reattività da parte degli attori economici nell’attuazione delle politiche europee. A tal fine sono necessarie normative che abbiano un impatto finanziario diretto e massiccio: aiutare chi va avanti e penalizzare chi arranca.

Il finanziamento della strategia sull’idrogeno e, più in generale, delle ambizioni climatiche dell’UE, preservando al contempo la nostra competitività, richiede investimenti massicci
su una scala che non si vedeva dal dopoguerra.

Pierre-Etienne Franc

Sfruttare il successo della Banca dell’idrogeno (H2B) su larga scala

Nell’aprile 2024, la Commissione europea ha aggiudicato l’asta pilota della Banca dell’idrogeno a sette progetti europei di idrogeno rinnovabile, che rappresentano 720 milioni di euro di investimenti. Lo sviluppo di questo dispositivo, come strumento di finanziamento comune, è un passo importante nella politica climatica ed energetica dell’Unione. La banca H2B ha avuto un impatto significativo nel creare un interesse diffuso per l’idrogeno rinnovabile e a basse emissioni di carbonio. Il prossimo passo necessario è quello di basarsi sull’esperienza acquisita e implementare lo strumento su scala, cioè al di là dei quasi 2 miliardi di euro di sostegno annunciati.

3 – Una Banca dell’idrogeno (H2B) con un budget di 40 miliardi di euro per attuare misure di sostegno su larga scala

La sfida principale consiste nello sviluppare lo strumento a un livello in linea con le ambizioni dell’Unione: ipotizzando che tutti i progetti aggiudicati nell’ambito dell’asta pilota vengano messi in linea, la H2B sosterrebbe la produzione di 0,15 Mt di H2/anno, ovvero lo 0,75% dell’obiettivo di RePowerEU – l’1,5% dell’obiettivo di produzione interna dell’Unione. Supponendo che solo il 20% dell’obiettivo di produzione interna dell’Unione per il 2030 (10 Mt/anno) sia raggiunto con il sostegno della H2B e che lo strumento copra, in media, una differenza di prezzo di 2 euro/kg per 10 anni, la H2B necessita di un budget di circa 40 miliardi di euro per la sua durata.

Il rapporto Draghi sostiene la necessità di sviluppare strumenti come la Banca europea dell’idrogeno e i Contracts for difference (CfD), un meccanismo per coprire il differenziale di costo tra la produzione di idrogeno fossile e quella a basse emissioni di carbonio. Il rapporto raccomanda di semplificare, accelerare e armonizzare i meccanismi di assegnazione dei sussidi adottando strumenti comuni. Il rapporto suggerisce inoltre di mobilitare maggiori risorse ETS per finanziare tali strumenti, comprese le risorse ETS2 1: siamo ampiamente d’accordo con questo approccio, in complementarietà con il capitale privato. Allo stesso modo, la Banca europea potrebbe contribuire, a complemento delle politiche nazionali, a finanziare in misura maggiore gli investimenti necessari per la riconversione delle industrie di processo ad alta intensità di combustibili fossili, al fine di garantire la loro permanenza nell’area europea per i decenni a venire: si tratta di una questione di occupazione, competitività e sovranità energetica e industriale.

La stabilizzazione delle aspettative e le informazioni sugli appalti successivi devono essere trasparenti e disponibili con largo anticipo per facilitare la pianificazione degli investimenti.

Strategie di finanziamento innovative: verso un sistema di risparmio climatico dell’UE

Il finanziamento della strategia sull’idrogeno e, più in generale, delle ambizioni climatiche dell’UE, preservando al contempo la nostra competitività, richiede investimenti massicci su una scala che non si vedeva dal dopoguerra – o addirittura dalla prima rivoluzione industriale – come dimostra la cifra di 800 miliardi di euro in apertura del rapporto Draghi. Le risorse pubbliche, siano esse dell’Unione o degli Stati membri, non saranno sufficienti. Non commettiamo errori: investire il più rapidamente possibile in un’economia a basse emissioni di carbonio giova anche alla sovranità e alla sicurezza del continente, non solo in termini di energia, ma anche in settori strategici come l’acciaio per la difesa ed i fertilizzanti per l’alimentazione.

 I risparmi a lungo termine – assicurazioni vita, piani pensionistici – sono il veicolo ideale per finanziare le infrastrutture necessarie alla transizione, grazie alla loro lunga scadenza e al profilo di rischio desiderato.

Pierre-Etienne Franc

4 – Attuare una politica monetaria rispettosa del clima

La tassonomia dell’Unione ha fornito un quadro normativo per l’ identificazione degli investimenti verdi e marroni.

Spetta ora all’UE fornire chiari incentivi economici per l’impiego di investimenti verdi, al di là delle preferenze degli investitori e delle scelte in materia di ESG (Environmental, Social and corporate Governance). Data l’intensità capitalistica della transizione, è essenziale fare tutto il possibile per differenziare al più presto il costo del capitale tra investimenti verdi e investimenti verdi.

Una politica monetaria rispettosa del clima – sia che favorisca gli asset verdi attraverso il quantitative easing sia che favorisca i tassi duali, come suggerito da voci all’interno della comunità economica – si rivelerà necessaria: la Commissione ha un ruolo da giocare nell’incoraggiare la BCE a fare i primi passi e a confermare il suo chiaro posizionamento a favore di una politica monetaria verde. Come suggerisce il rapporto Draghi, anche un adeguamento favorevole dei requisiti patrimoniali per gli asset verdi sarebbe un incentivo fondamentale per la transizione. 

5 – Una direttiva europea sul risparmio verde

Allo stesso tempo, il tasso di risparmio aggregato delle famiglie dell’UE ha raggiunto un livello record 2.

Mettere il capitale delle famiglie al servizio del finanziamento della transizione è quindi una soluzione ovvia. I risparmi a lungo termine – assicurazioni vita, piani pensionistici – sono il veicolo ideale per finanziare le infrastrutture necessarie alla transizione, grazie alla loro lunga scadenza e al profilo di rischio desiderato: se l’UE non riesce a compiere una transizione competitiva verso l’azzeramento delle emissioni, ben poco dell’economia produttiva europea sopravviverà.

Il rapporto Draghi afferma che l’UE deve incanalare meglio i risparmi delle famiglie verso investimenti produttivi attraverso prodotti di risparmio a lungo termine come le pensioni. 

© Nano Calvo/VWPics/SIPA

Una soluzione potrebbe essere il varo di una direttiva europea sul risparmio verde, che definisca un quadro unificato per i prodotti di risparmio verdi nell’Unione, con una bassa liquidità dal lato del consumatore, una lunga scadenza – investendo solo in fondi classificati ai sensi dell’art. 9 della Sustainable Finance Disclosure Regulation – e finanziamenti di attività conformi alla tassonomia all’interno dell’Unione. 

Questi prodotti rappresenterebbero una categoria di risorse pronte ad essere considerate prioritarie nei futuri aggiornamenti del quadro UE sui requisiti prudenziali, in quanto sarebbero intrinsecamente resilienti al clima e contribuirebbero alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Si tratterebbe di un’estensione naturale degli sforzi della BCE per garantire che il rischio climatico sia tenuto in maggiore considerazione nelle attività di vigilanza e regolamentazione. Sarebbero destinati a investimenti sul territorio europeo o a favore di soggetti europei, per garantire che i risparmi europei servano innanzitutto gli interessi strategici europei. 

Gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a fornire vantaggi fiscali e giuridici per questi prodotti, basandosi sui regimi fiscali esistenti per le assicurazioni vita o i risparmi a lungo termine in alcuni Stati membri. Naturalmente, imporre deduzioni o esenzioni fiscali agli Stati membri richiederebbe un accordo unanime all’interno del Consiglio. In questo senso, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di riservare alcune risorse dell’UE per investimenti che sono stati attuati in Stati membri che le adottano (per esempio l’EHB, il Fondo per l’innovazione, il Connecting Europe Facility o CEF). Questa iniziativa seguirebbe una logica di addizionalità: le risorse dell’UE vengono mobilitate dove il capitale privato è più sollecitato a investire nella transizione. Potremmo anche prevedere che una frazione del costo fiscale sostenuto dagli Stati membri per le misure di promozione del risparmio verde sia dedotto dai loro contributi al bilancio dell’UE, oppure venga dedotto dai loro obiettivi di deficit nell’ambito del Patto di Stabilità e Crescita.

Mettere in atto la transizione energetica

Nel rapporto Draghi, si sottolineano anche la sfida dell’implementazione e la responsabilità degli Stati membri.

La maggior parte degli Stati membri dell’UE non ha raggiunto gli obiettivi del 2020 per l’utilizzo di energie rinnovabili nei trasporti e, ad oggi, nessuno ha formalmente trasposto in toto le principali direttive approvate durante il precedente mandato, in particolare RED 2 e 3 (la seconda e terza direttiva sulle energie rinnovabili). Il prossimo mandato dovrà adoperarsi per garantire che queste direttive siano attuate il più rapidamente possibile, e a tal fine dovrà puntare a semplificare le norme per facilitarne l’adozione.

La transizione si basa più su progetti concreti
che su obiettivi finemente articolati in direttive e regolamenti.

Pierre-Etienne Franc

Questa situazione, aggravata dall’illeggibilità delle norme RED 3 vista la loro immensa complessità, è un segno del fallimento della politica normativa europea a seguito della sua mancanza di semplicità, della sua incapacità di recepimento rapido e, soprattutto, della sua inefficacia in termini di attuazione, sia che si tratti di un incentivo o di una punizione.

Un cambiamento europeo in questo settore è urgente, se vogliamo evitare di paralizzare il nostro continente sotto il peso di norme che non sono solo incomprensibili al pubblico, ma che sono anche divisive e persino confuse per gli esperti – ed, in ogni caso, incomprensibili per gli investitori. La transizione si basa più su progetti concreti che su obiettivi finemente articolati in direttive e regolamenti: per essere un successo, le scelte politiche devono essere tradotte direttamente e semplicemente nei modelli finanziari degli investitori. Ma oggi dedichiamo più tempo a questo tipo di questioni che all’effettiva realizzazione di progetti, investimenti e attività tangibili per gli europei. Questa situazione è la peggiore dimostrazione dello scollamento tra il nostro mondo politico e normativo e la vita dei cittadini e delle imprese europee.

Trasformare gli obiettivi di Fit for 55 in progetti e investimenti concreti

Al centro del disegno politico del pacchetto Fit for 55 c’è una doppia combinazione di misure, basata da un lato sulla progressiva attuazione di uno strumento di tariffazione del carbonio in tutta l’economia europea e sul miglioramento della sua resistenza alla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, e dall’altro su mandati settoriali volti a incorporare le energie rinnovabili nel consumo finale di energia. Questi mandati sono un motore essenziale per lo sviluppo dell’idrogeno, senza il quale non è possibile un’adozione su larga scala, dato che il segnale del prezzo del carbonio non è sufficiente a innescare gli investimenti nei settori più difficili da decarbonizzare 3

6 — Rendere i combustibili rinnovabili di origine non biologica (RFNBO) e i mandati in materia di energie rinnovabili una realtà di progetti e di investimenti chiarendo il campo di applicazione e le condizioni di attuazione e garantendo una trasposizione omogenea nell’Unione

La domanda normativa non si concretizza – ancora – perché la regolamentazione non è – ancora – efficace. 

Uno dei motivi principali per cui gli offtaker sono cauti nell’impegnarsi su volumi a lungo termine è in gran parte dovuto alla natura incerta degli obblighi normativi e delle relative sanzioni causate dalla mancanza di recepimento, dal recepimento errato o incompleto degli obblighi normativi – in particolare quelli della direttiva sulle energie rinnovabili, ma che interessano, in una certa misura, anche RefuelEU aviation e FuelEU maritime. Questa situazione ha portato all’emergere di progetti sull’idrogeno principalmente per le raffinerie e non per la vasta gamma di settori difficili da decarbonizzare che si renderanno necessari.

La Commissione ha un ruolo fondamentale da svolgere nell’affrontare queste sfide.

  • Può chiarire il campo di applicazione dei mandati e guidare gli Stati membri verso una responsabilità che incombe sugli operatori economici piuttosto che sui singoli Stati membri, sfruttando al contempo l’infrastruttura del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (MACF) per garantire un’adeguata protezione contro le “fughe di mandato”, in particolare nel contesto degli articoli 22 bis/22 ter.
  • Può garantire un quadro di attuazione omogeneo tra gli Stati membri che sia il più leggibile possibile per gli investitori, in modo che i segnali economici condividano una struttura comune e ben integrata nel mercato dell’Unione. Mario Draghi propone nel suo rapporto di minimizzare il costo della trasposizione da parte degli Stati membri e di rafforzare il ruolo dell’ente incaricato dell’applicazione delle norme del mercato unico (SMET) al fine di evitare trasposizioni errate.
  • Sulla base di questa trasposizione omogenea, può promuovere l’emergere di un mercato europeo dei “certificati di incorporazione di RFNBO” che sarà trasparente, liquido ed efficiente, piuttosto che l’attuale sistema disgiunto di certificati nazionali che, nella maggior parte dei casi, non consente una facile circolazione dei contenuti rinnovabili incorporati attraverso le frontiere intra-europee. Questo approccio è conforme alla raccomandazione del rapporto Draghi di coordinare e distribuire gli strumenti di finanziamento – sovvenzioni, crediti, fiscalità, quote gratuite – in tutto il mercato unico.
  • Può innescare la domanda di prodotti rinnovabili e a basse emissioni di carbonio in altri settori d’azione dell’Unione. Ad esempio, la politica agricola comune potrebbe, nel suo prossimo esercizio, concedere dei premi agli agricoltori che optano per dei fertilizzanti rinnovabili e a basso tenore di carbonio, e le norme applicabili ai veicoli o agli edifici potrebbero imporre una quota crescente di utilizzo di acciaio a basso tenore di carbonio. A questo proposito, il rapporto Draghi non propone un’attuazione settoriale, ma cerca di stimolare la domanda di prodotti verdi incoraggiando la trasparenza attraverso la definizione di norme europee per l’etichettatura, la misurazione e la comunicazione dell’impronta di carbonio dei prodotti.

Garantire l’efficacia delle norme europee in materia di CO2 nel trasporto su strada

L’Unione ha giustamente imposto norme di CO2 molto ambiziose, in particolare per camion e autobus, e ha fissato requisiti minimi per la ricarica dei veicoli elettrici e il rifornimento di idrogeno mediante il regolamento sulle infrastrutture per i carburanti alternativi (AFIR) 4.

Il rapporto Draghi omette in modo cruciale il ruolo dell’idrogeno nella mobilità,
in particolare nel trasporto pesante.

Pierre-Etienne Franc

7 – Presentare un messaggio chiaro sugli obiettivi di CO2 per i veicoli e creare un’infrastruttura per le batterie e l’idrogeno con un sistema di pagamento di capacità a livello europeo

Attualmente si teme che non sia possibile raggiungere gli obiettivi fissati per i camion e gli autobus, poiché i produttori sembrano scommettere su una revisione degli obiettivi. A sostegno di questa tesi ci sono alcuni fatti preoccupanti: (i) non ci sono praticamente camion a emissioni zero sulle strade; (ii) cominciano a esistere modelli di camion a batteria, ma a prezzi molto elevati; (iii) sono in fase di sviluppo e presentazione modelli di camion H2, ma i produttori hanno dichiarato che non saranno commercializzati prima del 2027 (piccole serie) o del 2029-30 (grandi volumi) a causa della mancanza di infrastrutture; (iv) il successo del CEF/AFIR nasconde l’assenza di una vera e propria strategia di diffusione coordinata dagli Stati membri, dai produttori di veicoli e dagli operatori delle infrastrutture.

Il rapporto Draghi omette in modo cruciale il ruolo dell’idrogeno nella mobilità, in particolare nel trasporto pesante. Si concentra sui veicoli elettrici, mentre esclude i camion e gli autobus a idrogeno, così come le infrastrutture di rifornimento di idrogeno, che sono comunque necessarie per decarbonizzare il trasporto su strada. Questo allevierebbe sia la notevole pressione che grava oggi sul rafforzamento delle reti elettriche, il cui costo è stimato in oltre 500 miliardi di euro, sia i tempi di attuazione che difficilmente saranno all’altezza delle ambizioni comunitarie. 

È possibile implementare modelli di partenariato pubblico-privato (PPP) e costruire una coalizione di investitori solo se esiste un modello di investimento con garanzie che accompagnano l’assunzione di rischi da parte delle autorità pubbliche. Gli standard di CO2 e AFIR sono soggetti a una clausola di revisione fissata al 31 dicembre 2026: in altre parole, 24 mesi di voci su una possibile revisione al ribasso degli standard di CO2 e degli obiettivi AFIR per il settore del riscaldamento, della ventilazione e del condizionamento dell’aria potrebbero essere sufficienti a paralizzare gli investimenti. La Commissione può fornire chiarimenti per evitare che ciò accada. Al tempo stesso, è necessario coordinare l’accelerazione dello sviluppo delle infrastrutture. Se l’Unione vuole mantenere i suoi obiettivi come dovrebbe, ha bisogno di una diffusione molto rapida e ambiziosa dell’infrastruttura delle batterie/H2. Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un approccio molto più coordinato. La Commissione dovrebbe dare priorità politica a questo tema, poiché il suo successo è essenziale per il successo degli standard di emissione di CO2.

Al contempo, non è escluso che la governance europea debba essere radicalmente rivista: questo è essenziale se l’Europa vuole avere le risorse per una politica veramente integrata nei settori chiave della sua sicurezza.

Pierre-Etienne Franc

Il rapporto Draghi incoraggia i PPP e la cooperazione transfrontaliera: l’UE dovrebbe infatti sostenere l’innovazione nell’implementazione dei mercati attraverso vari strumenti, con la produzione di carburanti rinnovabili sostenibili e a basse emissioni di carbonio, tra cui l’eSAF, citato come priorità assoluta nella spinta alla decarbonizzazione dei trasporti.

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Le sfide dell’economia dell’idrogeno sono quindi altamente emblematiche dell’intero problema europeo, che ha la visione più completa al mondo delle politiche di transizione ma soffre della più fragile capacità di esecuzione, a causa della complessità della governance e dell’incapacità di sviluppare un processo decisionale verticale, assolutamente critico quando il tempo è fondamentale. Il potere si distingue per la sua velocità di proiezione, e dobbiamo chiarire la governance e il processo decisionale per stabilire il ritmo necessario. Non è più tempo di argomentazioni tecniche sulle politiche climatiche che non sono alla portata di molte persone perché i loro benefici tangibili sono così lontani e diffusi.

Le questioni della sicurezza energetica, della sicurezza alimentare e della difesa sono basi estremamente concrete della politica climatica. L’urgenza geopolitica richiederà all’Europa di accelerare la sua attuazione, a beneficio di tutti. Al contempo, non è escluso che la governance europea debba essere radicalmente rivista: questo è essenziale se l’Europa vuole avere le risorse per una politica veramente integrata nei settori chiave della sua sicurezza.

Note
  1. Banca centrale europea, “Obstacles à l’écologisation des industries grandes consommatrices d’énergie”, 17 settembre 2024.
  2. Aggiornamento del periodo del Covid-19.
  3. Michael Grubb, Rutger-Jan Lange, Nicolas Cerkez, Ida Sognnaes, Claudia Wieners, Pablo Salas, Dynamic determinants of optimal global climate policy, Structural Change and Economic Dynamics, Volume 71, 2024
  4. Su questa base, con Hy24, abbiamo progettato il nostro fondo in modo da poter investire massicciamente nelle infrastrutture di rifornimento di H2 (HRS) e nelle flotte H2. Hy24 ha realizzato due investimenti significativi in questi settori: una rete di infrastrutture di rifornimento in Germania (H2 Mobility) e un modello commerciale integrato – veicoli, infrastrutture e servizi gestiti da HysetCo – in Francia.