{"id":4209,"date":"2022-07-11T19:37:42","date_gmt":"2022-07-11T18:37:42","guid":{"rendered":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/ita\/?p=4209"},"modified":"2022-08-29T14:28:13","modified_gmt":"2022-08-29T13:28:13","slug":"tra-diritto-e-geopolitica-lunione-dopo-lucraina-secondo-natalino-irti","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2022\/07\/11\/tra-diritto-e-geopolitica-lunione-dopo-lucraina-secondo-natalino-irti\/","title":{"rendered":"Tra diritto e geopolitica, l’Unione dopo l’Ucraina secondo Natalino Irti"},"content":{"rendered":"\n

\u00c8 difficile, se non impossibile, concepire lo sviluppo dello Stato e del capitalismo senza considerare il ruolo determinante del diritto nella costruzione degli stessi. L\u2019organizzazione sociale, cos\u00ec come gli istituti privatistici e pubblicistici finalizzati a consentire il regolare svolgersi delle relazioni commerciali, altro non sono che l\u2019espressione di quella infrastruttura giuridica su cui poggiano tutte le nazioni moderne, oltre che economicamente avanzate. Sicch\u00e9, non pare un\u2019esagerazione affermare che il diritto \u00e8 il mezzo attraverso il quale una comunit\u00e0 si organizza all\u2019interno di un determinato territorio e diventa Stato, ossia un\u2019entit\u00e0 giuridicamente, ancora prima che culturalmente, individuabile, retta da codici o consuetudini propri idonei a dare un volto razionale a quelle che prima potevano essere semplici affinit\u00e0 etniche, linguistiche o culturali.<\/p>\n\n\n\n

Questa evidente connotazione concreta del diritto ne svela il carattere pi\u00f9 squisitamente geopolitico, come ci suggerisce Natalino Irti, tra i pi\u00f9 importanti giuristi italiani, avvocato e accademico dei Lincei, nonch\u00e9 autore di numerosi volumi sulle trasformazioni del diritto, anche in un\u2019ottica filosofica, tra cui L\u2019et\u00e0 della decodificazione <\/em>(1978), Nichilismo giuridico <\/em>(2004) e Un diritto incalcolabile <\/em>(2016). Rispondendo alle nostre domande, l\u2019insigne studioso ci ricorda innanzitutto che: \u00abIl diritto ha sempre avuto, e non potrebbe non avere, carattere \u2018geopolitico\u2019. La norma giuridica ha bisogno di un tempo e di un luogo (un \u2018dove\u2019) di applicazione<\/em>\u00bb. Il collegamento tra norma e luogo su cui Irti si sofferma \u00e8 indicativo, allo stesso tempo, della forza e dei limiti della norma stessa: l\u2019effettivit\u00e0 \u00e8 data proprio dal fatto che vi \u00e8 un territorio circoscritto \u2013 e, pertanto, governabile da un\u2019autorit\u00e0 dotata di capacit\u00e0 coercitivo-esecutiva \u2013 in cui la medesima andr\u00e0 ad applicarsi, mentre al di fuori di questo confine la norma si confonde tra i diversi sistemi afferenti a realt\u00e0 spesso in contrasto tra di loro, o comunque non del tutto coordinate, in una cornice di equilibri geopolitici che sovente impedisce ab origine<\/em> lo svilupparsi di una regolazione armonica, oltre che effettiva. <\/p>\n\n\n\n

\u00c8 proprio il congelarsi dei rapporti internazionali a mostrare con estrema nitidezza questa intima natura della norma giuridica; si pensi a come la realt\u00e0 delle sanzioni economiche adottate a seguito dell\u2019invasione russa dell\u2019Ucraina \u2013 blocchi all\u2019import e all\u2019export, congelamenti di beni e riserve, espunzioni di soggetti dalle piazze finanziarie \u2013 abbia messo in discussione la narrazione, emersa soprattutto negli ultimi trent\u2019anni, della lex mercatoria<\/em>, intesa come la (quasi) codificazione dei rapporti commerciali tra le imprese in un mondo globalizzato. Natalino Irti sul punto osserva con franchezza che \u00abLa<\/em> lex mercatoria, se \u00e8 legge, ha bisogno di garanzie giudiziarie e coercitive. Altrimenti scade al rango di un qualsiasi accordo, affidato alla parola e alla promessa delle parti. Il suo \u2018indebolirsi\u2019 in tempi bui ne rivela l\u2019intima natura<\/em>\u00bb. Un altro sintomo dello Zeitgeist<\/em> di questa fase storica, speculare all\u2019indebolirsi della lex mercatoria<\/em>, \u00e8 il deflagrare delle normative di screening<\/em> degli investimenti esteri diretti, come il Golden Power<\/em> italiano, rafforzate durante la pandemia in modo da difendere le imprese strategiche da potenziali acquisizioni da parte di soggetti ostili o comunque inaffidabili. In merito, Irti osserva che \u00abSono semplici strumenti tecnici. Quando l\u2019economia precipita, le imprese riscoprono e invocano la protezione degli Stati<\/em>\u00bb. In questo caso, intuitivo \u00e8 il carattere geopolitico dello strumento tecnico: l\u2019impresa, riconducibile ad un dato Stato, usufruisce della protezione di quest\u2019ultimo, che ha potere sul territorio governato, in un rapporto norma-luogo che bene esemplifica quanto detto qui sopra. Sicch\u00e9, attraverso questo strumento lo Stato potr\u00e0, ad esempio, impedire l\u2019acquisizione da parte di una societ\u00e0 cinese di una societ\u00e0 italiana strategica, nonostante i principi del libero mercato consolidatisi negli anni e a dimostrazione di come sia puntuale la massima di Carl Schmitt per cui, in definitiva, \u00abChi dice diritto vuole ingannare, chi dice potere vuole smascherare\u00bb. Natalino Irti commenta questa citazione con eleganza, dicendoci che: \u00abLe frasi di Carl Schmitt sono sempre taglienti e incisive. Il diritto, come volont\u00e0 destinata a indirizzare e regolare altre volont\u00e0, \u00e8 esercizio di potere. Un diritto impotente, ossia non garantito da sanzioni coercitive, non \u00e8 autentica norma di azione<\/em>\u00bb.<\/p>\n\n\n\n

In particolare, quando il diritto \u00e8 impotente? Irti ci suggerisce, innanzitutto, quanto fondamentali siano le sanzioni coercitive, facendoci intuire, gi\u00e0 con riferimento alla lex mercatoria<\/em>, come in tempi inquieti quali quelli attuali sia quasi inevitabile un suo affievolirsi. Dopodich\u00e9, \u00e8 alzando lo sguardo alle relazioni internazionali e, pi\u00f9 propriamente, agli equilibri di potere geopolitici, che \u00e8 possibile cogliere i limiti del diritto stesso. Come qui pi\u00f9 volte accennato, la norma \u00e8 collegata ad un luogo e il luogo \u00e8, il pi\u00f9 delle volte, quello del territorio statale, ove vi \u00e8 una autorit\u00e0 dotata di forza coercitiva che pu\u00f2 esercitare il potere su di esso. Cosa succede per\u00f2 sul piano internazionale, ove \u2013 come ci insegnano le migliori teorie realiste delle International Relations<\/em> \u2013 gli unici attori nello scacchiere sono gli Stati? Gli stessi sono dotati di forza giuridica verso l\u2019interno, nel proprio territorio, ma verso l\u2019esterno vi sono solo tanti sistemi di potere tra essi contrastanti e abituati a collaborare o competere, accordarsi o combattersi, in una logica di potenza che evidenzia appieno come l\u2019intero panorama internazionale sia intrinsecamente anarchico; ossia, tecnicamente, non regolato, privo di norme giuridiche efficaci ed effettive. Questo per un motivo tanto banale quanto troppo spesso trascurato, che gi\u00e0 T. Roosevelt aveva individuato con lucidit\u00e0 nei propri discorsi: \u00abFinora, non c\u2019\u00e8 alcuna possibilit\u00e0 di stabilire un qualsiasi tipo di potere internazionale [\u2026] che possa effettivamente impedire atti illeciti, e in queste circostanze sarebbe una cosa non solo sciocca ma anche perversa per una nazione grande e libera privarsi del potere di tutelare i propri interessi\u00bb; ancora \u00ab[\u2026] Sarebbe un errore fatale per i grandi popoli liberi ridursi all\u2019impotenza lasciando i despotismi e le barbarie armati. Non sarebbe rischioso farlo se esistesse un qualche sistema di polizia internazionale, ma attualmente non esiste alcun sistema del genere\u00bb; infine, emblematiche sono anche le sue parole in merito alla nascente Societ\u00e0 delle Nazioni: \u00abSono a favore di una tale Societ\u00e0 purch\u00e9 non ci aspettiamo troppo da essa [\u2026] Non vorrei fare la parte che perfino Esopo additt\u00f2 alla derisione quando scrisse di come i lupi e le pecore si accordarono per deporre le armi, e di come le pecore a garanzia della loro buona fede allontanarono i cani da pastore e finirono per essere immediatamente divorate dai lupi\u00bb. Si tratta di un approccio realista, consapevole dell\u2019impotenza del diritto internazionale, che parte proprio dall\u2019assunto secondo cui lo scacchiere globale \u00e8 un terreno anarchico senza una polizia sovraordinata ai diversi attori (gli Stati) che lo compongono; intuizione che aveva avuto qualche secolo prima anche T. Hobbes, il quale affermava che: \u00abNon ho bisogno di dire nulla, a proposito dei compiti di un sovrano nei confronti degli altri sovrani, che sono compresi, a livello giuridico, in quello che viene comunemente chiamato diritto delle nazioni, perch\u00e9 il diritto delle nazioni e la legge di natura sono la stessa cosa\u00bb. Di fronte, dunque, ad un sistema anarchico e senza un\u2019autorit\u00e0 dotata di potere coercitivo sovraordinata alle diverse nazioni, poco pu\u00f2 il diritto internazionale, che diventa mera regolazione dei rapporti fintantoch\u00e9 ad una grande potenza fa comodo attenervisi. Dopotutto, si tratta del ramo della scienza giuridica forse pi\u00f9 al confine ultimo con la volont\u00e0 di potenza politica. Chiedendo a Natalino Irti se questo ne rappresenta un sintomo di intrinseca fragilit\u00e0, come l\u2019attuale conflitto in Ucraina e, pi\u00f9 in generale, la storia sembrano suggerirci, il giurista ci risponde con una raffinata immagine, tanto suggestiva quanto puntuale: \u00abLei dice bene. Il diritto internazionale \u2013 e, pi\u00f9 in generale, il diritto pubblico \u2013 sono sul confine ultimo, e non possono sottrarsi alle mutevoli vicende del corso storico. Come l\u2019hegeliano uccello di Minerva, si levano al tramonto, quando la realt\u00e0 si \u00e8 gi\u00e0 ricomposta in un nuovo ordine<\/em>\u00bb.<\/p>\n\n\n\n

In questo intreccio tra diritto e geopolitica va colta l\u2019intima natura dell\u2019Unione europea, costrutto intrinsecamente giuridico-economico, costretto dalle recenti turbolenze internazionali a mettersi in discussione. <\/p>\n\n\n\n

Gi\u00e0 nella fase antecedente allo scoppio della pandemia prima e della guerra in Ucraina poi, il contesto globale stava andando incontro a diverse trasformazioni in linea con uno Zeitgeist<\/em> pi\u00f9 protezionista, particolarmente visibili sul piano degli investimenti esteri diretti. Difatti, la sempre maggiore competizione, tecnologica e non solo, tra Stati Uniti e Cina, aveva rinnovato l\u2019attenzione per la sicurezza nazionale e i settori strategici dell\u2019economia, nell\u2019ottica di una tutela delle infrastrutture critiche, del know-how<\/em> tecnologico, dell\u2019approvvigionamento minimo di risorse energetiche e beni essenziali, anche a costo di provocare alcune fratture rispetto ai principi del libero mercato, che fino a poco tempo prima si pensava dominanti. Da qui, il deflagrare di normative protettive, con una consistente tranche<\/em> gi\u00e0 nella seconda met\u00e0 degli anni Duemila \u2013 ad esempio, gli Stati Uniti con il Foreign Investment and National Security Act<\/em> del 2007, la Francia con il decreto 30 dicembre 2005, n. 1739 Sulla regolazione dei rapporti finanziari con l\u2019estero e l\u2019applicazione dell\u2019articolo L 151-3 del codice monetario e finanziario<\/em> o la Germania con la modifica dell\u2019Aussenwirtschaftgesetz e dell\u2019Aussenwirtschaftsverordnung <\/em>del 24 aprile 2009 \u2013 e un pi\u00f9 poderoso rafforzamento negli ultimi anni, in particolare a fronte dello sviluppo delle reti 5G. In generale, la penetrazione di fondi sovrani e altri soggetti riconducibili a Stati rivali, come la Cina, in imprese strategiche, aveva allarmato le cancellerie occidentali, spingendole verso un maggiore intervento statale a tutela degli interessi nazionali (si pensi al gi\u00e0 citato Golden Power italiano). La pandemia e la guerra, con la crisi energetica che ne \u00e8 seguita, non hanno fatto altro che estremizzare queste tendenze, congelando ancora di pi\u00f9 il panorama globale e costringendo i diversi paesi a riprendere in mano le vecchie categorie geopolitiche, nonch\u00e9 a ripensare il ruolo dello Stato. <\/p>\n\n\n\n

All\u2019interno del contesto globale poc\u2019anzi tratteggiato, l\u2019Unione europea si \u00e8 trovata sin da subito ad essere in difficolt\u00e0 sotto tutti gli aspetti: dalla partita energetica a quella geo-politica, passando per la sfida del ritorno dello Stato nell\u2019economia.<\/p>\n\n\n\n

Il motivo principale \u00e8 la mancanza di un centro politico che possa dare un indirizzo unitario a quello che per ora rimane un mero costrutto giuridico-economico, costituito da una pluralit\u00e0 di interessi nazionali che si incontrano e scontrano al suo interno, in una continua ricerca di equilibrio tra i diversi rapporti di forza. A nulla giovano, in tale senso, le disposizioni formali che di volta in volta provano a identificare alcuni centri di potere all\u2019interno della struttura: ad esempio, \u00e8 del tutto irrilevante l\u2019istituzione da parte dell\u2019Unione europea nel 1993 della PESC (\u201cPolitica estera e di sicurezza comune\u201d), dal momento che si tratta di un contenitore vuoto, non essendovi una politica estera comune e venendo tutte le decisioni rilevanti demandate ai singoli capi di governo \u2013 cos\u00ec come per il Next Generation Ue, esito di un incontro-scontro tra i diversi interessi nazionali, non di certo un prodotto della Commissione o del Parlamento europeo. <\/p>\n\n\n\n

Conseguenza di questa assenza di unit\u00e0, \u00e8 il fatto che sin dagli esordi del progetto europeo si \u00e8 voluto fondare l\u2019equilibrio tra i diversi componenti sui principi, sanciti dai Trattati, della concorrenza e del libero mercato, nonch\u00e9 di legalit\u00e0 e di corretta amministrazione, in modo da creare una cornice che potesse contenere le spinte politiche dei singoli paesi membri. L\u2019Unione si \u00e8 cos\u00ec illusa di potere operare in un mondo post-storico seguendo i propri principi, relegando la Wille zur Macht<\/em> politica (per forza di cose, verrebbe da dire, dal momento che non ve n\u2019\u00e8 mai stata una unitaria) ai margini e affidandosi alla concorrenza e al mercato nei rapporti interni e al diritto internazionale, nonch\u00e9 alla buona fede contrattuale, nei rapporti con i diversi attori globali. <\/p>\n\n\n\n

Il problema \u00e8 che in una fase storica caratterizzata da un sempre pi\u00f9 acceso capitalismo politico, dove le grandi potenze si servono di tutti i propri mezzi, pubblici e privati, per la supremazia, anche a costo di sacrificare il libero mercato, i Trattati dell\u2019Unione europea appaiono, quando non proprio anacronistici, comunque non adatti alle sfide presenti e future. <\/p>\n\n\n\n

Questo al punto che, negli ultimi anni, ancora prima della pandemia e del conflitto ucraino, all\u2019interno delle stesse istituzioni europee aveva cominciato a crescere la consapevolezza circa la fragilit\u00e0 strutturale dell\u2019Unione. Indicativi sono in tal senso i diversi documenti pubblicati a partire dal 2017: tra i tanti, COM(2017) 240 del 10 maggio 2017, Documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione<\/em>; COM(2017) 494 final <\/em>del 13 settembre 2017, Accogliere con favore gli investimenti esteri diretti tutelando nel contempo gli interessi fondamentali<\/em>; e la Decisione della Commissione C(2017) 7866 final<\/em> del 29 novembre 2017, istituente un gruppo di esperti in materia di controllo sugli IDE nell\u2019UE. Oppure, un altro esempio calzante riguarda la cruciale tecnologia del 5G, per cui, con la Raccomandazione 2019\/534, la Commissione europea aveva dovuto riconoscere che il quadro legislativo tradizionale dell\u2019Unione in tema di comunicazioni elettroniche \u2013 basato sulla concorrenza, la tutela del mercato interno e gli interessi degli utenti finali \u2013 per quanto solido, sembrava non essere pi\u00f9 idoneo a fronteggiare il mutato contesto globale. Per quanto concerne poi il controllo degli investimenti esteri, l\u2019Unione europea aveva deciso di affrontare il nuovo contesto con l\u2019adozione del Regolamento 2019\/452, con l\u2019obiettivo di sviluppare un mercato unico interno concorrenziale e tracciare invece un perimetro protettivo nei confronti degli attori esterni, specie la Cina, cos\u00ec da difendere i propri \u201ccampioni\u201d comunitari <\/sup>e i propri settori strategici.<\/p>\n\n\n\n

Se gi\u00e0 gli ultimi anni avevano quindi costretto le istituzioni comunitarie a mettersi in discussione, l\u2019avvento della pandemia prima e della guerra poi hanno mostrato in via pressoch\u00e9 definitiva l\u2019inadeguatezza della costruzione europea: un forzato risveglio dal sonno post-storico in cui questa ha sempre vissuto, cullata dall\u2019illusione di muoversi in un contesto caratterizzato dall\u2019assenza di Polemos<\/em>, retto dal diritto internazionale e dalla lex mercatoria<\/em>, ove progettare in modo tecnocratico i propri obiettivi green<\/em>, curando al contempo la concorrenza interna, le regole fiscali e la libera circolazione di capitali. Con la pandemia, tutti gli schemi sono saltati. Il patto di stabilit\u00e0 \u00e8 stato sospeso. Vi sono state deroghe, esplicite e implicite, alla disciplina sugli aiuti di stato. Cos\u00ec come a livello nazionale sono proliferate normative restrittive in termini di circolazione di capitali, in altri momenti incompatibili con il diritto comunitario. La concorrenza ha smesso di essere la priorit\u00e0. Dopodich\u00e9, il combinato disposto della crisi energetica e dell\u2019invasione dell\u2019Ucraina ha completamente demolito quello che rimaneva dell\u2019approccio comunitario (e un eventuale tetto al prezzo del gas segnerebbe ulteriormente tale rottura con i principi originari dei Trattati). Le spese militari dei singoli stati membri sono aumentate. Gli obiettivi green<\/em> temporaneamente accantonati, o comunque rimodulati.<\/p>\n\n\n\n

Alla domanda sul dove possono condurre questi cambiamenti nel lungo periodo, Natalino Irti ci risponde discostandosi dalla narrazione dominante per cui queste crisi avrebbero rafforzato l\u2019integrazione europea: \u00abL\u2019Unione europea \u00e8 una comunit\u00e0 giuridica, istituita da trattati. Mi sembra che pandemia e guerra ucraina abbiano reintegrato gli Stati nella loro piena sovranit\u00e0. \u00c8 necessario guardare oltre le parole, e cogliere l\u2019intrinseco accadere dei fatti<\/em>\u00bb.<\/p>\n\n\n\n

Il punto \u00e8 particolarmente interessante. Per alcuni si tratta di un\u2019opportunit\u00e0 storica per l\u2019Unione europea. Il fatto che per la crisi ucraina si sia agito con un approccio comune, al netto di alcune (sempre pi\u00f9 grandi) differenze, rappresenterebbe un chiaro segnale nella direzione di un\u2019Europa unita. Allo stesso modo, grandi speranze sembrava avere acceso prima il NGUE. Dopotutto, l\u2019Europa si fa attraverso le crisi, per citare Jean Monnet. Pu\u00f2 per\u00f2 un ente uscire rafforzato da due crisi che non hanno fatto altro che rivelarne l\u2019assoluta inadeguatezza? Ad esempio, il patto di stabilit\u00e0 potrebbe rimanere sospeso fino a tutto il 2023; ci\u00f2 significa quasi cinque anni in deroga alle regole fiscali. Quanto una deroga pu\u00f2 rimanere tale? La normalizzazione delle emergenze \u00e8 un tema molto attuale, ma il punto qua \u00e8 che la condizione in cui versa l\u2019apparato europeo \u00e8, pi\u00f9 che quella di un terreno fertile per una maggiore integrazione, un\u2019anarchia di fatto. Di fronte alle due crisi, gli Stati nazionali hanno semplicemente ripreso potere e agito di conseguenza. Le istituzioni europee sono state costrette a prendere atto dopo di questa realt\u00e0, ad esempio prevedendo le necessarie deroghe ai Trattati: questo proprio perch\u00e9 l\u2019intera struttura europea si trova ad essere intrinsecamente inadatta non solo al fenomeno della crisi in s\u00e9, ma pi\u00f9 in generale al contesto geopolitico attuale, ove i capitalismi politici (e militari) si scontrano in un gioco di potere. Pi\u00f9 che davanti ad un\u2019Europa unita, ci si \u00e8 trovati di fronte ad un agire di necessit\u00e0, a tratti comune per convergenza di interessi, degli Stati membri di fronte alle crisi, non in nome, bens\u00ec nonostante la rigida infrastruttura europea, di fatto ancora prima che di diritto derogata \u2013 o tuttalpi\u00f9 utilizzata ove possibile (sul lato monetario) per i propri fini. Tant\u2019\u00e8 che, se esiste certamente la possibilit\u00e0 che questa congiuntura si traduca in una spinta verso una maggiore integrazione, appare cionondimeno in forma sempre pi\u00f9 minacciosa la questione del dopo: ossia, cosa ne sar\u00e0 di una infrastruttura giuridica che ha perso legittimit\u00e0. Sar\u00e0 reintrodotta? Riformata? Superata? O rimarr\u00e0 nel limbo attuale, tra deroghe di fatto e concessioni di diritto? Sar\u00e0 una sfida enorme per i paesi europei, su cui sarebbe meglio riflettere gi\u00e0 ora, piuttosto che cimentarsi in sin troppo speranzose idee di difesa comune. Anche perch\u00e9 gi\u00e0 solo il NGUE, costato sforzi immani nelle trattative, a causa dell\u2019impatto della crisi energetica rischia di essere gi\u00e0 anacronistico, necessitando quantomeno una integrazione.<\/p>\n\n\n\n

Sfide, queste, rese ancora pi\u00f9 difficili dal fatto che, nel mentre, i diversi Stati membri si stanno muovendo tra equilibri in continuo sviluppo. La Francia, unico paese europeo che non ha mai abbondonato un visione geopolitica, trova in questa congiuntura storica \u2013 regole fiscali sospese, ritorno dello Stato nell\u2019economia \u2013 la propria occasione per ritagliarsi un\u2019egemonia in Europa; Macron ne \u00e8 consapevole e approfitta dei due punti di forza francesi: il fronte energetico, in cui tramite un mix di nucleare e rinnovabili la Francia vuole ergersi ad hub<\/em> continentale, e quello militare, essendo l\u2019unico paese europeo con l\u2019atomica, per cui qualsivoglia idea di difesa comune non potrebbe in ogni caso prescindere da una sua leadership<\/em>. Ambizioni rese possibili anche dall\u2019interregno della Germania post Merkel, in stato di disorientamento di fronte al (ri)emergere delle categorie geopolitiche in luogo di quelle economiche con cui era abituata a muoversi. L\u2019apparente, per quanto fragile, svolta atlantica \u2013 sanzioni verso la Russia, blocco del North Stream 2, oltre che un maggiore distacco dalla Cina \u2013 rappresenta un elemento per certi versi inedito, cui si aggiunge la portata storica del riarmo: la Germania diverrebbe potenzialmente la terza spesa militare al mondo dopo Stati Uniti e Cina, prima della Russia e, soprattutto, della Francia; un cambio di paradigma epocale rispetto agli equilibri creatisi dopo la Seconda Guerra mondiale, che influenzer\u00e0 non poco le sorti dell\u2019Unione europea. Infine, sul lato energetico \u00e8 costretta a trovare soluzioni alla sua dipendenza dal gas russo senza ricorrere al carbone. In difficolt\u00e0 simili versa, sul fronte dell\u2019energia, anche l\u2019Italia, paese che nel complesso sta affrontando la crisi senza una strategia di lungo termine, guidato nel breve periodo dall\u2019atlantismo di Draghi \u2013 che di certo non era stato chiamato ad occuparsi di politica estera \u2013 ma in prospettiva gi\u00e0 immerso nelle incognite delle prossime elezioni del 2023. <\/p>\n\n\n\n

La crisi, avendo restituito de facto<\/em> sovranit\u00e0 agli Stati, ha rappresentato un cigno nero nella legittimit\u00e0 dell\u2019infrastruttura comunitaria: nei prossimi anni le trasformazioni che stiamo vivendo, nonch\u00e9 i diversi interessi nazionali che vanno consolidandosi, dovranno trovare una sintesi che sappia dare un volto all\u2019Unione europea post-crisi. Il che, stante anche quanto accennato qui sopra circa i tre maggiori paesi, non si prospetta di facile soluzione. Non si esclude nemmeno che l\u2019intera infrastruttura rimanga, per cos\u00ec dire, allo stato ibrido come \u00e8 ora: dopotutto, i diversi paesi si sono accorti che si pu\u00f2 vivere anche con una camicia un po\u2019 meno stretta.La politica \u00e8 tornata a dominare la scena internazionale, risvegliando numerosi paesi \u2013 specialmente quelli europei \u2013 dal sonno post-storico in cui si trovavano. Le turbolenze geopolitiche hanno costretto gli Stati a ragionare con categorie diverse, per cui, in particolare, sono le logiche di potere a contare, prima ancora che il prodotto interno lordo. Questo ha anche indebolito le sirene tecnocratiche, nonch\u00e9 l\u2019illusione della neutralizzazione del conflitto politico tramite la maschera del governo tecnico, su cui Irti chiosa sul finale in modo piuttosto lapidario, dicendoci che \u00ab\u2018Governo tecnico\u2019 \u00e8 un non senso. Se \u00e8 governo, consiste nella definizione di scopi collettivi, cio\u00e8 in una \u2018politica\u2019, che si giover\u00e0 di strumenti tecnici<\/em>\u00bb. Difatti, di fronte ad un sovrapporsi di cos\u00ec tante crisi interdipendenti tra di loro, \u00e8 chiaro come l\u2019approccio tecnico non possa risultare sufficiente. Altrettanto chiari sono i limiti del diritto sul piano internazionale. L\u2019illusione di nascondere la geopolitica sotto il tappetto neutrale della tecnica e del diritto \u00e8 stata spezzata dalle turbolenze di questa fase storica. Tali trasformazioni rendono e renderanno sempre pi\u00f9 necessario ricominciare a ragionare politicamente: una sfida epocale per l\u2019Unione europea. In merito, gli spunti offertici da Natalino Irti rappresentano un valido punto di partenza per \u2013 proprio citando le parole dell\u2019insigne giurista \u2013 \u00abguardare oltre le parole, e cogliere l\u2019intrinseco accadere dei fatti<\/em>\u00bb.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Riportando la questione della difesa, dell’energia e dell’interdipendenza al centro della politica europea, la crisi attuale non ha soltanto evidenziato l’inadeguatezza dell’Unione. 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