{"id":2189,"date":"2021-05-28T17:16:07","date_gmt":"2021-05-28T16:16:07","guid":{"rendered":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/ita\/?p=2189"},"modified":"2021-05-29T08:00:40","modified_gmt":"2021-05-29T07:00:40","slug":"il-conflitto-israelo-palestinese-sul-lungo-periodo-tra-esodi-e-oltranzismi","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2021\/05\/28\/il-conflitto-israelo-palestinese-sul-lungo-periodo-tra-esodi-e-oltranzismi\/","title":{"rendered":"Comprendere il conflitto israelo-palestinese, tra esodi e oltranzismi"},"content":{"rendered":"\n

Nelle ultime due settimane, gli occhi di tutto il mondo sono tornati sul Medio Oriente e su quel logorante conflitto che, ancora una volta, ha dimostrato di non essere affatto risolto. Dopo undici giorni di violenza, il 20 maggio \u00e8 finalmente entrato in vigore il cessate il fuoco. Razzi e bombardamenti hanno provocato la morte di 248 palestinesi e 12 israeliani (6 dei quali palestinesi con cittadinanza israeliana), nonch\u00e9 la distruzione di buona parte della Striscia di Gaza, che – secondo alcuni – non era mai stata bombardata in modo cos\u00ec massiccio. N\u00e9, del resto, da Gaza erano mai partiti cos\u00ec tanti razzi. Una prospettiva storica della situazione \u00e8 importante non solo per comprendere e mettere in prospettiva ci\u00f2 che \u00e8 accaduto negli ultimi giorni, ma per portare alla luce le ragioni profonde di un conflitto che si trascina da troppo tempo ed ha provocato ferite che sembrano insanabili. Un conflitto che rischia di riaccendersi da un momento all\u2019altro. Per parlarne, abbiamo incontrato Lorenzo Kamel, Professore di Storia Contemporanea presso l\u2019Universit\u00e0 di Torino e direttore delle collane editoriali dello IAI – Istituto Affari Internazionali.<\/em><\/p>\n\n\n\n

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Lorenzo Kamel \u00e8 Professore di Storia Contemporanea all’Universit\u00e0 di Torino e Direttore delle collane editoriali dello IAI – Istituto Affari Internazionali. <\/figcaption>\n <\/a>\n<\/figure>\n\n\n

Il 23 maggio, a Gerusalemme, la Spianata delle Moschee \u2013 il Monte del Tempio per gli ebrei \u2013 \u00e8 stata riaperta ai fedeli ebrei e ne sono da subito seguiti nuovi scontri. Potrebbe trattarsi del preludio di una nuova escalation? Per quale ragione i fedeli di tutte le religioni non hanno accesso a quelli che considerano dei loro luoghi sacri? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Per risponderle, mi lasci citare un articolo di Shmuel Rosner sul New York Times<\/em>, nel quale si sottolinea l\u2019esistenza di \u201cun sentimento crescente tra gli ebrei israeliani affinch\u00e9 lo status quo<\/em> venga modificato\u201d <\/span>1<\/sup><\/a><\/span><\/span>. Rosner non si riferiva allo status quo<\/em> <\/em><\/strong>e alle condizioni cui sono sottoposti milioni di persone nei territori palestinesi, n\u00e9 all\u2019impossibilit\u00e0 per una rilevante percentuale di loro di poter accedere ai propri luoghi sacri. Intendeva invece sottolineare la necessit\u00e0 di eliminare le limitazioni imposte ai fedeli ebrei di pregare \u201cnel luogo pi\u00f9 sacro al giudaismo\u201d. Numerosi analisti ritengono che tali restrizioni rappresentino lo specchio dell\u2019\u201cintolleranza islamica\u201d. \u201cTra il 1948 e il 1967\u201d, ha scritto tra gli altri Charles Bybelezer sul Jerusalem Post<\/em>, \u201cnon un solo ebreo ha avuto la possibilit\u00e0 di pregare al Muro del Pianto\u201d <\/span>2<\/sup><\/a><\/span><\/span>.<\/p>\n\n\n\n

Le restrizioni riguardanti l\u2019accesso al Muro del Pianto non avevano in realt\u00e0 alcuna \u201cconnotazione islamica\u201d. I fedeli ebrei avevano infatti avuto libero accesso all\u2019area nei precedenti dodici secoli di dominazione islamica: una facolt\u00e0 negata loro, per contro, ai tempi dei bizantini e dei crociati. La questione del Muro del Pianto pu\u00f2 essere compresa solo se posta in relazione alla storia del secolo scorso, in particolare alla guerra del 1948, quando circa 430 villaggi palestinesi furono rasi al suolo e spesso rinominati. Sebbene sia importante sottolineare che ai fedeli di religione ebraica \u00e8 stato impedito l\u2019accesso al Muro per due decenni, \u00e8 altres\u00ec necessario tenere a mente che ai profughi palestinesi e ai loro discendenti \u00e8 ancora oggi negata la possibilit\u00e0 di accedere a quelli che erano i loro possedimenti in Israele. <\/p>\n\n\n\n

Quali sono i numeri esatti legati a tale esodo?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Nel 1948 e 1949 circa 770.000 persone \u2013 compresi circa 20.000 ebrei cacciati da Hebron, Gerusalemme, Jenin e Gaza dalle milizie arabe \u2013 furono espulse nell\u2019arco di pochi giorni e poi venne loro negato il ritorno con la forza. Alcune di esse fuggirono per paura, spesso dopo aver assistito al tragico destino dei loro parenti e amici. C\u2019\u00e8 poi la questione legata alle discriminazioni e alle violenze di cui furono vittime, in quella medesima fase storica, anche centinaia di migliaia di ebrei in alcuni Paesi arabi. Come ho argomentato in alcuni miei lavori <\/span>3<\/sup><\/a><\/span><\/span>, i palestinesi non sono responsabili per quanto avvenuto a Baghdad o al Cairo, ed \u00e8 storicamente e metodologicamente fuorviante creare un parallelismo tra i due esodi. Detto ci\u00f2, essi possono avanzare rivendicazioni legittime: ogni forma di violenza \u00e8 ugualmente inaccettabile e deve essere studiata, riconosciuta e condannata. <\/p>\n\n\n\n

Come gi\u00e0 successo in passato, una chiave di volta da cui non si pu\u00f2 prescindere riguarda dunque lo status<\/em> di Gerusalemme. Quale potrebbe essere la soluzione pi\u00f9 auspicabile per la Citt\u00e0 Santa?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Gli estremismi di tutte le parti in causa sembrano avere il sopravvento. Alcuni leader islamici \u2013 nei territori palestinesi e altrove \u2013 continuano a manifestare il loro oltranzismo negando l\u2019esistenza di un qualsiasi legame tra gli ebrei e il luogo a loro noto da millenni come \u201cMonte del Tempio\u201d: \u201cchi afferma che essi [gli ebrei] abbiano un legame storico di lunga data con Israele \u00e8 un bugiardo\u201d, ha scritto ad esempio il teologo egiziano Sheikh Yusuf al-Qaradawi. \u201cDove mai sarebbe stato collocato questo cosiddetto Tempio di Salomone?\u201d, ha concluso. Uno studio pubblicato dal ministero dell\u2019Informazione dell\u2019Autorit\u00e0 Nazionale Palestinese si \u00e8 spinto oltre, sottolineando che nessun musulmano \u201cha il diritto di rinunciare a una singola pietra del Muro di Bur\u0101q\u201d.<\/p>\n\n\n\n

Sul versante opposto, numerosi studiosi \u2013 incluso il politologo dell\u2019Universit\u00e0 di Bar Ilan Mordechai Kedar \u2013 sostengono che \u201cGerusalemme \u00e8 una citt\u00e0 ebraica [\u2026] mai neppure menzionata nel Corano\u201d, mentre diversi movimenti pseudo-religiosi hanno come \u201cobiettivo di lungo termine\u201d quello di \u201cliberare il Monte del Tempio dall\u2019occupazione araba [\u2026]. Il Monte del Tempio non potr\u00e0 mai essere consacrato a Dio senza [prima] rimuovere questi santuari pagani\u201d.<\/p>\n\n\n\n

Solo due opzioni sembrano poter scongiurare un ulteriore rafforzamento degli elementi pi\u00f9 oltranzisti. La prima \u00e8 il mantenimento dell\u2019attuale status quo<\/em> nella Citt\u00e0 Vecchia di Gerusalemme. Sollecitare un cambiamento, senza al contempo chiarire lo status<\/em> dei territori palestinesi e senza opporsi alle politiche di espropriazione nei confronti della popolazione palestinese portate avanti nella citt\u00e0 da gruppi oltranzisti come Elad, non farebbe altro che innescare ulteriori violenze. L\u2019alternativa \u00e8 l\u2019internazionalizzazione della Citt\u00e0 Vecchia.<\/p>\n\n\n\n

Solo due opzioni sembrano poter scongiurare un ulteriore rafforzamento degli elementi pi\u00f9 oltranzisti. La prima \u00e8 il mantenimento dell’attuale status quo<\/em> nella Citt\u00e0 Vecchia di Gerusalemme. Sollecitare un cambiamento senza al contempo chiarire lo status<\/em> dei territori palestinesi e senza opporsi alle politiche di espropriazione nei confronti della popolazione palestinese portati avanti nella citt\u00e0 da gruppi estremisti come Elad non farebbe altro che innescare ulteriori violenze. L’alternativa \u00e8 l’internazionalizzazione della Citt\u00e0 Vecchia. <\/p>lorenzo KAMEL<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Nel dibattito viene lasciato ancora ampio spazio alla ricerca di giustificazioni religiose su cui fondare una presunta primazia sulla Citt\u00e0 Santa. Riprendendo quanto sostenuto da Bar Ilan Mordechai Kedar, \u00e8 vero che Gerusalemme non \u00e8 mai citata nel Corano? E quanto ci\u00f2 pu\u00f2 essere rilevante in termini politici?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Posi tempo fa questa stessa domanda a Moshe Ma\u2019oz, che oggi \u00e8 un caro amico mentre allora era il mio supervisore accademico durante gli anni che ho trascorso all\u2019Universit\u00e0 ebraica di Gerusalemme. \u201cLa moschea di al-Aqsa\u201d, mi rispose, \u201covvero \u2018la pi\u00f9 lontana\u2019, di cui si parla nella Sura 17 del Corano, \u00e8 certamente il frutto di un’interpretazione. Mi chiedo tuttavia che differenza faccia se Gerusalemme sia citata esplicitamente o meno. Tutto \u00e8 un\u2019interpretazione. Numerosi accademici hanno dimostrato che il racconto dell\u2019esodo del popolo ebraico dall\u2019Egitto \u00e8 pieno di distorsioni, spesso invenzioni. Questo non cambia nulla per noi ebrei. Continuiamo a credere ai nostri miti cos\u00ec come altri popoli continuano a credere nei loro. Non \u00e8 una questione di fatti, ma di credo. Un miliardo e mezzo di musulmani crede nell\u2019Isra e nel Mi\u2018raj, il viaggio notturno del loro Profeta verso Gerusalemme. Questo \u00e8 ci\u00f2 che conta, a meno di non voler passare in rassegna tutti gli eventi citati nei libri sacri delle tre religioni monoteiste alla ricerca di evidenze storiche. Se facessimo cos\u00ec, resteremmo molto delusi\u201d.<\/p>\n\n\n\n

Queste parole penso ci aiutino a trarre due importanti insegnamenti legati agli eventi che oggi, come mille altre volte in passato, stanno infiammando Gerusalemme. Il primo \u00e8 che la religione non deve essere utilizzata come strumento politico, o per negare le credenze e i \u201cmiti\u201d degli altri. Il secondo, di nuovo, \u00e8 che una soluzione duratura non pu\u00f2 che basarsi sulla condivisione o l\u2019internazionalizzazione della Citt\u00e0 Vecchia di Gerusalemme, nonch\u00e9 su uno sforzo congiunto finalizzato a innescare un radicale cambiamento politico nello status<\/em> dei territori palestinesi.<\/p>\n\n\n\n

Al di l\u00e0 delle ragioni storiche e delle interpretazioni dottrinali che sottendono e alimentano queste tensioni, veniamo ora agli eventi degli ultimi giorni. Cercando di non confondere cause ed effetti, come possiamo interpretare questa ultima fase del conflitto? Si tratta dell\u2019ennesima escalation di violenza o possiamo leggere in filigrana un cambiamento profondo e di pi\u00f9 lungo periodo?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Il cambiamento profondo riguarda l\u2019attenzione crescente delle opinioni pubbliche internazionali: c\u2019\u00e8 una crescente sete di conoscenza legata a questo conflitto, soprattutto tra i pi\u00f9 giovani. Per il resto si tratta invece di un copione visto innumerevoli volte. Quando si raggiunge una sorta di impasse legata a Gerusalemme o a qualsiasi altro aspetto strutturale del conflitto, la Striscia di Gaza si trasforma in una sorta di valvola di sfogo. Martin Luther King era solito sostenere che \u201cla vera pace non \u00e8 l\u2019assenza di tensione, bens\u00ec la presenza di giustizia\u201d. Fino a quando milioni di esseri umani continueranno a vivere in un limbo giuridico e ad essere giudicati da tribunali militari, non c\u2019\u00e8 alcuna speranza che la situazione cambi. Per rendersene conto basterebbe fare pochi passi nel campo profughi di Shuafat. Sembra un luogo dimenticato dal mondo. Eppure \u00e8 ad appena 4 km dal centro di Gerusalemme, la citt\u00e0 pi\u00f9 contesa della terra. \u00c8 un luogo spettrale, con case dissestate ammassate l\u2019una sull\u2019altra, spazzatura ovunque, strade sterrate. Fa parte della municipalit\u00e0 di Gerusalemme, ma \u00e8 divisa tanto da quest\u2019ultima quanto dalla Cisgiordania da un muro che la avvolge. Nel campo vivono circa trentamila persone, molti dei quali profughi. <\/p>\n\n\n\n

Quanto pesano, in questo contesto di segregazione, le considerazioni legate alla sicurezza, e quanto l\u2019opportunit\u00e0 di sfruttare le risorse del territorio?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Le questioni di sicurezza giocano un ruolo importante, ma possono fare luce solo su un frammento di una realt\u00e0 ben pi\u00f9 complessa. \u00c8 sufficiente ricordare che circa il 94% dei materiali prodotti annualmente nelle cave israeliane costruite in Cisgiordania \u00e8 trasportato in Israele e che milioni di palestinesi \u2013 a differenza di quanto accade con i coloni, soggetti a legislazione israeliana \u2013 sono giudicati da corti militari israeliane: il 99,74% dei processi si conclude in condanne. Le autorit\u00e0 israeliane giustificano tale sperequazione di trattamento sostenendo che la Convenzione di Ginevra proibisce di alterare lo status legale di persone presenti in territori occupati. La medesima Convenzione, \u2013 cos\u00ec come quella dell\u2019Aja del 1907 in relazione allo sfruttamento delle materie prime \u2013 viene tuttavia ignorata per quanto concerne il divieto imposto a una potenza occupante di trasferire, ad esempio tramite enormi finanziamenti, parte della propria popolazione in un territorio da essa occupato. <\/p>\n\n\n\n

A ci\u00f2 si sommano considerazioni di carattere pi\u00f9 pratico. Caso unico al mondo, milioni di persone sono sprovviste da oltre mezzo secolo tanto di uno stato quanto di una cittadinanza. Le \u201cpotenze occupanti\u201d presenti in contesti come ad esempio il Tibet, Cipro del Nord o il Sahara Occidentale \u2013 al netto delle peculiari caratteristiche politiche, economiche e legali di ognuna di queste aree \u2013 mantengono s\u00ec i benefici connessi alle loro \u201coccupazioni\u201d, ma si sono assunte anche alcune responsabilit\u00e0 nei riguardi delle popolazioni assoggettate, fornendo loro una cittadinanza.<\/p>\n\n\n\n

Le questioni di sicurezza giocano un ruolo importante, ma possono fare luce solo su un frammento di una realt\u00e0 ben pi\u00f9 complessa. Basta ricordare che circa il 94% dei materiali prodotti annualmente nelle cave israeliane costruite in Cisgiordania \u00e8 trasportato in Israele, e che milioni di palestineis sono giudicati da corti militari israeliane: il 99,74% dei processi si conclude in condanne. <\/p>lorenzo kamel<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Torniamo per\u00f2 alle conseguenze politiche delle vicende degli ultimi giorni. Uno dei risultati dell\u2019escalation <\/em>\u00e8 stato il consolidamento di un nuovo consenso attorno a Benjamin Netanyahu e al Likud, proprio in un momento in cui sembrava che il Primo ministro potesse essere estromesso dal potere da una nuova coalizione di governo.<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Benjamin Netanyahu \u00e8 alle prese con ben tre processi legati a gravi accuse di corruzione. In questo senso, da un punto di vista politico e come gi\u00e0 accaduto in passato, questa crisi ha rappresentato una sorta di salvagente per il Primo ministro israeliano, che ha tra i suoi obiettivi quello di riunire intorno a s\u00e9 il popolo israeliano e impedire alle forze politiche di formare un nuovo governo senza di lui. A ci\u00f2 si aggiunga che le elezioni in Israele verranno posticipate all\u2019autunno: \u00e8 verosimile che Netanyahu ne uscir\u00e0 come l’uomo della sicurezza, che ha tenuto testa, con il pugno di ferro, ad Hamas. <\/p>\n\n\n\n

In questo contesto, la piattaforma politica del Likud, il partito del primo ministro Netanyahu, escludeva \u201cin maniera completa\u201d <\/span>4<\/sup><\/a><\/span><\/span> l\u2019eventualit\u00e0 che potesse essere costituito uno Stato palestinese nell\u2019area tra il Giordano e il Mar Mediterraneo: dal 1999, quando venne redatta, non \u00e8 mai stata emendata. Ci\u00f2 appare ancora pi\u00f9 significativo se si pensa che ad Oslo, nel 1993, i palestinesi riconobbero il diritto all\u2019esistenza dello Stato di Israele. Le autorit\u00e0 israeliane, per contro, non hanno mai riconosciuto il diritto dei palestinesi ad avere un loro stato, bens\u00ec hanno riconosciuto l\u2019Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP) quale legittima rappresentante del popolo palestinese. L\u2019approccio del Likud \u00e8 peraltro riscontrabile nei principi promossi da molti altri partiti, come ad esempio Ha-Tikvah<\/em>, Ha-Bayit Ha-Yehudi,<\/em> ma anche Ha-Yamin HeHadash, <\/em>fondato dall\u2019ex ministro dell\u2019Economia Naftali Bennett e dall\u2019ex ministra della Giustizia Ayelet Shaked. Quest\u2019ultima, durante l\u2019attacco condotto su Gaza nell’estate del 2014, pubblic\u00f2 sul suo profilo di Facebook un manifesto in cui si incitava l\u2019uccisione delle madri dei \u201cterroristi palestinesi\u201d perch\u00e9 mettono al mondo \u201cpiccoli serpenti\u201d. Sebbene non fosse l\u2019autrice del manifesto, Shaked lo pubblic\u00f2 senza aggiungere alcun commento. Quanto a Bennett, ha pi\u00f9 volte chiarito che \u201cnon c\u2019\u00e8 spazio nella nostra piccola ma stupenda terra dataci da Dio per un altro Stato\u201d <\/span>5<\/sup><\/a><\/span><\/span>. <\/p>\n\n\n\n

Oltre ad un rafforzamento politico di Netanyahu, abbiamo anche assistito alla crescita della popolarit\u00e0 di Hamas proprio quando le elezioni palestinesi sono state rimandate, ancora una volta. <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

La carneficina a cui si \u00e8 assistito in questi ultimi giorni nella Striscia di Gaza ci consegna una lezione importante: invece che far rivoltare i palestinesi contro Hamas, il blocco di Gaza li rende sempre pi\u00f9 dipendenti da questo movimento estremista. Va detto che l\u2019esistenza a pochi chilometri dalle maggiori citt\u00e0 israeliane di un\u2019organizzazione come Hamas, che sovente ha colpito in maniera indiscriminata i civili e che ancora oggi mantiene nel suo statuto fondante del 1988 \u2013 sebbene piuttosto diverso dal suo pi\u00f9 recente programma politico \u2013 la volont\u00e0 di distruggere lo Stato di Israele, \u00e8 un affronto che pochi tra quanti criticano l\u2019establishment israeliano sarebbero disposti ad accettare. Esiste un diritto a resistere forme di oppressione, ma ci\u00f2 non implica che ogni mezzo sia lecito.<\/p>\n\n\n\n

Tuttavia, come ha ricordato in una recente intervista<\/a>, Hamas non viene da Marte ed \u00e8 fondamentale non perdere di vista il contesto \u2013 quello della Striscia di Gaza \u2013 che ne ha visto la nascita. Qual \u00e8 dunque il retroterra che ha portato alla fondazione di Hamas e in che modo pu\u00f2 essere importante per capire la situazione attuale?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

La Striscia di Gaza, 40 chilometri di lunghezza per 12 di larghezza, \u00e8 abitata da circa un milione e 800 mila abitanti. La popolazione \u00e8 in larga parte composta da famiglie di profughi. Molte di esse furono espulse nel 1948 da Najd, Al-Jura e al-Majdal \u2013 odierne Or HaNer, Sderot e Ashkelon, quest\u2019ultima, una citt\u00e0 di origini canaanite, includeva fino al 1948 al-Majdal \u2013 e trasportate con autobus nei campi e nelle citt\u00e0 che compongono l\u2019odierna Striscia di Gaza. <\/p>\n\n\n\n

Una popolazione gi\u00e0 provata da decenni di privazioni \u2013 l\u2019asfissiante blocco di Gaza risale al 2007, ma l\u2019area \u00e8 sotto controllo israeliano da 54 anni \u2013 \u00e8 costretta a utilizzare un\u2019unica, inquinata, falda acquifera e a vivere in uno stato di completa dipendenza.<\/p>\n\n\n\n

Lo spazio aereo, l\u2019area marittima e le relative risorse energetiche \u2013 in particolare il gas \u2013 e l\u2019energia elettrica \u2013 l\u2019unica centrale presente nella Striscia \u00e8 stata bombardata nel 2006 <\/span>6<\/sup><\/a><\/span><\/span> \u2013, nonch\u00e9 la possibilit\u00e0 di spostamento tra Gaza e la Cisgiordania, sono sotto esclusivo controllo israeliano.<\/p>\n\n\n\n

Quanto al retroterra storico, \u00e8 bene partire dal fatto che negli anni successivi alla guerra del 1948 si verificarono diversi casi di rifugiati, o \u201cinfiltrati\u201d, che attraversavano le linee sancite con l\u2019armistizio per impossessarsi di beni e dei raccolti abbandonati, o per razziare gli insediamenti israeliani adiacenti alla Striscia. In quella fase storica, numerosi israeliani vennero uccisi e, al contempo, per citare lo storico Benny Morris, \u201cle misure difensive anti-infiltrazione di Israele hanno portato alla morte di diverse migliaia di arabi, per lo pi\u00f9 disarmati, tra il 1949 e il 1956\u201d.  <\/p>\n\n\n\n

Nonostante la rabbia e le paure legate ad un passato tragico, la popolazione della Striscia di Gaza rimase in larga parte apolitica e molto esitante nei confronti dei Fratelli Musulmani palestinesi, precursori di Hamas. Il primo ramo locale dei Fratelli Musulmani, gi\u00e0 all\u2019epoca composto da diverse fazioni, fu fondato a Gerusalemme nel 1946.<\/p>\n\n\n\n

Negli anni \u201850 e \u201860, la Fratellanza si indebol\u00ec a causa della dura repressione attuata dal presidente egiziano Gamal Nasser. In seguito, dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, l\u2019Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) si orient\u00f2 sempre pi\u00f9 verso la violenza e il terrorismo, una strategia che al tempo i precursori di Hamas non abbracciarono. Scelsero invece di concentrarsi su attivit\u00e0 sociali e culturali \u2013 beneficiando per questo della tolleranza delle autorit\u00e0 israeliane, che li consideravano come un contrappeso al nemico principale, l\u2019OLP \u2013 in un ambiente che si stava sempre pi\u00f9 indirizzando verso la religione. <\/p>\n\n\n\n

Tra il 1967 e il 1987, anno di fondazione di Hamas e due decenni dopo l\u2019inizio dell’occupazione israeliana, il numero di moschee a Gaza triplic\u00f2 da 200 a 600. Hamas \u00e8 stata creata per l\u2019appunto nel 1987, nel contesto dello scoppio della prima intifada. Il suo fondatore, lo sceicco Ahmed Yassin, nato ad Al-Jura, fond\u00f2 il suo movimento a partire dal ramo di Gaza della Fratellanza, in gran parte dormiente, con l\u2019obiettivo di assumere un ruolo guida nella rivolta del 1987. L\u2019organizzazione ha effettuato il suo primo attacco contro forze israeliane nel 1989, uccidendo due soldati. Lo sceicco Yassin fu condannato all\u2019ergastolo e 400 attivisti di Hamas furono deportati nel Libano meridionale occupato al tempo dalle truppe israeliane, dove Hezbollah e Hamas consolidarono le loro relazioni. <\/p>\n\n\n\n

Iz al-Din al-Qassam, il ramo militare di Hamas, \u00e8 stato fondato nel 1991. Due anni dopo, iniziarono gli attacchi terroristici in Cisgiordania e dall\u2019aprile 1994 \u2013 due mesi dopo il massacro perpetrato da Baruch Goldstein nella moschea di Ibrahim\/Tomba dei Patriarchi a Hebron \u2013 cominciarono gli attentati suicidi in Israele. Le dichiarazioni antisemite di diversi membri e dirigenti di Hamas, simili a quelle contenute nella Carta di Hamas del 1988, divennero da allora sempre pi\u00f9 comuni. <\/p>\n\n\n\n

Nel marzo 2004, lo sceicco Yassin fu poi ucciso da un attacco missilistico israeliano. Hamas sopravvisse e cominci\u00f2 a partecipare al processo elettorale, ottenendo un crescente sostegno tra la popolazione locale, soprattutto grazie alle sue attivit\u00e0 sociali e agli effetti dell\u2019occupazione israeliana. <\/p>\n\n\n\n

Dopo la vittoria di Hamas alle elezioni legislative palestinesi del 2006, Ismail Haniyeh \u2013 il neoeletto primo ministro \u2013 ha inviato un dispaccio al presidente degli Stati Uniti George W. Bush, chiedendo di essere riconosciuto e offrendo una tregua a lungo termine con Israele e l\u2019istituzione di un confine sulle linee del 1967. Il suo messaggio, come uno analogo inviato alle autorit\u00e0 israeliane, \u00e8 rimasto senza risposta. Un destino simile fu riservato negli stessi mesi all\u2019iniziativa di pace promossa dalla Lega Araba. <\/p>\n\n\n\n

Come accaduto a parti inverse nel caso di diversi movimenti e partiti politici israeliani, anche Hamas era ancora lontano dall\u2019essere pronto a riconoscere lo Stato di Israele, ma sembrava allora disposto ad adottare un approccio pragmatico. <\/p>\n\n\n\n

La decisione del primo ministro Ehud Olmert di rispondere alla presa di Gaza da parte di Hamas con un blocco ha fatto il gioco dell\u2019ala militare dell’organizzazione. Inoltre, il fallimento dell’ala politica di Hamas nel rimuovere la chiusura israeliana ha minato qualsiasi tentativo di esplorare soluzioni pragmatiche. \u201cLe differenze tra la piattaforma del partito e la Carta Islamica [di Hamas]\u201d, nelle parole di Menachem Klein, \u201cnon rappresentano un tentativo di inganno o l\u2019uso vuoto e sconsiderato delle parole. Sono il prodotto di un cambiamento e di un mutamento delle linee di pensiero come parte del processo attraverso il quale Hamas \u00e8 diventato un movimento politico\u201d. <\/p>\n\n\n\n

L\u2019evoluzione pragmatica di Hamas potrebbe essere vista anche nella fase successiva all\u2019attuazione del cessate il fuoco del 2012, mediato dall\u2019Egitto, che avrebbe dovuto porre fine o alleggerire significativamente la chiusura di Gaza e garantire le esigenze di sicurezza di Israele. Durante i tre mesi successivi all’accordo, si \u00e8 verificato un solo attacco, con due colpi di mortaio. Nello stesso periodo, Gaza ha subito incursioni regolari e alla popolazione locale \u00e8 stato nuovamente impedito di condurre un\u2019esistenza normale. <\/p>\n\n\n\n

Quanto detto finora non deve essere inteso come un modo per minimizzare le pesanti responsabilit\u00e0 di Hamas: i razzi che minacciano le citt\u00e0 israeliane sono, senza se e senza ma, immorali e controproducenti. Inoltre, diversi leader e simpatizzanti di Hamas si sono spesso concentrati su un\u2019opposizione di principio a Israele, piuttosto che sul miglioramento delle condizioni del popolo palestinese. Infine, Hamas ha spesso sviato la causa palestinese dalla richiesta del legittimo diritto dei palestinesi a uno stato, \u2013 o almeno all\u2019avere pieni diritti, dunque una cittadinanza \u2013 in favore di una disputa intra-palestinese tra Hamas e Fatah, o di una disputa tra Gaza ed Egitto riguardo il valico di Rafah. <\/p>\n\n\n\n

Quanto detto finora non deve essere inteso come un modo per minimizzare le pesanti responsabilit\u00e0 di Hamas: i razzi che minacciano le citt\u00e0 israeliane sono, senza alcun dubbio, immorali e controproducenti. Inoltre, diversi leader e simpatizzanti di Hamas si sono spesso concentrati su un’opposizione di principio a Israele, piuttosto che sul miglioramento delle condizioni del popolo palestinese.<\/p>lorenzo kamel<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Ma le responsabilit\u00e0 di Hamas non possono prescindere dal contesto e dal ruolo giocato da Israele nell\u2019intero processo. Al contrario dello Stato Islamico (ex ISIS) e di altri gruppi simili, privi di ancoraggi profondi nelle societ\u00e0 locali e basati su ideologie obsolete, le fazioni palestinesi sono saldamente radicate nella storia della loro terra. Sono il prodotto di molte decisioni sbagliate, ma anche di un secolo di sofferenza, di oppressione e di una lunga ricerca legata all\u2019autodeterminazione. Qualsiasi soluzione che non affronti queste problematiche ritengo sia destinata a fallire.<\/p>\n\n\n\n

Possiamo individuare un interesse politico e strategico da parte di Israele e di Hamas nel fomentare le divisioni interne ai palestinesi?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Parte dell\u2019establishment <\/em>israeliano ambisce a minare una qualsiasi possibile riconciliazione tra le fazioni palestinesi. La leadership di Hamas \u2013 che, come l\u2019Autorit\u00e0 nazionale palestinese in Cisgiordania, \u00e8 al potere senza alcuna legittimit\u00e0 elettorale \u2013 \u00e8 ancora lontana dall\u2019accettare la legittimit\u00e0 dell\u2019altro<\/em>, nonch\u00e9 il principio che solo il diritto internazionale, accompagnato da forme di resistenza non violenta, possano creare le condizioni per una svolta: un radicalismo \u2013 pagato a caro prezzo dalla gente di Gaza \u2013 pi\u00f9 che mai funzionale a rafforzare le componenti pi\u00f9 oltranziste della controparte israeliana.<\/p>\n\n\n\n

Sulla \u201csponda opposta\u201d, la mancanza del pieno riconoscimento di uno status collettivo palestinese su un suolo delimitato e dotato di sufficiente continuit\u00e0 non pu\u00f2 che continuare a ripercuotersi sulla stessa societ\u00e0 israeliana, con effetti controproducenti per ognuna delle parti in causa.<\/p>\n\n\n\n

Uno degli effetti pi\u00f9 evidenti \u00e8 che ai giorni nostri esistono quattro distinti gruppi di palestinesi, tutti con uno status <\/em>differente: i palestinesi nella Striscia di Gaza, quelli in Cisgiordania, i \u201cresidenti permanenti\u201d di Gerusalemme est e gli arabo-israeliani. Un interlocutore \u201cframmentato\u201d \u00e8 tanto pi\u00f9 debole quanto meno affidabile.<\/p>\n\n\n\n

Al di l\u00e0 del fronte legato a Gaza, in queste ultime settimane abbiamo assistito a linciaggi con pochi precedenti. In particolare citt\u00e0 come Lod, Ramla e l\u2019area di Giaffa, nella municipalit\u00e0 di Tel Aviv, sono stato teatro di scontri particolarmente efferati.<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Purtroppo s\u00ec, e sono linciaggi che hanno coinvolto tutte le parti in causa. Mi lasci anche ricordare che l\u2019espulsione di palestinesi dalle citt\u00e0 di Lod\/Lydda e Ramle nel luglio 1948 rappresent\u00f2 un decimo di tutto l\u2019esodo arabo-palestinese. La maggioranza dei 50.000-70.000 palestinesi che vennero cacciati dalle due citt\u00e0 lo furono in seguito ad un ordine ufficiale di espulsione firmato dall\u2019allora comandante della brigata Harel, Yitzhak Rabin. \u201cGli abitanti di Lydda\u201d, chiar\u00ec Rabin, \u201cdevono essere espulsi rapidamente senza badare all\u2019et\u00e0\u201d. Molte centinaia di loro morirono durante l\u2019esodo per lo sfinimento e la disidratazione. Da allora e nei decenni a seguire si \u00e8 cercato di costruire una qualche coesistenza, che per\u00f2 alla radice cova ancora rancori legati a un passato che non passa.<\/p>\n\n\n\n

Le tensioni di questi giorni si stanno cristallizzando anche attorno alla scelta delle parole usate dalla stampa internazionale per raccontare ci\u00f2 che sta accadendo. Da un lato si \u00e8 parlato di guerra, conflitto, scontro, occupazione, oppressione, terrorismo. Dall\u2019altro, l\u2019attenzione si \u00e8 concentrata prevalentemente su Israele e Hamas, lasciando in secondo piano Gerusalemme e i Territori occupati. Quali sono le conseguenze di tali scelte nella narrazione dei fatti?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Le parole sono fondamentali. Quando ad esempio utilizziamo la vaga espressione \u201cTerritori\u201d per riferirsi al Territorio occupato palestinese, avalliamo e rafforziamo, pi\u00f9 o meno consapevolmente, lo status quo<\/em>. Palestinesi e israeliani non hanno mai concordato n\u00e9 definito i propri confini. Teoricamente, se non fosse per il consenso internazionale ribadito anche dai 138 paesi che hanno riconosciuto lo \u201cStato non membro\u201d di Palestina, i palestinesi potrebbero cominciare a costruire insediamenti all\u2019interno dello Stato d\u2019Israele. Inoltre, l\u2019espressione \u201cguerra Israele-Hamas\u201d andrebbe evitata in quanto fa scomparire i palestinesi dietro ad Hamas. Lo stesso dicasi per \u201carabi israeliani\u201d: sono palestinesi con cittadinanza israeliana, dal momento che \u201carabi\u201d \u00e8 un\u2019espressione vaga e il conferimento di una cittadinanza non cancella l\u2019identit\u00e0 di una persona. Quest\u2019ultimo aspetto \u00e8 stato rimarcato da migliaia di palestinesi con cittadinanza israeliana, ma tali richieste non vengono quasi mai ascoltate.<\/p>\n\n\n\n

D\u2019altro canto, espressioni come \u201csionisti\u201d o \u201centit\u00e0 sionista\u201d, per riferirsi agli israeliani o a Israele, misconoscono una legittima millenaria ambizione, nonch\u00e9 la storia, il sentire e le scelte di milioni di ebrei e\/o israeliani. Chi utilizza queste e molte altre simili espressioni non sta facendo alcun favore alla causa palestinese, bens\u00ec dimostra la propria ignoranza e i propri preconcetti. Ci sono due diritti, due storie e milioni di differenti traumi: nessuno dovrebbe sentirsi in diritto di semplificare quelli della \u201ccontroparte\u201d.<\/p>\n\n\n\n

Come accennava, una delle novit\u00e0 pi\u00f9 interessanti di questi giorni \u00e8 stato il fermento che ha attraversato la societ\u00e0 civile internazionale. Un fermento che si \u00e8 a tratti radicalizzato in una contrapposizione netta che, se da un lato ha portato ad un aumento dell\u2019antisemitismo anche in Europa, dall\u2019altro ha tentato di mettere a tacere proprio con l\u2019accusa di antisemitismo chi ha condannato la risposta militare israeliana. Quanto \u00e8 opportuno o fuorviante nel dibattito pubblico far riferimento alla dimensione religiosa per descrivere il conflitto?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Qualcosa sta cambiando. <\/p>\n\n\n\n

L\u2019opinione pubblica si rende sempre pi\u00f9 conto che quello a cui stiamo assistendo non pu\u00f2 pi\u00f9 essere presentato semplicemente come uno scontro fra israeliani e palestinesi, e ancor meno come una frattura tra ebrei e musulmani. A dispetto delle apparenze, il ruolo della religione pu\u00f2 spiegare molto poco ci\u00f2 che sta avvenendo, tanto pi\u00f9 che una percentuale non trascurabile di palestinesi \u00e8 cristiana e si riconosce in modo completo nella causa perorata dal resto della popolazione palestinese. Per di pi\u00f9, tantissimi israeliani sono in prima linea per denunciare il \u201climbo giuridico\u201d a cui sono sottoposti milioni di palestinesi da oltre mezzo secolo. In politica \u00e8 necessario innamorarsi dei principi e non delle persone, o di una data religione o un certo gruppo etnico. I principi, se sono integri e saldi, non ti deludono. Le persone, per contro, possono deludere.<\/p>\n\n\n\n

L’opinione pubblica si rende sempre pi\u00f9 conto che quello a cui assistiamo non pu\u00f2 pi\u00f9 essere presentato semplicemente come uno scontro fra israeliani e palestinesi, e ancor meno come una frattura tra ebrei e musulmani. A dispetto delle apparenze, il ruolo della religione pu\u00f2 spiegare molto poco ci\u00f2 che sta avvenendo, tanto pi\u00f9 che una percentuale non trascurabile di palestinesi \u00e8 cristiana e si riconosce in modo completo nella causa perorata dal resto della popolazione palestinese. <\/p>lorenzo kamel<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Torniamo ora al cessate il fuoco, raggiunto anche con il coinvolgimento di molti gli attori internazionali e regionali, a partire dagli Stati Uniti e dall\u2019Egitto. Tuttavia, la comunit\u00e0 internazionale \u00e8 stata particolarmente cauta: la risposta dell\u2019Europa \u00e8 stata evanescente, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha potuto adottare alcuna risoluzione a causa del veto statunitense. Al netto delle dichiarazioni pi\u00f9 o meno vacue a favore della pace, come possiamo interpretare il ruolo degli Stati Uniti negli ultimi sviluppi? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Storicamente, a differenza di quanto si potrebbe presumere, alcuni degli approcci pi\u00f9 pragmatici al conflitto sono stati registrati quando alla Casa Bianca erano in carica amministrazioni a guida repubblicana. Per rimanere alle ultime tre decadi, nel 1991 George H.W. Bush fu il primo presidente a trattenere 400 milioni di dollari come \u201crappresaglia\u201d per le politiche israeliane legate agli insediamenti: per contro, nel febbraio 2011, l\u2019amministrazione Obama ha posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell\u2019Onu che definiva illegali gli insediamenti israeliani e ha accordato ad Israele una cifra mai vista prima in finanziamenti militari: 3,8 miliardi di dollari l\u2019anno. L\u2019amministrazione di Bush padre avvi\u00f2 anche il \u201cprocesso di pace\u201d a cui fu ammessa a prendere parte l\u2019Organizzazione di liberazione della Palestina (Olp). Quella di \u201cBush figlio\u201d fu invece la prima amministrazione statunitense a riconoscere il diritto del popolo palestinese a costituirsi in Stato. \u00c8 ancora presto per avere un\u2019idea chiara riguardo a come si muover\u00e0 l\u2019amministrazione Biden, ma, a giudicare dalle dichiarazioni che abbiamo sentito in queste settimane, non sembra esserci spazio per sostanziali cambi di passo. <\/p>\n\n\n\n

Eppure, 225 anni fa, l\u2019allora presidente degli Stati Uniti, George Washington, fu molto chiaro: \u201cun attaccamento appassionato da parte di una Nazione verso un’altra produce una variet\u00e0 di mali […] Conduce inoltre a concessioni alla Nazione preferita di privilegi negati alle altre”.  <\/span>7<\/sup><\/a><\/span><\/span>.<\/p>\n\n\n\n

E il ruolo degli Europei? Possiamo affermare, come sostiene Benjamin Haddad,<\/a> che sia diventata apertamente filo-israeliana? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

L\u2019Unione Europea ha un ruolo centrale nel contribuire a rafforzare alcune delle cause strutturali legate al conflitto. Molti dei droni e dei sistemi utilizzati per controllare e, in alcuni casi, opprimere i palestinesi sono finanziati con fondi pubblici europei <\/span>8<\/sup><\/a><\/span><\/span>. A ci\u00f2 si aggiungano le enormi quantit\u00e0 di armi, prodotte soprattutto in Germania e Francia, alcune delle quali utilizzate anche durante l’ultima guerra di Gaza. Molti paesi europei amano presentarsi come \u201cattori normativi\u201d che non possono fare molto per risolvere i problemi di questo e di altri conflitti. <\/p>\n\n\n\n

Si tratta di una comoda scorciatoia, che pu\u00f2 peraltro essere declinata e osservata anche in molti altri contesti. Si pensi ad esempio che la vendita di armi francesi all\u2019Egitto \u00e8 passata da 39,6 milioni di euro nel 2010 a 1,3 miliardi di euro nel 2016. Ci\u00f2 a dispetto del fatto che, nell\u2019agosto del 2013, il Consiglio Affari esteri dell\u2019Unione europea abbia chiarito che gli Stati membri sono tenuti a sospendere le esportazioni verso l\u2019Egitto di qualsiasi arma o strumento utilizzabile per fini di repressione domestica. Oppure, per rimanere all’Italia, ricordiamo l’enorme quantit\u00e0 di armi prodotte dal gruppo Leonardo \u2013 il cui maggiore azionista \u00e8 lo stato italiano \u2013 che vengono esportate in Egitto. A ci\u00f2 si aggiunga che l’Eni \u00e8 oggi il pi\u00f9 importante produttore di petrolio e gas in Egitto e che \u00e8 responsabile dell\u2019estrazione del 40% dell\u2019intero greggio presente in loco. Sembra dunque chiaro che le proteste legate al caso di Giulio Regeni o in favore del conferimento della cittadinanza italiana a Zaki non sono che specchietti per le allodole di fronte a tali contratti miliardari, che hanno ben altro peso agli occhi del regime al potere al Cairo.  <\/p>\n\n\n\n

Indipendentemente dal coinvolgimento di vari attori internazionali, il cessate il fuoco non ha risolto le cause profonde che hanno concorso al deflagrare di questa ultima fase del conflitto. Ci sono le basi per fare un passo verso un possibile negoziato di pace o si deve credere che la tregua regga senza che nulla cambi? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Fermare i missili e i razzi era certamente la priorit\u00e0. \u00c8 necessario, tuttavia, evitare che il ripristino dell\u2019ordine significhi che la componente ebraica-israeliana potr\u00e0 tornare ad una vita sostanzialmente tranquilla e garantita nei diritti principali, mentre milioni di palestinesi possano continuare a essere soggetti a una violenza strutturale, per certi versi invisibile: \u00e8 infatti visibile solo a quanti sono disposti a vederla. <\/p>\n\n\n\n

Mi lasci anche aggiungere che ci\u00f2 a cui abbiamo assistito in questi ultimi giorni porta con s\u00e9 una precisa lezione: gli estremisti di ogni colore e credo si alimentano e hanno bisogno gli uni degli altri. Troppe persone hanno investito un enorme carico di energie nel tentativo, riuscito, di disumanizzare l\u2019altro: questi ne sono i risultati.<\/p>\n\n\n\n

Per quanto riguarda invece i negoziati di pace, \u00e8 probabile che nei mesi e negli anni a venire assisteremo ad un ulteriore aumento dei tentativi volti a promuovere una soluzione del conflitto basata esclusivamente sul rispetto dei diritti umani, nel contesto di un singolo stato binazionale. Abbandonare o minare il principio di autodeterminazione del popolo palestinese \u00e8 tuttavia rischioso. Come ha notato Sam Bahour, nel momento in cui la lotta si riduce esclusivamente ad un tentativo volto a ottenere diritti civili, \u201cil gioco \u00e8 finito, anche se la lotta per raggiungere pieni diritti si protraesse per altri cento anni\u201d. Qualsiasi approccio volto a sostenere il rispetto dei diritti umani e civili deve essere necessariamente legato anche all\u2019affermazione del diritto all\u2019autodeterminazione, tanto del popolo israeliano quanto di quello palestinese.<\/p>\n\n\n\n

\u00c8 lecito dunque chiedersi in quale direzione sono chiamati a investire le proprie energie quanti non hanno abbandonato l\u2019idea che ci sia ancora spazio per l\u2019affermazione di una modica quantit\u00e0 di giustizia. Il riconoscimento dell\u2019esistenza di uno Stato palestinese \u2013 includente la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza \u2013 da parte di tutti i paesi membri dell\u2019Unione Europea, che \u00e8 attualmente il principale partner commerciale di Israele; l\u2019implementazione di una pi\u00f9 efficace politica di \u201cdifferenziazione\u201d tra Israele e il territorio occupato palestinese; l\u2019imposizione di ferree sanzioni economiche e politiche nei riguardi di ogni attore che si ponga in contrasto con il consenso internazionale: nessuna di queste politiche \u00e8 di per s\u00e9 in grado di portare all\u2019affermazione di una pace sostenibile, ma ognuna di esse rappresenta un necessario passo in quella direzione.<\/p>\n\n\n\n

L\u2019alternativa \u00e8 continuare a far finta che le annessioni selettive non proseguiranno e che milioni di esseri umani possano vivere per altri cinquant\u2019anni senza diritti e senza un futuro: oltre che una profonda ingiustizia, si tratterebbe dell\u2019ennesimo assist in favore degli estremisti di tutte le parti in causa.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

In questa conversazione con Alice Fill, lo storico Lorenzo Kamel si sofferma sui movimenti di fondo che spiegano il recente aumento delle tensioni tra Israele e Palestina. 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