{"id":4058,"date":"2022-06-21T10:00:25","date_gmt":"2022-06-21T09:00:25","guid":{"rendered":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/ita\/?p=4058"},"modified":"2022-06-21T10:09:05","modified_gmt":"2022-06-21T09:09:05","slug":"lindustria-dei-microprocessori-e-lautonomia-strategica-delleuropa","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2022\/06\/21\/lindustria-dei-microprocessori-e-lautonomia-strategica-delleuropa\/","title":{"rendered":"L\u2019industria dei microprocessori e l\u2019autonomia strategica dell\u2019Europa"},"content":{"rendered":"\n
L\u2019industria della microelettronica e in particolare la produzione di microchip occupa un posto di rilievo nelle catene globali del valore. In molti settori produttivi i microprocessori ne rappresentano infatti una componente essenziale. Non sorprende dunque la crescente attenzione che vi dedicano i governi, oltre che il mondo dell\u2019economia. La riflessione e i dibattiti sull\u2019evoluzione delle principali catene globali del valore non possono prescinderne. <\/p>\n\n\n\n
Come \u00e8 noto, gi\u00e0 da qualche anno \u2013 e dunque ben prima del 24 febbraio 2022, data di inizio della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina \u2013, si registrava una situazione di crescente squilibrio nel mercato delle componenti microelettroniche e in particolare dei microchip, nel quale l\u2019offerta risultava largamente insufficiente a soddisfare una domanda in crescita esponenziale: a creare questa situazione concorrevano fattori congiunturali (innanzitutto la ripresa post pandemica, vigorosa in tutto il mondo) e fattori strutturali (in primis<\/em> l\u2019impetuosa avanzata della trasformazione digitale in molti settori produttivi). <\/p>\n\n\n\n Le strozzature nell\u2019approvvigionamento di microchip rappresentavano cos\u00ec, gi\u00e0 nel 2021, uno dei maggiori ostacoli alla ripresa post pandemica di settori produttivi strategici per l\u2019economia europea, come l\u2019automotive, <\/em>l\u2019energia, l\u2019automazione industriale e i diversi comparti in cui si articola l\u2019elettronica di consumo. Si tratta, per vero, di settori che esprimono una domanda di microchip assai variegata per tipologia: pi\u00f9 \u201ctradizionale\u201d e meno tecnologicamente avanzata nel caso, per esempio, dell\u2019industria automobilistica (anche se la sua riconversione verso l\u2019elettrico avr\u00e0 presto effetti non trascurabili anche a questo riguardo, e gi\u00e0 oggi un produttore all\u2019avanguardia come Tesla utilizza microchip di dimensioni molto ridotte (sette nanometri)); pi\u00f9 tecnologicamente \u201csofisticata\u201d, nel caso delle aziende che producono personal computer, tablet ed altri apparati, ossia prodotti che richiedono una progressiva miniaturizzazione delle loro componenti microelettroniche. <\/p>\n\n\n\n Queste strozzature nella supply chain dei microprocessori sono oggi drammaticamente accentuate dalla guerra in Ucraina. Basterebbe l\u2019esempio del gas neon, una sostanza utilizzata per alimentare i laser che incidono i pattern nei chip dei computer: l\u2019Ucraina era fino allo scorso febbraio leader mondiale nella produzione di gas neon; circa la met\u00e0 della produzione mondiale veniva infatti da due aziende ucraine, Cryoin e Ingas, che hanno (avevano?) i loro principali impianti produttivi nella regione di Odessa <\/p>\n\n\n\n Quanto dureranno la guerra in Ucraina e la successiva ricostruzione dell\u2019industria di quel Paese \u00e8 al momento impossibile prevedere. In ogni caso, a questo fattore incognito di natura congiunturale (si spera) si sommano fattori strutturali che costringono a prevedere che la crisi di approvvigionamento di microchip e i suoi rilevanti effetti su molti settori dell\u2019economia europea e globale siano destinati a durare per diversi anni. L\u2019analisi di questi fattori strutturali costituisce la prima ragione di interesse del seminario di Astrid di cui questo volume raccoglie i contributi. <\/p>\n\n\n\n Per contrastare questi fattori strutturali e congiunturali sono stati previsti e deliberati (e in alcuni casi gi\u00e0 avviati) poderosi investimenti intesi a potenziare la ricerca e la produzione di semiconduttori. Si tratta di investimenti pubblici, come quelli programmati, per diverse centinaia di miliardi, da Stati Uniti, Cina, Unione Europea, India, Giappone, Taiwan (50 miliardi di dollari nel caso degli Stati Uniti, 50 miliardi di euro nel caso dell\u2019Unione europea); o di investimenti privati, come quelli previsti nei piani industriali delle principali aziende del settore: tra questi Intel (che prevede di investire 80 miliardi nell\u2019arco di un decennio solo in Europa) e la taiwanese TSMC (che prevede di investire tra i 40 ed i 44 miliardi di dollari nel prossimo quinquennio, in parte in Europa). Peraltro, e soprattutto in Estremo Oriente, investimenti pubblici e investimenti privati non sono in sovrapposizione o competizione, ma tendono a realizzare programmi sinergici. <\/p>\n\n\n\n Alla base di questa rilevante accelerazione dei piani di investimento, in ispecie per quanto riguarda il settore pubblico, non stanno solo evidenti ragioni di natura economico-produttiva, connesse alla necessit\u00e0 di rimuovere un collo di bottiglia che rischia altrimenti di bloccare o quanto meno di rallentare la crescita della produzione industriale e pi\u00f9 in generale dell\u2019economia mondiale. Vi sono ragioni e motivazioni, non meno rilevanti, connesse a esigenze di sicurezza e difesa nazionale, esasperate dalle forti tensioni che oggi attraversano lo scenario politico internazionale. <\/p>\n\n\n\n Non si tratta dunque solo, sotto questo secondo profilo, di contribuire alla crescita dell\u2019economia mondiale, ma di perseguire – mediante l\u2019apertura di nuovi impianti o il reshoring<\/em> di impianti esistenti – l\u2019obiettivo di aumentare la produzione nazionale (o la produzione localizzata nel territorio di paesi \u201calleati\u201d) fino a raggiungere l\u2019indipendenza nazionale (o europea) nell\u2019approvvigionamento delle componenti essenziali delle produzioni tecnologicamente avanzate, nel caso che qui ci interessa dei microchip. <\/p>\n\n\n\n Si pu\u00f2 dunque a buon ragione parlare di investimenti strategici, perch\u00e9 concorrono a realizzare quel processo di ristrutturazione delle catene globali del valore che tende ad assicurare la cosiddetta \u201cautonomia strategica\u201d. I soggetti interessati sono in primis<\/em> gli Stati (e, in Europa, l\u2019Unione europea); ma anche le aziende, innanzitutto (ma non solo) le Big Tech, come dimostra la scelta di Apple di produrre in casa i microchip di cui necessita. Ne \u00e8 investito, nel suo complesso, l\u2019attuale assetto della divisione internazionale del lavoro nel settore; vengono messe in discussione le posizioni acquisite, sia dai Paesi, che dalle grandi multinazionali del settore. <\/p>\n\n\n\n Il riassetto \u00e8 drammaticamente accelerato dal sommarsi di molti fattori di cambiamento, dal susseguirsi di diversi game changer <\/em>: quelli che abbiamo gi\u00e0 ricordato, come la trasformazione digitale dell\u2019industria e dei servizi, la transizione energetica (accelerata per fronteggiare il climate change) , la pandemia (con l\u2019esplosione dello smart working e della didattica a distanza e l\u2019accelerazione, in prospettiva, della trasformazione digitale dei servizi di prevenzione e cura delle malattie), e infine la guerra in Ucraina e i nuovi investimenti in tecnologie militari. Ma anche, nel merito degli sviluppi tecnologici pi\u00f9 recenti, l\u2019evoluzione verso forme sempre pi\u00f9 spinte di miniaturizzazione e la disponibilit\u00e0 di standard aperti, alternativi a quelli di propriet\u00e0 delle grandi multinazionali. <\/p>\n\n\n\n Si tratta di processi in corso, talora troppo recenti per poterne valutare con compiutezza gli effetti in questo momento. Cos\u00ec come solo nel medio-lungo periodo vedremo gli effetti degli investimenti or ora ricordati. Gli uni e gli altri sono stati per\u00f2 oggetto di analisi nel seminario di Astrid di cui qui pubblichiamo i risultati, ovviamente sulla base dei dati e delle conoscenze disponibili oggi. Siamo, certo, ben consapevoli che questa analisi rischia di essere rapidamente superata, se gi\u00e0 non lo \u00e8 stata nei due mesi necessari per la stampa di questo volume. Ma intanto ci \u00e8 sembrato utile fare il punto. E poi, come \u00e8 nelle abitudini di Astrid, ci proponiamo di continuare a monitorare il mercato dei microprocessori, ad analizzarne l\u2019evoluzione nel tempo, ad aggiornare conseguentemente le proposte di politiche pubbliche necessarie per far fronte ai problemi che questa evoluzione va ponendo. <\/p>\n\n\n\n Sotto quest\u2019ultimo profilo (le proposte di politiche pubbliche) il seminario di Astrid \u00e8 stato innanzitutto dedicato alla riflessione sul ruolo e sulle politiche dell\u2019Unione europea, nell\u2019ambito della ristrutturazione dell\u2019industria mondiale dei microchip. La Commissione europea ha aperto la strada con l\u2019 European Chips Act<\/em>: in appendice a questo volume, pubblichiamo la Raccomandazione<\/em> della Commissione, che intende affrontare da subito la carenza di semiconduttori sul mercato europeo, e la Nota esplicativa<\/em>, che accompagna la proposta di regolamento oggi in discussione. Occorrer\u00e0 ovviamente, nel prossimo futuro, seguire il processo di adozione della proposta di regolamento e soprattutto monitorarne l\u2019 execution. <\/em><\/p>\n\n\n\n L\u2019esperienza del passato insegna infatti che non di rado eccellenti programmi di azione e altrettanto eccellenti provvedimenti normativi approvati dalle istituzioni europee hanno poi prodotto risultati molto inferiori alle attese (si pensi, tanto per fare un solo esempio, alla Capital Market Union). E\u2019 peraltro altrettanto vero che l\u2019esperienza di un passato pi\u00f9 recente \u2013 dallo scoppio della pandemia in poi – sembra evidenziare una inedita capacit\u00e0 dell\u2019Unione (o, quanto meno, della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen) non solo di definire ed approvare in tempi ragionevolmente rapidi i provvedimenti (regolamenti, direttive) necessari ad affrontare le crisi che si sono susseguite in questi ultimi anni, ma anche di darvi seguito con misure tempestive ed efficaci, ivi comprese le necessarie deroghe a regole e vincoli non concepiti per tempi di crisi: si pensi alla sospensione del Patto di stabilit\u00e0 e crescita o al temporary framework<\/em> in materia di divieto di aiuti di Stato. Proprio sul divieto di aiuti di Stato l\u2019 European Chips Act <\/em>introduce rilevanti aperture: in un settore fortemente capital intensive e soggetto ad accelerata innovazione e in un mercato dominato da grandi aziende asiatiche e americane tutte pi\u00f9 o meno sostenute da sussidi pubblici, il divieto di aiuti di Stato aveva infatti finora rappresentato un obiettivo freno allo sviluppo della ricerca e degli investimenti delle aziende europee. <\/p>\n\n\n\n Le (prime) risposte venute dagli interventi contenuti in questo volume convergono nell\u2019indicare la necessit\u00e0 di una strategia europea che agisca contemporaneamente e sinergicamente sui diversi piani: R&S ed innovazione tecnologica, modelli di business, specializzazione dell\u2019industria europea. Non si tratta solo di recuperare quote di mercato nella produzione di microprocessori, ma anche di riconquistare all\u2019Europa, se non la leadership, almeno una presenza e in prospettiva una autonomia strategica nelle produzioni tecnologicamente pi\u00f9 avanzate: non restare confinati nello sviluppo e produzione di microprocessori intorno ai 40 nanometri, quando nei paesi pi\u00f9 avanzati la produzione raggiunge i 10 nanometri e si progettano per il 2025 microprocessori da 5 e perfino 2 nanometri. Se \u00e8 vero infatti che esistono ancora vincoli tecnologici all’ulteriore miniaturizzazione dei microchip per le applicazioni su cui si \u00e8 concentrata l\u2019industria dei semiconduttori europei, \u00e8 tuttavia probabile che lo sviluppo tecnologico riuscir\u00e0 a rimuovere questi vincoli (gi\u00e0 oggi, come ho sopra ricordato, Tesla utilizza microchip da 7 nanometri) ed \u00e8 evidente che in prospettiva l\u2019Europa non potr\u00e0 rinunciare a competere nelle produzioni che richiedono microprocessori tecnologicamente pi\u00f9 avanzati. <\/p>\n\n\n\n La strategia europea deve costituire la cornice di riferimento entro cui inserire i diversi piani nazionali: passaggio estremamente delicato, ma obbligato. Come \u00e8 stato per i vaccini per contrastare il Covid, come dovrebbe essere per le forniture energetiche dopo l\u2019invasione dell\u2019Ucraina, cos\u00ec per i microchip l\u2019Unione europea deve innanzitutto definire una strategia condivisa, e entro questa cornice riuscire ad evitare che le singole iniziative nazionali promuovano una competizione non virtuosa tra i paesi membri, anzich\u00e9 la necessaria cooperazione.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":" Centinaia di miliardi di dollari. Questo \u00e8 il volume degli investimenti gi\u00e0 effettuati o programmati nell’industria dei microprocessori. Da questa prospettiva, Franco Bassanini cerca di capire le ragioni di questo fenomeno – fattori sia congiunturali che strutturali. Occorre, a suo avviso, riuscire a evitare che iniziative nazionali separate promuovano una pericolosa concorrenza in Europa.<\/p>\n","protected":false},"author":10,"featured_media":4060,"comment_status":"open","ping_status":"open","sticky":false,"template":"templates\/post-angles.php","format":"standard","meta":{"_acf_changed":false,"_trash_the_other_posts":false,"footnotes":""},"categories":[1940],"tags":[],"geo":[],"class_list":["post-4058","post","type-post","status-publish","format-standard","hentry","category-digitale","staff-franco-bassanini"],"acf":[],"yoast_head":"\n