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La chiara vittoria di Donald Trump ha messo alla luce del giorno una politica estera basata su un approccio, l’unilateralismo, e un metodo, la transazione. Questa doppia caratteristica sarà ormai la nuova normalità a Washington. Se i circoli di potere europei avevano previsto da almeno un anno un possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il costo associato alle misure necessarie per ridurre l’effetto delle politiche annunciate dalla futura amministrazione americana terrorizzava sistematicamente i decisori, giustificando così una forma di inattività. Da questo punto di vista, questa elezione può essere paragonata ad un “elefante nero”: una minaccia evidente e significativa alla quale nessuno voleva confrontarsi. Ora, però, l’Europa non ha più il lusso di farsi prendere dal panico 1: gli Stati europei devono già da ora prepararsi ad un cambiamento radicale nell’atteggiamento di Washington dal 2025 in poi.

È tanto più importante stabilire a cosa potrebbe somigliare uno scenario particolarmente sfavorevole per gli europei, visto che questo scenario è in realtà plausibile, se non addirittura probabile.

In questo studio, cerchiamo di tracciare i limiti di tale scenario, di descrivere le risposte necessarie per ridurne l’impatto e di anticipare i comportamenti probabili degli Stati europei, purtroppo ben lontani dalle risposte necessarie.

A breve termine, occorre prepararsi ad accettare una sconfitta ucraina e a dispiegare truppe europee per garantire quello che resterà del territorio ucraniano.

Olivier Schmitt

Cassandre a Bruxelles: lo scenario peggiore

La prima urgenza, la questione del sostegno all’Ucraina — mentre il paese entra nel suo millesimo giorno di guerra — si porrà in modo acuto.

Donald Trump e i suoi sostenitori hanno chiaramente annunciato di volere un piano di pace il più presto possibile. I contorni di questo piano sono ancora incerti, ma ci sono tutte le ragioni di temere che Mosca adotti una posizione massimalista. Infatti, sebbene il fronte non sia ancora crollato, la dinamica delle operazioni è favorevole alla Russia: Mosca, che continua a pensare 2 di poter vincere la guerra entro il 2025 o all’inizio del 2026, non ha quindi alcuna motivazione ad adottare una posizione conciliatoria. Nell’ipotesi di una vittoria russa sul campo di battaglia, le sue richieste comprenderanno probabilmente la secessione dei territori ucraini occupati da Mosca, una “finlandizzazione” completa dell’Ucraina, le dimissioni del governo Zelensky e l’ufficializzazione delle sfere d’influenza, con un controllo inizialmente semi-ufficiale del Cremlino su Georgia, Bielorussia e Moldavia. In altre parole, a breve termine occorre prepararsi ad accettare una sconfitta ucraina 3 e a dispiegare truppe europee per garantire quello che resterà del territorio ucraniano, oltre ad accogliere diversi milioni di rifugiati (il più grande spostamento di popolazione dalla Seconda Guerra Mondiale). Senza contare le critiche che riceveranno Francia e Germania per essere state più spaventate da una sconfitta russa che da una sconfitta ucraina, e per aver fatto troppo poco e troppo tardi per sostenere Kyiv.

Simultaneamente, è necessario anticipare un ritiro delle truppe americane schierate in Europa. Questo argomento è infatti diventato il nuovo punto di convergenza 4 tra gli esperti repubblicani. La conseguenza immediata di tale ritiro sarà un netto deterioramento della sicurezza europea. Nel 2019, l’International Institute for Strategic Studies stimava 5 che, a seconda della portata di un ritiro americano, gli europei dovrebbero collettivamente investire tra i 288 e i 350 miliardi di dollari all’anno nella loro difesa per mantenere semplicemente il livello delle capacità attuali garantito dalla presenza americana. Anche se antecedenti l’invasione su larga scala del 2022, queste cifre offrono un’idea dell’enorme contributo americano alla sicurezza europea e degli investimenti necessari per non migliorare, ma semplicemente conservare le capacità esistenti. Anche gli investimenti reali nella difesa che si sono susseguiti dal 2022 sono ancora lontani dall’essere sufficienti 6. noltre, dal punto di vista delle pratiche strategiche, le truppe di terra hanno una capacità dissuasiva superiore rispetto ad altre forze: a causa della loro bassa mobilità, e quindi della difficoltà di ridistribuirle rapidamente, al contrario ad esempio delle forze navali, segnalano un grado importante di impegno e determinazione, e sono in questo senso fondamentali. Di fatto, al di là delle mancanze nelle capacità che non tarderanno ad emergere, il ritiro delle truppe terrestri americane sarà un segnale molto chiaro 7 di un minore impegno americano in Europa — e comporterà una diminuzione della credibilità dissuasiva della NATO.

Dovremo quindi prepararci ad una guerra tra la Russia e la NATO entro un orizzonte di circa cinque anni. Intossicate da quello che non mancheranno di presentare come una vittoria e osservando il declino delle capacità di difesa europee e della credibilità della deterrenza dell’Alleanza, le élite russe saranno molto tentate di raggiungere quello che è il loro obiettivo strategico principale: il crollo totale della NATO e dell’Unione. Il test sarà probabilmente la conquista di un piccolo territorio in un paese confinante — ad esempio uno stato baltico — per mettere alla prova la solidità degli impegni di difesa reciproca — l’articolo V del trattato dell’Atlantico del Nord e l’articolo 42(7) del Trattato sull’Unione Europea. Gli Stati membri devono quindi non solo prepararsi a rafforzare la loro deterrenza nei confronti di Mosca, ma anche a combattere a breve termine se desiderano mantenere le istituzioni che hanno organizzato le loro interazioni per decenni. 

Le élite russe saranno molto tentate di raggiungere quello che è il loro obiettivo strategico principale: il crollo totale della NATO e dell’Unione.

Olivier Schmitt

In secondo luogo, l’Europa deve prendere sul serio i numerosi annunci di Donald Trump riguardo all’imposizione di dazi generali 8 del 10% al 20% su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti — e del 60% sui prodotti provenienti dalla Cina. Bisogna quindi prepararsi a una guerra commerciale, la cui portata precisa resta da determinare, ma che avrà un impatto significativo sul commercio estero, dato l’alto grado di esposizione dell’Unione e l’importanza del mercato americano per la sua economia 9. A seconda dei paesi, la compensazione 10 completa della restrizione del mercato americano mediante una riallocazione dei flussi commerciali richiederà tra i cinque (Germania) e dodici anni (Francia, Regno Unito), il che si tradurrà, nell’interim, in chiusure di imprese, aumento della disoccupazione e una riduzione generale dei redditi delle famiglie, colpendo paesi già preoccupati per la loro situazione economico-sociale.

In altre parole, i paesi europei devono prepararsi a una modificazione concomitante e senza precedenti delle fonti della loro prosperità e della loro sicurezza: dovranno affrontare contemporaneamente un grave deterioramento della loro sicurezza — certamente il più importante dalla fine della Guerra fredda — ed un aggravamento della loro situazione economica.

Questo worst case scenario si basa su tre ipotesi fondamentali, tutte plausibili, se non addirittura probabili: una sconfitta militare ucraina, un ritiro americano dall’Europa ed una guerra commerciale. Considerare questa situazione come base di lavoro non è quindi un pessimismo morboso: al contrario, dato l’impatto significativo di tale scenario, una pianificazione prudente richiede di prepararsi fin da subito.

Ciò che bisogna fare: trasformare lo stato sociale per difendere il continente

La prima urgenza è porre rimedio alla gravità del deterioramento della sicurezza ed anticipare un probabile ritiro americano dall’architettura della sicurezza europea.
Per gli Stati europei, ciò non può che significare un significativo aumento del loro impegno difensivo, portando il più rapidamente possibile la spesa per la difesa dal 2% del PIL attuale ad un 4 o addirittura 5% del PIL, corrispondente ai livelli della Guerra fredda, ossia un periodo in cui la protezione americana era quasi garantita, ma dove il Patto di Varsavia rappresentava una minaccia più grande rispetto alla Russia odierna.

Lo scenario peggiore si basa su tre ipotesi fondamentali, tutte plausibili, se non addirittura probabili: una sconfitta militare ucraina, un ritiro americano dall’Europa ed una guerra commerciale.

Olivier Schmitt

Ciò implica anche necessariamente una trasformazione del funzionamento degli Stati sociali europei, la cui struttura attuale è stata resa possibile dal minore bisogno di finanziare la difesa grazie alla protezione americana nel dopoguerra.

Attualmente, questi Stati operano come dei “salvadanai” 11, dove gli attivi in età produttiva vengono utilizzati per finanziare il benessere delle categorie di età improduttive — bambini e pensionati — con un forte premio per le persone anziane. Il terzo più anziano della popolazione europea riceve sostanzialmente più benefici sociali rispetto a tutte le categorie di età più giovani. In questo modo, gli Stati sociali europei sono delle macchine per livellare i redditi durante l’intero ciclo di vita. Questa funzione principale di trasferimento intergenerazionale si basa sul fatto che svolgono in minima maniera la seconda funzione teorica di uno Stato sociale: ridurre le disuguaglianze tra le categorie sociali — la cosiddetta funzione “Robin Hood” 12.

Tuttavia, qualsiasi aumento dei bilanci per la difesa peserà per definizione sugli attivi, in età e in grado di portare le armi, e che dovranno talvolta subire misure restrittive della libertà — come un servizio militare obbligatorio che già esiste in alcuni Paesi. Sembra sempre più ingiusto chiedere a degli attivi già sovraccarichi di essere gli unici a dover sostenere i costi aggiuntivi necessari alla produzione del bene collettivo che è la difesa.

Esiste quindi un dibattito importante e cruciale sulla necessaria contribuzione delle categorie più anziane a un rinnovato sforzo di difesa — un contributo che questa fascia di età non ha dovuto fornire per gran parte della loro carriera, grazie alla sicurezza del continente europeo dal 1991 — e sulla necessità di trasformare gli Stati sociali “salvadanaio” in “Robin Hood” che livellino le disuguaglianze tra le classi sociali. Questa trasformazione significativa comporterà una minore capacità individuale di accumulare capitale da trasmettere ai propri figli e nipoti — e quindi un arbitraggio tra bene collettivo — il finanziamento della difesa — e interessi privati. Tale trasformazione del modello di Stato sociale sarà di per sé insufficiente: saranno necessarie misure di riallocazione delle spese pubbliche esistenti. Tuttavia, tali misure saranno meglio accettate se le categorie sociali più svantaggiate trarranno realmente beneficio dall’effetto “Robin Hood”. Ovviamente, i dettagli di attuazione di tali politiche variano a seconda dei paesi europei, che non hanno tutti esattamente lo stesso modello di Stato sociale — la Francia, ad esempio, ha bisogno di ripensare 13 la propria fiscalità e le proprie spese per ridurre il debito — ma la grande dinamica di trasformazione del funzionamento statale è simile, soprattutto nell’Europa occidentale. Data la degradata condizione simultanea delle fonti di prosperità e sicurezza, non esiste alcuna soluzione compensativa che non implichi una riduzione del tenore di vita attuale delle popolazioni europee: la questione è distribuire i costi in modo equo, e il passaggio a un modello “Robin Hood” è un modo per farlo.

In secondo luogo, l’Europa, ed in particolare l’Unione, deve prepararsi alle conseguenze economiche della guerra commerciale che si preannuncia. Il primo punto riguarda la riaccelerazione dell’integrazione all’interno del mercato unico. Uno dei principali vantaggi economici degli Stati Uniti è la dimensione del loro mercato di consumo e del mercato dei capitali, che consente di raggiungere economie di scala e di distribuire i prodotti in tutto il paese, nonché di raccogliere finanziamenti significativi per le aziende promettenti. All’interno dell’Unione, il cosiddetto “mercato unico” soffre di una continua frammentazione 14: le 24 lingue diverse rappresentano un ostacolo naturale al commercio transfrontaliero, ma la persistenza di numerosi ostacoli nazionali 15 al commercio all’interno dell’Unione — come sistemi fiscali differenti, professioni regolamentate o legislazioni nazionali diverse — costituisce l’impedimento più rilevante alla crescita. Logicamente, anche i mercati dei capitali sono frammentati 16, limitando così le opportunità di investimento. Negli ultimi anni, è innegabile che si sia affermata una certa stanchezza nei confronti del mercato comune, con un rallentamento significativo degli sforzi di integrazione. Questi devono essere ripresi per rafforzare il mercato interno europeo e consentirgli di ridurre l’impatto delle misure tariffarie statunitensi. Allo stesso modo, l’integrazione del mercato dei capitali, come proposto nel rapporto Letta 17, aiuterà a finanziare gli investimenti a lungo termine nella difesa, ma anche nella trasformazione energetica. Infatti, come evidenziato nel rapporto Draghi 18, l’Europa soffre di una dipendenza energetica ed quindi è vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi, il che spiega in gran parte il suo divario di competitività con gli Stati Uniti: i prezzi al dettaglio e all’ingrosso del gas sono attualmente da tre a cinque volte superiori rispetto agli Stati Uniti, mentre i prezzi al dettaglio dell’elettricità sono da due a tre volte superiori. 

Sembra sempre più ingiusto chiedere a degli attivi già sovraccarichi di essere gli unici a dover sostenere i costi aggiuntivi necessari alla produzione del bene collettivo che è la difesa.

Olivier Schmitt

La recente presentazione dei due rapporti di cui si è appena parlato illustra bene come l’Unione sia consapevole delle sfide che si aprono di fronte a lei, e anche della loro portata. Se il diagnosticare ciò che i paesi membri dell’Unione dovrebbero fare è stato posto e ben documentato, ci sono purtroppo buone ragioni per pensare che non sarà ciò che faranno concretamente.

Ciò che l’Europa farà probabilmente: lo spettro del “ricatto per la protezione”

Il costo politico e finanziario delle misure necessarie è elevato: esse infatti presuppongono una forte scelta politica contro gli interessi immediati degli anziani, una fascia di età politicamente sovra-rappresentata 19 rispetto al suo peso demografico e che tende quindi a beneficiare 20 di più delle politiche pubbliche. Inoltre, una riconfigurazione del funzionamento degli Stati sociali implica una scelta politica volta a forzare trasferimenti ben più significativi dalle classi privilegiate verso quelle meno favorevoli. In altre parole: è molto probabile che i responsabili politici europei, privilegiando i propri obiettivi elettorali a breve termine, non andranno contro gli interessi delle categorie sovra-rappresentate o influenti nell’elettorato.

Pertanto, e di fronte all’impossibilità di finanziare gli investimenti necessari nella difesa, la tentazione sarà forte di cercare di negoziare accordi di protezione bilaterali con gli Stati Uniti, dando vita a una corsa tra gli Europei stessi per ottenere il maggior numero di favori da Washington. Sembra probabile che l’industria della difesa statunitense ne uscirà vincente, in quello che somiglierà a una sorta di “ricatto per la protezione”.

Inoltre, il proseguimento dell’integrazione europea e l’attuazione delle raccomandazioni dei rapporti Draghi e Letta richiedono una forte leadership politica da parte dei grandi Paesi dell’Unione, in particolare Francia e Germania. Tuttavia, questi due Paesi sono presi dalle proprie crisi politiche interne di ampia portata. In Francia, la dissoluzione fallita voluta da Emmanuel Macron ha privato quest’ultimo del già esiguo credito politico rimasto dalla sua poco spettacolare rielezione del 2022, mentre in Germania la coalizione guidata da Olaf Scholz si è appena autodistrutta, creando un’instabilità politica che durerà per diversi mesi. Mentre il momento storico richiederebbe una maggiore unità europea, le dinamiche vanno invece verso la frammentazione — per la gioia di Stati come l’Ungheria, che puntano consapevolmente su un mondo post-occidentale e su una subordinazione volontaria alla Russia e alla Cina.

Di fronte all’impossibilità europea di finanziare gli investimenti necessari, sembra probabile che l’industria della difesa statunitense ne uscirà vincente, in quello che somiglierà a una sorta di “ricatto per la protezione”.

Olivier Schmitt

In effetti, invece di ammortizzare i costi della guerra commerciale imminente rafforzando il mercato comune e investendo nella trasformazione dei settori produttivi europei, è altamente probabile che gli Stati europei cercheranno di salvare un modello industriale morente, deviando i loro flussi commerciali verso la Cina. Dal 2018, l’Unione si è gradualmente avvicinata agli Stati Uniti nel contesto di un ‘grande compromesso’, dove la relazione transatlantica è mantenuta mentre gli Stati europei dimostrano di poter sostenere gli Stati Uniti nell’area indo-pacifica. Questo spiega certamente la posizione sempre più netta della Commissione europea nei confronti della Cina.

Tuttavia, questa posizione è lontana dall’essere consensuale tra gli Stati membri, come ha rivelato una recente votazione sull’imposizione di dazi sui veicoli elettrici prodotti in Cina: mentre Stati come la Francia, l’Italia, la Polonia e i Paesi Baltici hanno votato a favore dei dazi, la Germania e l’Ungheria hanno votato contro, e dodici Paesi si sono astenuti. In altre parole, diversi Stati — ed in particolare la Germania — non sono convinti dal programma di ‘riduzione dei rischi’ (de-risking) con la Cina, poiché considerano il commercio con Pechino come un elemento importante di una strategia per uscire dalla loro stagnazione economica. Mentre gli Stati e gli ambienti economici europei temono l’eventuale imposizione di dazi da parte degli Stati Uniti 21, gli sguardi sono già rivolti verso la Cina. In linea con il suo programma anti-occidentale, Viktor Orbán ha già autorizzato Pechino a gestire un campus universitario 22 a Budapest e ha invitato la polizia cinese a effettuare pattugliamenti congiunti 23 in Ungheria, il che apre un evidente rischio di spionaggio e di sicurezza per l’Unione. L’industria tedesca, da parte sua, ha aumentato 24 i suoi investimenti in Cina negli ultimi anni, con record raggiunti nel 2024 25, nonostante la posizione ufficiale del governo sul ‘de-risking‘. La Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, pur ritirando l’Italia dall’iniziativa cinese della Nuova Via della Seta nel 2023, è andata in Cina nel luglio del 2024 per ‘rilanciare’ la relazione 26. Il presidente francese Macron ha recentemente nominato l’ex primo ministro Jean-Pierre Raffarin — noto sostenitore della Repubblica Popolare — come ‘inviato speciale’ per cercare di convincere Pechino a non penalizzare troppo i produttori francesi di cognac 27 in vista della prossima serie di “controtariffe” che la Cina potrebbe imporre in risposta alla misura europea contro i veicoli elettrici cinesi.

Proprio come gli Stati europei rischiano di precipitarsi disordinatamente alla Casa Bianca per cercare di ottenere garanzie sulla sicurezza, è anche probabile che si affretteranno a Pechino per negoziare accordi commerciali al fine di cercare di salvare ciò che resta del loro commercio estero. Certo, si tratterebbe di una soluzione a breve termine necessaria per attenuare i costi economici delle politiche americane, ma creerebbe problemi di dipendenza a lungo termine. Tuttavia, questo è un rischio che molti leader europei sarebbero disposti a correre se dovessero scegliere tra la pressione economica immediata e la dipendenza a lungo termine da uno Stato autoritario come la Cina.

Certamente, il peggio non è mai sicuro: l’Ucraina potrebbe resistere al fronte, Trump potrebbe decidere di non ritirare le truppe americane dall’Europa, gli Stati europei potrebbero intraprendere le riforme necessarie, ecc. Ma sulla traiettoria attuale, il peggio diventa ogni giorno un po’ più probabile.

Note
  1. Sophia Besch e Liana Fix, https://carnegieendowment.org/emissary/2024/11/trump-election-win-europe-nato-ukraine-strategy?lang=en, Carnegie Endowment, 7 novembre 2024.
  2. Michel, Yohann.,  et al.  “Les enjeux militaires de la guerre d’Ukraine : une impasse en trompe-l’œil ?”. Politique étrangère, 2024/1 N° 241, 2024. p.11-24. CAIRN.INFO, shs.cairn.info/revue-politique-etrangere-2024-1-page-11?lang=fr.
  3. Olivier Sueur, “Et si l’Ukraine perdait ?Le Rubicon, 23 ottobre 2024.
  4. Maitra, Sumantra,  “The Best NATO Is a Dormant NATO”, Foreign Affairs, 4 novembre 2024.
  5. Ben Barry, Douglas Barrie, Lucie Béraud-Sudreau, Henry Boyd e Nick CHilds, “ IISS Report: Defending Europe: Scenario-Based Capability Requirements for NATO’s European Members”. IISS, 10 maggio 2019.
  6. Bastian Giegerich, “Building Defence Capacity in Europe: An Assessment”, IISS, novembre 2024.
  7. Gartzke, Erik, Jon R. Lindsay, e Koji Kagotani, “Land: Presence and Credibility’, Elements of Deterrence: Strategy, Technology, and Complexity in Global Politics”, Oxford Academic, 21 marzo 2024.
  8. Maruyama, Warren, et al. “Making Tariffs Great Again: Does President Trump Have Legal Authority to Implement New Tariffs on U.S. Trading Partners and China?”, 10 ottobre 2024.
  9. Simon J. Evenett, “Attracting the Ire of the Next US Administration: A Red Flag Analysis based on recent policy & market outcomes”, Global Trade Alerts Reports, 5 novembre 2024.
  10. Simon J. Evenett, “America’s Trade Policy Reversal: Quantifying Trading Partner Exposure To Abrupt Losses of Goods Market Access“, Global Trade Alerts Reports, 5 novembre 2024.
  11. Pieter Vanhuysse, Márton Medgyesi e Róbert I. Gál,  «Welfare states as lifecycle redistribution machines», European Social Observatory,  27 aprile 2022.
  12. Nicholas Barr, ”The Welfare State as Piggy Bank: Information, Risk, Uncertainty, and the Role of the State”, Oxford Academic, 1 novembre 2003.
  13. Antoine Lévy, “Financer des dépenses plus efficaces par des recettes moins destructrices pour la prospérité est un impératif“, Le Monde,  29 marzo 2024.
  14. Matthias Bauer, “What is Wrong with Europe’s Shattered Single Market? – Lessons from Policy Fragmentation and Misdirected Approaches to EU Competition Policy”, European Center for International Political Economy, aprile 2023.
  15. Business Journey on the Single Market: Practical Obstacles and Barriers», Commissione europea, 10 marzo 2023.
  16. Sebastian Mack e Johannes Lindner “Capital Markets Union: Europe Must Stop Beating around the Bush”, Jacques Delors Centre, 11 luglio 2024.
  17. Enrico Letta, “Much More Than A Market”, Commissione europea, aprile 2024.
  18. Mario Draghi,”The Future of European Competitiveness”, Commissione europea, settembre 2024.
  19. Stockemer, Daniel e Aksel Sundström. “Age Inequalities in Political Representation: A Review Article”, Cambridge University Press, maggio 2023, pp. 1‑18.
  20. Tim  Vlandas,  “From Gerontocracy to Gerontonomia: The Politics of Economic Stagnation in Ageing Democracies»”, The Political Quarterly, vol. 94, no 3, luglio 2023, pp. 452‑61.
  21. Michael Msika, Julien Ponthus e Kit Rees, “Trump’s Favorite Word Is a Big Talking Point for European CEOs”. Bloomberg, 19 ottobre 2024.
  22. Ágota Révész, “The Pandora’s Box of Fudan Hungary”, Journal of the American Academy of Arts & Sciences, primavera 2024.
  23. James Crisp, “Chinese Police Set to Patrol alongside Hungarian Officers”, The Telegraph, 9 marzo 2024.
  24. Agatha Kratz, Danielle Goh, Gregor Sebastian e Noah Barkin, “Don’t Stop Believin’: The Inexorable Rise of German FDI in China”, Rhodium Group, 31 ottobre 2024.
  25. Guy Chazan, “German investment in China soars despite Berlin’s diversification drive”, Financial Times, 13 agosto 2024.
  26. João da Silva e Lipika Pelham, “Meloni Meets Xi as Italy Vows to « relaunch » Bilateral Ties with China”, BBC, 29 luglio 2024.
  27. Ibid.