{"id":37484,"date":"2025-08-17T16:41:00","date_gmt":"2025-08-17T14:41:00","guid":{"rendered":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/?p=37484"},"modified":"2025-08-21T16:43:41","modified_gmt":"2025-08-21T14:43:41","slug":"la-minaccia-americana","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2025\/08\/17\/la-minaccia-americana\/","title":{"rendered":"La minaccia americana"},"content":{"rendered":"\n

La difficolt\u00e0 dei responsabili politici europei nel comprendere il cambiamento della cultura diplomatica americana \u00e8 evidente. La loro riluttanza a entrare in contatto<\/a> con Donald Trump nel contesto della guerra commerciale da lui scatenata, cos\u00ec come la loro mancanza di reazione politica di fronte alla convergenza sempre pi\u00f9 evidente tra la Casa Bianca e il Cremlino sulla questione ucraina, ne sono la prova.<\/p>\n\n\n\n

Questa debolezza deriva da diversi fattori: il timore di reazioni imprevedibili e brutali da parte del presidente americano, l’instabilit\u00e0 istituzionale a livello nazionale e il persistere di priorit\u00e0 divergenti all’interno dell’Unione rendono complessa la proiezione di una potenza comune.<\/p>\n\n\n\n

Nel nuovo contesto internazionale che si sta delineando, tuttavia, questo posizionamento non \u00e8 pi\u00f9 un’opzione strategica, ma la condizione stessa per la sopravvivenza geopolitica del continente.<\/p>\n\n\n\n

Se i leader europei sono cos\u00ec pusillanimi, non \u00e8 forse soprattutto a causa di una scommessa sbagliata nei confronti della storia e del futuro? La maggior parte dei nostri leader \u00e8 nata dopo il 1945 ed \u00e8 stata formata nell’amministrazione, nell’economia, nelle manovre di apparato e nella politica elettorale.<\/p>\n\n\n\n

La comprensione dei fenomeni a lungo termine sembra essere il loro punto debole. E se hanno consulenti in comunicazione, strategia ed economia, non dovrebbero dotarsi anche di consulenti storici?<\/p>\n\n\n\n

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\u00a9 Guilong Charles Cheng<\/figcaption>\n <\/a>\n<\/figure>\n\n\n

La lunga storia<\/strong> di Donald Trump<\/h2>\n\n\n\n

Donald Trump eccelle nell’arte di occupare la scena internazionale. Lo abbiamo visto ancora questa settimana, quando ha costretto tutti i leader europei a svolgere pi\u00f9 o meno passivamente il ruolo di spettatori del suo incontro con Vladimir Putin in Alaska.<\/p>\n\n\n\n

Tuttavia, se ci si concentra esclusivamente sulle sue esternazioni quotidiane e sul breve termine, si rischia di perdere di vista i cambiamenti strutturali che stanno avvenendo oggi negli Stati Uniti.<\/p>\n\n\n\n

Un approccio attento al lungo termine mostra chiaramente che queste trasformazioni non sono iniziate con Trump e non finiranno con lui, n\u00e9 alle elezioni di medio termine del 2026, n\u00e9 dopo.<\/p>\n\n\n\n

Si \u00e8 verificato un profondo cambiamento. Ripetere dogmi logori come un mantra non li far\u00e0 tornare. Gli Stati Uniti non saranno pi\u00f9 alleati indissolubili, n\u00e9 tantomeno protettori dell’Europa.<\/p>\n\n\n\n

Basta guardare al passato, ben prima del 1945, per rendersi conto che questo catechismo atlantico non ha ragione di esistere. L’esame della lunga storia non \u00e8 affatto una curiosit\u00e0 accademica: in questo caso specifico, offre una chiave di lettura essenziale per comprendere le dinamiche attuali e trarne insegnamenti strategici.<\/p>\n\n\n\n

Gli Stati Uniti hanno voltato le spalle all’Europa per gran parte della loro storia.<\/p>Ludovic Tourn\u00e8s<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Per quanto riguarda innanzitutto le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa, va ricordato che c’\u00e8 stato un tempo in cui i primi non si interessavano affatto alla seconda. Dopo la loro indipendenza nel 1783 e per tutto il XIX secolo, la loro priorit\u00e0 era quella di espandere il loro territorio e consolidare la loro nazione. Washington volt\u00f2 decisamente le spalle all’Europa, percepita come un insieme di regimi monarchici \u2013 “tirannie” nel vocabolario americano \u2013, di persecuzioni politiche o religiose e di conflitti incessanti in cui non voleva essere coinvolta.<\/p>\n\n\n\n

Solo con la prima guerra mondiale gli Stati Uniti ruppero temporaneamente con questa posizione, che ripresero rapidamente dopo il 1918 e il fallimento del trattato di garanzie. Solo la seconda guerra mondiale ancor\u00f2 gli Stati Uniti all’Europa, fino al giorno dopo la fine della guerra fredda.<\/p>\n\n\n\n

Si tende a dimenticare un fatto essenziale: per gran parte della loro storia, gli Stati Uniti hanno voltato le spalle al Vecchio Continente.<\/p>\n\n\n\n

Il legame forgiato dai due conflitti mondiali, seguito dal ruolo di protettore dell’Europa occidentale assunto dalla NATO dal 1949, \u00e8 quindi meno un dato immutabile che un incidente storico, cosa che molti europei continuano erroeneamente a considerare una sorta di fatto eterno.<\/p>\n\n\n\n

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\u00a9 Guilong Charles Cheng<\/figcaption>\n <\/a>\n<\/figure>\n\n\n

L’indicizzazione americana: gli Stati Uniti su scala mondiale<\/strong><\/h2>\n\n\n\n

In fondo, gli Stati Uniti iniziano a preoccuparsi dell’Europa solo quando si rendono conto che i suoi sconvolgimenti rappresentano una minaccia diretta per la loro sicurezza e il loro commercio estero.<\/p>\n\n\n\n

Le due guerre mondiali introducono quindi nella cultura politica americana un’idea decisiva: il destino degli Stati Uniti \u00e8 indissociabile da quello del mondo, in particolare dell’Europa. Woodrow Wilson, poi Franklin D. Roosevelt, imprimono nella mente della classe politica e dell’opinione pubblica l’idea che la sicurezza americana dipende da quella del mondo e viceversa.<\/p>\n\n\n\n

Questo legame tra gli Stati Uniti e il mondo porta Washington a smettere di concentrarsi sul continente americano per investire negli affari europei, che erano anche affari mondiali in un’epoca in cui le potenze europee possedevano imperi coloniali sparsi in tutti i continenti.<\/p>\n\n\n\n

\u00c8 in questa prospettiva che va letto il discorso delle \u00abquattro libert\u00e0\u00bb pronunciato da Roosevelt davanti al Congresso il 6 gennaio 1941: ufficialmente dedicato allo stato dell’Unione, in realt\u00e0 si concentra quasi interamente sulla guerra scoppiata pochi mesi prima e si conclude con l’ambizione di difendere le libert\u00e0 fondamentali non solo negli Stati Uniti, ma “everywhere in the world<\/em>“. Se si deve individuare un atto fondatore dell’impegno americano come potenza mondiale, \u00e8 proprio in questo discorso che lo si trova.<\/p>\n\n\n\n

Le due guerre mondiali introducono quindi nella cultura politica americana un’idea decisiva: il destino degli Stati Uniti \u00e8 indissociabile da quello del mondo, in particolare dell’Europa.<\/p>Ludovic Tourn\u00e8s<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

L’ordine internazionale del 1945, largamente plasmato dagli Stati Uniti, si basa su questa logica di indicizzazione: garantendo la sicurezza dell’Europa occidentale attraverso la NATO, Washington assicurava la propria contenendo l’espansione dell’URSS, avversario sia geopolitico che ideologico. Sostenendo la ricostruzione europea attraverso il piano Marshall, apriva sbocchi alla sua potente industria e fidelizzava un cliente prigioniero, dato che le capacit\u00e0 industriali dell’Europa erano allora fortemente ridotte. Questo “matrimonio” suggellato nel 1945 era quindi tanto un’unione di circostanza quanto una convergenza di valori.<\/p>\n\n\n\n

Tuttavia, il contesto che lo aveva reso possibile scomparve a partire dagli anni ’80 e ancora di pi\u00f9 negli anni ’90. A partire da Ronald Reagan, i leader americani smisero progressivamente di considerare che esistesse un legame organico tra la sicurezza del loro paese e quella dell’Europa. Il multilateralismo e le organizzazioni internazionali che lo incarnano sono quindi oggetto di crescenti critiche, giudicate troppo costose e vincolanti per la libert\u00e0 d’azione degli Stati Uniti.<\/p>\n\n\n\n

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\u00a9 Guilong Charles Cheng<\/figcaption>\n <\/a>\n<\/figure>\n\n\n

La lunga storia del disprezzo americano per l’Europa<\/h2>\n\n\n\n

\u00c8 in questo clima che emerge l’idea \u2013 ripresa e amplificata da Donald Trump \u2013 secondo cui l’Europa, e con essa il mondo, stanno “fregando” l’America.<\/p>\n\n\n\n

Seguono i fatti: nel 1984 l’amministrazione Reagan lascia l’UNESCO; dieci anni dopo, quella di Clinton pone fine alla partecipazione americana alle operazioni di mantenimento della pace dell’ONU e riduce il suo contributo finanziario; il suo successore George W. Bush rifiuta di ratificare il protocollo di Kyoto (1997) e di aderire alla Corte penale internazionale (1998).<\/p>\n\n\n\n

La svolta americana verso l’unilateralismo \u2013 da non confondere con l’isolazionismo, con cui talvolta viene confuso \u2013 \u00e8 illustrata anche dall’ascesa del movimento neoconservatore.<\/p>\n\n\n\n

Agli occhi dei responsabili americani, l’indicizzazione dei destini degli Stati Uniti e dell’Europa appartiene al passato.<\/p>Ludovic Tourn\u00e8s<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Nato durante la presidenza Reagan, si impone ai vertici dello Stato con l’amministrazione di George W. Bush e orchestra il disastroso intervento in Iraq nel 2003. Le sue figure di spicco, Paul Wolfowitz e Donald Rumsfeld, si distinguono per i loro commenti condiscendenti nei confronti della “vecchia Europa”, rivelatori del divario strategico e politico che si sta aprendo tra le due sponde dell’Atlantico.<\/p>\n\n\n\n

Questo divario non si chiude sotto Barack Obama, anzi, si allarga ancora con la prima presidenza Trump, raggiungendo oggi una profondit\u00e0 senza precedenti. Agli occhi dei responsabili americani, l’indicizzazione dei destini degli Stati Uniti e dell’Europa appartiene al passato.<\/p>\n\n\n\n

Tuttavia, la maggior parte dei leader europei continua a crederci, come dimostrano tutte le loro dichiarazioni, a rischio di apparire sempre pi\u00f9 fuori dalla realt\u00e0 strategica.<\/p>\n\n\n\n

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\u00a9 Guilong Charles Cheng<\/figcaption>\n <\/a>\n<\/figure>\n\n\n

La fine del modello americano<\/strong><\/h2>\n\n\n\n

Un altro cambiamento strutturale a lungo termine sfugge ancora ai leader europei: il ruolo di modello internazionale rivendicato dagli Stati Uniti.<\/p>\n\n\n\n

Nel XIX secolo, i leader statunitensi erano gi\u00e0 convinti di aver concepito un regime perfetto: nel 1796, i membri eletti della Camera dei Rappresentanti avevano conferito al loro Paese il titolo di “Nazione pi\u00f9 libera e illuminata del mondo”.<\/p>\n\n\n\n

Tuttavia, non essendo ancora tra le grandi potenze, gli Stati Uniti si guardavano bene dal proclamarlo al mondo intero. \u00c8 alla fine del XIX secolo, grazie soprattutto alla loro eccezionale espansione economica, sostenuta da immense risorse naturali, che Washington inizia a percepirsi come un modello per il mondo.<\/p>\n\n\n\n

Nel primo decennio del XX secolo, la rivoluzione fordiana, decuplicando la potenza industriale del Paese, gli permette di soppiantare l’Europa come riferimento mondiale e simbolo di modernit\u00e0. L’ascesa americana \u00e8 accompagnata dall’autodistruzione del Vecchio Continente, impegnato in due guerre fratricide tra il 1914 e il 1945, che indeboliscono il suo potere geopolitico, intaccano la sua leadership economica e rovinano la sua pretesa di incarnare la civilt\u00e0, il progresso e la modernit\u00e0.<\/p>\n\n\n\n

Punto essenziale: gli Stati Uniti, che non sono caduti nel totalitarismo, possono rivendicare nel 1945 lo status di modello democratico, rafforzato ai loro occhi dalla ricostruzione politica riuscita del Giappone e della Germania, alla quale hanno contribuito direttamente.<\/p>\n\n\n\n

Si tratta di un punto al quale l’Europa non ha probabilmente prestato tutta l’attenzione necessaria: dalla fine degli anni ’90, gli Stati Uniti hanno probabilmente smesso di considerarsi un modello per il resto del mondo.<\/p>Ludovic Tourn\u00e8s<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

\u00c8 su questi concetti di modello democratico e simbolo di modernit\u00e0 che gli Stati Uniti hanno costruito, dopo il 1945, gran parte del loro prestigio agli occhi degli europei. Nei due decenni successivi alla guerra, una parola domina il loro orizzonte politico: modernizzazione<\/em>. Derivato dalle scienze sociali americane, indicava allora la strada da seguire per diventare una democrazia liberale, pacifica e prospera, sul modello che Washington intendeva incarnare.<\/p>\n\n\n\n

Nonostante l’apparente trionfo nella guerra fredda, questa base ideologica si \u00e8 discretamente erosa tra gli anni ’80 e gli anni 2000.<\/p>\n\n\n\n

L’economia americana, ormai invecchiata, \u00e8 sempre pi\u00f9 minacciata dalla concorrenza di potenze industriali efficienti, europee e non (Germania, Giappone, \u201cdraghi\u201d asiatici…). A ci\u00f2 si aggiunge l’usura del messianismo democratico, gi\u00e0 scosso dal trauma vietnamita e definitivamente screditato dai fallimenti in Afghanistan e Iraq.<\/p>\n\n\n\n

In questi due interventi, la democratizzazione del Medio Oriente \u00e8 meno un obiettivo strategico centrale che una copertura retorica, che viene ben dopo la volont\u00e0 di vendicare gli attentati dell’11 settembre e di stabilizzare la regione per salvaguardare gli interessi diretti degli Stati Uniti.<\/p>\n\n\n\n

Si tratta di un punto al quale l’Europa non ha probabilmente prestato tutta l’attenzione necessaria: dalla fine degli anni ’90, gli Stati Uniti hanno probabilmente smesso di considerarsi un modello per il resto del mondo.<\/p>\n\n\n\n

Questo cambiamento ha portato a una profonda trasformazione dei principi che guidano la loro politica estera, ora caratterizzata da una cultura politica ostile al multilateralismo. Si tratta, in un certo senso, di un ritorno alle origini della loro dottrina ottocentesca del non entanglement<\/em>, fondata sul rifiuto di qualsiasi alleanza vincolante.<\/p>\n\n\n\n

Eppure in Europa continuiamo a non voler rinunciare al multilateralismo e all’\u00aballeanza indissolubile\u00bb con gli Stati Uniti, due concetti fondanti del progetto che ha portato alla costruzione dell’Unione europea.<\/p>\n\n\n\n

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Dominare la Terra: il pericolo planetario dell’American Way<\/em><\/strong> of Life<\/em><\/h2>\n\n\n\n

Queste due profonde trasformazioni \u2013 la fine dell’indicizzazione dei destini americani ed europei e l’abbandono da parte degli Stati Uniti del loro ruolo di modello per il mondo \u2013 si inseriscono in un terzo elemento strutturale, rimasto immutato dalla fondazione del Paese: il progetto di costruire un \u00abparadiso terrestre\u00bb.<\/p>\n\n\n\n

Questa “pursuit of happiness<\/em><\/em>“, sancita nella Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, appartiene al fondamento culturale americano. Si \u00e8 tradotta nello sfruttamento di risorse naturali eccezionali, in una fede illimitata nella capacit\u00e0 della tecnologia di dominare la natura e nell’instaurazione di una societ\u00e0 consumistica che dovrebbe garantire sia il benessere materiale che l’integrazione politica dei cittadini nella nazione americana. Tutti elementi indispensabili per comprendere non solo la storia interna degli Stati Uniti, ma anche i fondamenti della loro politica internazionale.<\/p>\n\n\n\n

Nel XVIII secolo, questa \u201cricerca della felicit\u00e0\u201d si basava sulla certezza dell’illimitatezza delle risorse naturali disponibili su un territorio in piena conquista e che appariva anch’esso illimitato e senza confini apparenti.<\/p>\n\n\n\n

Nel 1787, gli Stati Uniti \u2013 allora limitati alle tredici ex colonie \u2013 contavano 4 milioni di abitanti, in un mondo con meno di un miliardo di persone. Oggi ne contano 340 milioni su un pianeta popolato da otto miliardi di persone.<\/p>\n\n\n\n

Si pu\u00f2 addirittura affermare, senza esagerare, che gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra alla Terra.<\/p>Ludovic Tourn\u00e8s<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Nel frattempo, la scienza ha stabilito che le risorse terrestri sono limitate e che il loro sfruttamento intensivo altera l’ecosistema al punto da renderlo sempre pi\u00f9 difficile da vivere per l’umanit\u00e0.<\/p>\n\n\n\n

Nonostante questa rottura, la cultura americana rimane immutata.<\/p>\n\n\n\n

George H. W. Bush lo ha affermato senza mezzi termini al Vertice della Terra di Rio de Janeiro nel 1992: “Lo stile di vita degli americani non \u00e8 negoziabile”. Suo figlio George W. Bush lo ha ribadito e Donald Trump lo rilancia in una visione estrattivista radicale riassunta dallo slogan “Drill, baby, drill<\/em>“.<\/p>\n\n\n\n

Nessuno sembra in grado di costringere la prima potenza mondiale a cambiare il proprio stile di vita, se non se stessa. Nell’attuale contesto di disaccoppiamento degli Stati Uniti dal resto del mondo, questo tratto culturale \u00e8 diventato potenzialmente devastante per il resto del pianeta.<\/p>\n\n\n\n

I massicci investimenti in un ecosistema tecnologico incentrato sull’intelligenza artificiale, largamente indifferente alle esigenze climatiche, non fanno che accentuare questa dinamica. Si pu\u00f2 addirittura affermare, senza esagerare, che gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra alla Terra, impegnando tutta la loro potenza industriale, tutte le loro capacit\u00e0 di innovazione e la loro storica fede nella costruzione di un mondo migliore.<\/p>\n\n\n\n

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\u00a9 Guilong Charles Cheng<\/figcaption>\n <\/a>\n<\/figure>\n\n\n

Cosa possiamo fare?<\/strong><\/h2>\n\n\n\n

Dobbiamo smettere di nasconderci la faccia.<\/p>\n\n\n\n

Il Paese che abbiamo davanti oggi non corrisponde pi\u00f9 alle rappresentazioni forgiate nella seconda met\u00e0 del XX secolo.<\/p>\n\n\n\n

Le \u00e9lite politiche devono smettere di alimentare nostalgia e illusioni nei confronti dell’ordine internazionale multilaterale nato nel 1945, che costituisce l’alfa e l’omega della cultura diplomatica europea. Questo ordine ha avuto un inizio e ora ne stiamo vivendo la fine.<\/p>\n\n\n\n

Si tratta di considerare la storia come il presente con realismo. Gli Stati Uniti hanno sempre perseguito i loro obiettivi di politica estera con brutalit\u00e0, dalla conquista del West alla guerra delle Filippine (1899-1902), fino al Vietnam.<\/p>\n\n\n\n

Gli Stati Uniti hanno cambiato campo: non solo il loro modo di fare politica \u00e8 diventato pericoloso, ma lo \u00e8 anche il loro stile di vita.<\/p>Ludovic Tourn\u00e8s<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Se, dopo il 1945, questa brutalit\u00e0 \u00e8 stata in parte contenuta dall’indicizzazione della loro sicurezza a quella del mondo, riducendo il rischio di un attore potente totalmente incontrollabile, questa logica ha anche portato gli Stati Uniti ad accettare alcuni limiti al loro dominio integrando il multilateralismo, dal quale hanno tratto a lungo importanti dividendi, sia in termini di prosperit\u00e0 economica che di influenza geopolitica e culturale.<\/p>\n\n\n\n

Ed \u00e8 proprio questa idea, che fino agli anni ’80 era condivisa dalla classe politica americana, che oggi \u00e8 andata in frantumi.<\/p>\n\n\n\n

Con la scomparsa dell’indicizzazione degli Stati Uniti sul mondo, rimane solo la potenza bruta, che sotto Donald Trump \u00e8 diventata sempre pi\u00f9 spettacolare e priva di qualsiasi freno.<\/p>\n\n\n\n

Gli Stati Uniti hanno cambiato campo: il loro modo di fare politica, cos\u00ec come il loro stile di vita, costituiscono ormai un rischio esistenziale.<\/p>\n\n\n\n

Di fronte a questo pericolo senza precedenti, la reazione dovrebbe essere rapida e vigorosa. Una parte, senza dubbio la maggioranza<\/a>, dei popoli europei sembra pronta. Chi tra i nostri leader sar\u00e0 in grado di avviare questo movimento storico?<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Per affrontare Trump, bisogna uscire \u2014 il pi\u00f9 rapidamente possibile \u2014 dallo spettacolo del momento e pensare al lungo termine.<\/p>\n

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