{"id":1991,"date":"2021-04-29T08:28:38","date_gmt":"2021-04-29T07:28:38","guid":{"rendered":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/ita\/?p=1991"},"modified":"2021-04-29T13:17:42","modified_gmt":"2021-04-29T12:17:42","slug":"la-svolta-realista-dellecologia-politica","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2021\/04\/29\/la-svolta-realista-dellecologia-politica\/","title":{"rendered":"La svolta realista dell’ecologia politica"},"content":{"rendered":"\n

Lo scorso 22 settembre il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, ha annunciato un piano per ridurre le emissioni di gas serra al fine di raggiungere la neutralit\u00e0 del carbonio al pi\u00f9 tardi entro il 2060. Questo paese, a volte definito “la ciminiera del mondo”, il pi\u00f9 grande emettitore di CO2 al mondo e la prima potenza industriale su scala globale, sembra quindi voler intraprendere un percorso di sviluppo inedito. Si tratta infatti di una scelta di sviluppo, e in nessun modo di una rinuncia; e anche se si tratta in realt\u00e0 di mettere in pratica gli impegni presi nell’accordo di Parigi del 2015, questi assumono un significato politico inaspettato nel contesto attuale.<\/p>\n\n\n\n

In un testo pubblicato qualche giorno dopo, lo storico Adam Tooze ha spiegato i molteplici significati geopolitici di questo annuncio, che considera una svolta importante nell’ordine internazionale. Il peso economico, ambientale e strategico di questo paese \u00e8 infatti sufficiente per fare di questo annuncio – anche indipendentemente dalla sua successiva attuazione – una leva di Archimede che dovrebbe provocare un profondo riallineamento delle politiche industriali e commerciali contemporanee.<\/p>\n\n\n\n

In Europa, e ancor pi\u00f9 in Francia, questi annunci sono stati accolti con grande cautela, o persino con il silenzio. Solo il tempo ci dir\u00e0 se si tratta davvero di una Pearl Harbor<\/em> climatica o di un annuncio che non avr\u00e0 seguito. Eppure, quando si tratta di Cina e clima, siamo subito proiettati in questioni di portata gigantesca, che faremmo male a ignorare. Vorrei cercare di andare oltre la riluttanza a vedere la piena portata di questi annunci, per considerare come possono trasformare il rapporto tra ecologia e potere, come \u00e8 stato concepito nelle nostre province occidentali fino ad ora.<\/p>\n\n\n\n

Solo il tempo ci dir\u00e0 se si tratta davvero di una Pearl Harbor climatica o di un annuncio che non avr\u00e0 seguito. Eppure, quando si tratta di Cina e clima, siamo subito proiettati in questioni di portata gigantesca, che faremmo male a ignorare.<\/p>pierre charbonnier<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Il primo punto da sottolineare, e che \u00e8 affrontato solo implicitamente da Adam Tooze, \u00e8 il monumentale paradosso storico di fare una dimostrazione di potere politico nel 2020 intraprendendo un programma di abbandono dei combustibili fossili. <\/p>\n\n\n\n

Dall’avvento delle societ\u00e0 industriali, e ancora di pi\u00f9 a partire dal secondo dopoguerra, la capacit\u00e0 di mobilitare risorse<\/a>, e ancor pi\u00f9 risorse energetiche, \u00e8 stata quasi perfettamente identificata con l’influenza sulla scena politica globale. Il carbone<\/a> e il petrolio non sono solo i motori primari di una capacit\u00e0 produttiva che deve generare alti livelli di consumo e una relativa pacificazione dei rapporti di classe, ma anche la posta in gioco di proiezioni transfrontaliere di potenza destinate a garantire una fornitura continua a prezzi bassi. L’ordine politico emerso dalla seconda guerra mondiale, totalmente ossessionato dalla ricerca della stabilit\u00e0 (se non della vera pace) dopo l’episodio del fascismo, trov\u00f2 nel dispiegamento delle forze produttive uno strumento di ineguagliabile potenza, che permise sia di allentare le tensioni interne delle societ\u00e0 industriali sia di mantenere lo status quo<\/em> tra queste nazioni e i nuovi attori emersi dalla decolonizzazione. <\/p>\n\n\n\n

\u00c8 questa dinamica storica che spiega la riluttanza a seguire il cammino di una rivoluzione ecologica. Se l’imperativo climatico \u00e8 stato dettagliato dalle scienze che studiano il sistema Terra, l’inerzia del paradigma sviluppista e il suo effetto pervasivo sulle relazioni internazionali e i rapporti di classe hanno a lungo paralizzato la svolta verde. Ci si chiede come si possa salvaguardare il “modello sociale”, italiano o meno, se ci si priva di un motore di crescita essenziale, e dall’altra parte del mondo ci si chiede come si possano soddisfare le esigenze di sviluppo su un pianeta che mostra i suoi limiti.<\/p>\n\n\n\n

Di fronte allo stallo degli Stati Uniti in piena crisi democratica e alle ambiguit\u00e0 del piano europeo di ripresa ecologica, la Cina prende l’iniziativa e apre una breccia indicando che ora \u00e8 possibile, e persino necessario, perseguire una politica energetica che faccia a meno del sostegno dei combustibili fossili.<\/p>pierre charbonnier<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

L’annuncio del presidente cinese rompe questa logica, ed \u00e8 in questo senso che ha un’importanza storica: di fronte allo stallo degli Stati Uniti in piena crisi democratica e alle ambiguit\u00e0 del piano europeo di ripresa ecologica, la Cina prende l’iniziativa e apre una breccia indicando che ora \u00e8 possibile, e persino necessario, perseguire una politica energetica che faccia a meno del sostegno dei combustibili fossili. Perch\u00e9 il piano di finanziamento di un’infrastruttura produttiva decarbonizzata non significa ovviamente che la Cina rinunci al suo sogno di sviluppo e di influenza geostrategica. Sta semplicemente annunciando che d’ora in poi baser\u00e0 il suo potere – sia il suo motore economico che il suo fondamento strategico – su altre possibilit\u00e0 materiali. Queste non sono ancora ben conosciute, e ovviamente lasceranno una gran parte al nucleare <\/span>1<\/sup><\/a><\/span><\/span>, ma contengono i semi di un cambiamento nelle relazioni di potere tra la Cina e il mondo.<\/p>\n\n\n\n

La Cina quindi agisce su due fronti. In primo luogo, risponde alla scienza e immagina un futuro in cui il riscaldamento globale \u00e8 limitato, e allo stesso tempo consolida la sua legittimit\u00e0 interna ed esterna apparendo come un attore responsabile, allineato agli obiettivi annunciati nell’Accordo di Parigi. Adam Tooze, come storico delle economie di guerra, ha chiarito perfettamente il carattere realistico e morale di questo annuncio: non possiamo accontentarci di un dibattito che opporrebbe intenzioni egoistiche orientate al guadagno di potere e intenzioni pi\u00f9 pure volte a un bene comune globale. Entrambe le dimensioni sono presenti nell’annuncio della Cina, e dobbiamo essere preparati a vederle costantemente intrecciate negli anni a venire.<\/p>\n\n\n\n

Ma ci\u00f2 ha senso anche in termini di filosofia politica, e questo \u00e8 probabilmente ci\u00f2 che ci \u00e8 mancato fino a oggi in Europa. Se, come ho suggerito in Abondance et libert\u00e9<\/em><\/a>, la composizione degli interessi umani nella sfera politica \u00e8 sempre basata sulle possibilit\u00e0 materiali, allora dobbiamo ammettere che stiamo vivendo un cambiamento fondamentale in questi assemblaggi geo-ecologici. Se per molto tempo ci siamo posti la questione della perpetuazione del potere politico legittimo, cio\u00e8 la democratizzazione del capitalismo, nel quadro di un cambiamento energetico ed ecologico che viene percepito come necessario, anche se non sappiamo esattamente come attuarlo, ora dobbiamo accettare l’idea che questi spostamenti alimenteranno piuttosto processi di rilegittimazione, di consolidamento del potere. Questo rovesciamento assolutamente cruciale della materialit\u00e0 della politica moderna si sta giocando sotto i nostri occhi: la formazione delle politiche post-carbonio non \u00e8 un approdo pacifico nel mondo degli interessi condivisi,<\/a> ma un fronte di rivalit\u00e0 organizzato intorno a nuove infrastrutture, nuove combinazioni tra potere politico e mobilitazione della Terra. Se l’escalation<\/em> delle politiche di produttivit\u00e0 basate sui combustibili fossili, soprattutto tra Stati Uniti e Cina, potrebbe essere paragonata a una guerra latente, il processo di disarmo e smantellamento di queste infrastrutture sar\u00e0 anche profondamente conflittuale.<\/p>\n\n\n\n

La formazione delle politiche post-carbonio non \u00e8 un approdo pacifico nel mondo degli interessi condivisi, ma un fronte di rivalit\u00e0 organizzato intorno a nuove infrastrutture, nuovi assemblaggi tra potere politico e mobilitazione della Terra.<\/p>pierre charbonnier<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

La seconda osservazione riguarda pi\u00f9 direttamente il movimento per il clima e l’ecologia, l’universo rosso-verde, o rosa-verde, come esiste in Europa e negli Stati Uniti. Gli ultimi anni hanno visto un avvicinamento tra l’immaginario politico della sinistra sociale classica, erede del movimento operaio, e quello dell’ecologia politica, stimolata dall’ascesa dell’imperativo climatico. Se il compromesso intellettuale tra questi due mondi rimane piuttosto fragile, tanto che l’allineamento tra lo sfruttamento dell’uomo e della natura pu\u00f2 essere discusso, un patto strategico sta prendendo forma intorno a una rinascita del dirigismo economico, in un gioco di rimandi con il dopoguerra. Il Green New Deal<\/em>, nelle sue versioni americana ed europea, \u00e8 soggetto a varianti importanti e non sta ancora organizzando piani di investimento al livello della sfida da combattere e veramente ancorati a obiettivi di giustizia sociale, ma si \u00e8 affermato come il common ground <\/em> delle sinistre occidentali.<\/p>\n\n\n\n

Eppure la forza del Green New Deal<\/em> \u00e8 anche la sua debolezza. Questo piano di ricostruzione economica e sociale intende superare l’ostacolo posto dalla questione dell’occupazione subordinando la transizione energetica a un’esigenza di redistribuzione, di controllo dei canali di investimento e financo di garanzia dell’occupazione. Cos\u00ec definito, questo progetto rischia di perpetuare le disuguaglianze strutturali tra Nord e Sud, poich\u00e9 i paesi cosiddetti “in via di sviluppo” saranno probabilmente privati dei mezzi per finanziare tali piani, mentre i loro partner del Nord potranno reinvestire il loro capitale tecno-scientifico in una ristrutturazione che aumenter\u00e0 il loro “vantaggio” e la loro sicurezza. Questo paradosso, che Tooze ha recentemente sottolineato, \u00e8 tanto pi\u00f9 imbarazzante per la sinistra socio-ecologica perch\u00e9 compromette il discorso di inclusione e giustizia globale che essa \u00e8 solita portare avanti: visto dal Sud, il Green New Deal <\/em>appare spesso come un consolidamento dei vantaggi acquisiti durante il periodo dello sfruttamento coloniale, come una scialuppa di salvataggio per le economie avanzate di fronte alla perturbazione globale. <\/p>\n\n\n\n

Almeno dagli anni ’90, l’ambientalismo occidentale \u00e8 stato oggetto di critiche pungenti, soprattutto dall’India. Ramachandra Guha, ad esempio, ha rintracciato le  radici razziste e coloniali nell\u2019immaginario della  Wilderness<\/em>, che ha permesso ai nordamericani di lavare la loro colpevole coscienza urbana e industriale grazie a parchi naturali creati attraverso lo sfratto delle comunit\u00e0 indigene. Questo fermento coloniale, che accompagna le politiche ambientali dei ricchi, continua in un certo senso con il paradosso del Green New Deal<\/em>. Per molto tempo c’\u00e8 stato un divario tra il discorso morale e universalista dell’ecologia, anche quando \u00e8 associata alla questione sociale, e la realt\u00e0 pi\u00f9 oscura delle disuguaglianze materiali strutturali che essa lotta per compensare. Sappiamo quindi che la superiorit\u00e0 morale dell’ecologia ha poco a che fare con qualcosa, e che deve essere costruita piuttosto che postulata – perch\u00e9 molto spesso si tratta di idee pacifiche forgiate in un mondo violento.<\/p>\n\n\n\n

Per molto tempo c’\u00e8 stato un divario tra il discorso morale e universalista dell’ecologia, anche quando \u00e8 associata alla questione sociale, e la realt\u00e0 pi\u00f9 oscura delle disuguaglianze materiali strutturali che essa lotta per compensare.<\/p>PIERRE CHARBONNIER<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

E qui di nuovo, la decisione della Cina capovolge la situazione. In effetti, il piano di uscita dai combustibili fossili di Xi Jinping non si basa su argomenti moralisti sulle depredazioni ambientali causate dal regime estrattivo e industriale, n\u00e9 su una risposta alle proteste della societ\u00e0 civile, e neppure su un desiderio di controllare o abolire il regime di sfruttamento del capitalismo. Cerca solo di modificare la sua base materiale, in una prospettiva che potrebbe essere chiamata eco-modernista, non in contraddizione con il mantenimento delle ambizioni di potere. A causa del peso dell’economia cinese su scala globale, questo piano deciso verticalmente avrebbe conseguenze benefiche per il clima globale, e quindi per tutta l’umanit\u00e0 (questo \u00e8 ci\u00f2 che lo rende diverso da un piano simile che sarebbe deciso, per esempio, in Francia), ma \u00e8 una conseguenza laterale delle decisioni prese a Pechino, che il presidente cinese sa come giocare. \u00c8 per il suo puro peso materiale che la Cina ha una voce che si pu\u00f2 dire sia di portata universale – pi\u00f9 universale della superiorit\u00e0 morale dell’ambientalismo euro-americano. In altre parole, mentre la Cina ci tiene a presentarsi nell’arena internazionale come un paese “in via di sviluppo”, e quindi legittimo nel pretendere di recuperare il ritardo economico rispetto al Nord, \u00e8 proprio una posizione di leader mondiale quella che sta assumendo attraverso questi annunci.<\/p>\n\n\n\n

In Europa siamo abituati a pensare, e lo faccio anch’io, che la questione ecologica stia prendendo il posto di un movimento emancipatore che si \u00e8 esaurito. In altre parole, tradurrebbe le richieste sociali di uguaglianza e libert\u00e0 in un nuovo regime di produzione e consumo che offrirebbe meno spazio allo sfruttamento economico e all’anomia individualista. In breve, si tratta di promuovere l’emergere di un nuovo tipo sociale, rompendo con quello che ha accompagnato il periodo di rapida crescita, e contando su di esso per riattivare un processo di democratizzazione e inclusione sociale che si \u00e8 fermato. Questo progetto pu\u00f2 essere usato per squalificare gli annunci cinesi, sostenendo che non sono all’altezza del compito, o che risolvono il problema con mezzi autoritari. Forse. Ma adottando questa strategia (e credo che questa sia la mentalit\u00e0 dominante a queste latitudini), rischiamo di non afferrare pienamente le acque geopolitiche e ideologiche in cui stiamo navigando, che ci piaccia o no, e quindi di non riuscire a cogliere il significato storico del nostro stesso progetto.<\/p>\n\n\n\n

In effetti, sarebbe riduttivo immaginare che il conflitto in cui ci troviamo sia tra un capitalismo sfruttatore, alienante ed estrattivo da una parte, e un’ecologia politica di riconciliazione tra gli umani, e tra gli umani e i non umani, dall’altra. Questa sarebbe la conseguenza della fusione del lessico controculturale dell’ambientalismo e del lessico della critica sociale nell’universo rosso-verde: un’alternativa semplicistica tra ecologia e barbarie. Piuttosto, ci troviamo ora in una situazione in cui coesistono un capitalismo fossile invecchiato, impigliato nelle sue contraddizioni sociali e materiali, un capitalismo di stato in processo di decarbonizzazione accelerata e, forse, un percorso pi\u00f9 esigente e radicale, che sarebbe la reinvenzione del significato del progresso e del valore sociale della produzione. Se accettiamo di descrivere la situazione in questi termini, ovviamente ancora molto rudimentali, la sinistra rosso-verde europea assume un significato diverso. Perch\u00e9 quella sinistra non si trova pi\u00f9 ad affrontare un confronto binario con il capitalismo (ritenuto indefettibilmente fossilizzato), un confronto in cui incarnerebbe il fronte del progresso, investito di una missione universale. Il modello cinese che si sta sviluppando costituisce un terzo termine, un terzo modello di sviluppo, compatibile con gli obiettivi climatici globali definiti nel 2015 a Parigi e quindi con l’interesse universale dell’umanit\u00e0. Ma si tratta anche di un modello in tensione con l’ideale di democrazia verde difeso dal movimento socio-ecologico.<\/p>\n\n\n\n

L’ecologia politica perde il suo status di contro-modello unico: perde la capacit\u00e0 di imporsi nel dibattito come una forma politica anti-egemonica.<\/p>PIERRE CHARBONNIER<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

In altre parole, l’ecologia politica perde il suo status<\/em> di contro-modello unico: perde la capacit\u00e0 di imporsi nel dibattito come una forma politica anti-egemonica. E le conseguenze sono duplici. In primo luogo, che tipo di alleanza stringer\u00e0 con il modello cinese per salvaguardare almeno l’essenziale sul piano strettamente climatico – a rischio di non avere pi\u00f9 le “mani pulite”? E simmetricamente, come far\u00e0 a far sentire la sua specificit\u00e0 rispetto a questo nuovo paradigma?<\/p>\n\n\n\n

Per la sinistra social-ecologica europea si tratta di sapere se gli annunci cinesi hanno in un certo senso “rubato la scena”, incarnando d’ora in poi la principale via d’uscita dall’impasse climatica, o se, con un pi\u00f9 complesso gioco a tre livelli che coinvolge anche il rapporto con gli Stati Uniti, aprono una breccia in cui dobbiamo tuffarci senza indugio. Questa breccia \u00e8 semplicemente l’indebolimento definitivo sulla scena economica e politica mondiale del capitalismo fossile, dell’American way of life<\/em>, che sembra essere il pi\u00f9 fragile dei tre attori sopra descritti, e quindi l’apertura di un dibattito pi\u00f9 diretto tra la Cina e noi. <\/p>\n\n\n\n

Per dirla in modo pi\u00f9 semplice: quali forme politiche devono essere collegate alla svolta ecologica? Infatti, se si tiene conto del carattere autoritario e verticale del percorso di decarbonizzazione cinese, cos\u00ec come della sua esclusiva focalizzazione sulla dimensione climatica delle questioni in gioco a scapito delle altre dimensioni dell’imperativo ecologico globale (biodiversit\u00e0, salute, inquinamento delle acque e del suolo), rimane aperto un ampio spazio politico. L’integrazione delle rivendicazioni democratiche nella svolta ecologica e la volont\u00e0 di imporre un freno d’emergenza allo sviluppo economico senza limiti possono essere i due supporti di un’escalation<\/em> che, lungi dall’essere moralista, sar\u00e0 pienamente politica.<\/p>\n\n\n\n

L’ecologia europea deve quindi compiere la sua svolta realista. Deve abbandonare l’ormai dannosa abitudine di esprimersi in termini consensuali e pacificatori e accettare di giocare su un palcoscenico politico complesso. <\/p>pierre charbonnier<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

L’ecologia europea deve quindi compiere la sua svolta realista. Questo non significa che deve entrare in un dibattito aggressivo e marziale con gli altri attori geopolitici, ma che deve abbandonare l’ormai dannosa abitudine di esprimersi in termini consensuali e pacificatori e accettare di giocare su un palcoscenico politico complesso. <\/p>\n\n\n\n

Dopo tutto, questa dimensione \u00e8 sempre esistita nella storia della questione sociale. Anche se sono cose che non sempre ci piace ricordare, la costruzione di sistemi di protezione \u00e8 iniziata in Prussia – e in un certo senso Xi Jinping \u00e8 un po’ il Bismarck dell’ecologia: non ha tanto voluto ascoltare le richieste di giustizia ambientale, quanto prevenirle per metterle a tacere. Dopo la guerra, i progressi del diritto sociale in Europa sono incomprensibili al di fuori del gioco geopolitico che unisce lo spettro del fascismo, la guerra da estinguere, la possibilit\u00e0 del bolscevismo e l’influenza americana. Come disse un rappresentante Labour <\/em>britannico nel 1952, il National Health Service<\/em> \u00e8 un sottoprodotto del Blitz <\/span>2<\/sup><\/a><\/span><\/span>. Insomma, l’emancipazione non \u00e8 sempre, e nemmeno principalmente, conquistata da espressioni di generosit\u00e0 morale: \u00e8 anche una questione di potere. La figura di Lenin sembra tornare in auge nel pensiero critico negli ultimi anni, forse proprio perch\u00e9 l’ecologia non ha ancora trovato il suo Lenin.<\/p>\n\n\n\n

L’ecologia pu\u00f2 quindi accettare di parlare di strategia, conflitto, sicurezza, pu\u00f2 presentarsi come una dinamica di costruzione di una forma politica che assume l’idea di potere, senza abbassare le sue richieste democratiche e sociali e senza perdere di vista il suo ideale di limitazione della sfera economica – al di l\u00e0 dello stretto problema delle emissioni di gas serra. Al contrario: queste richieste possono essere realizzate solo se vengono investite da un pensiero e da pratiche specificamente politici. Ma perch\u00e9 questo sia possibile, dobbiamo abbandonare la tendenza a invocare valori superiori, perch\u00e9 non abbiamo il monopolio della critica del paradigma dello sviluppo basato sui combustibili fossili, n\u00e9 abbiamo la massa economica critica necessaria ad affermarci come attori di portata universale. Sta emergendo una nuova arena in cui non abbiamo altra scelta se non lanciarci. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Perch\u00e9 gli ambientalisti devono imparare a parlare il linguaggio della geopolitica. <\/p>\n","protected":false},"author":1195,"featured_media":1996,"comment_status":"closed","ping_status":"closed","sticky":false,"template":"templates\/post-editorials.php","format":"standard","meta":{"_acf_changed":false,"_trash_the_other_posts":false,"footnotes":""},"categories":[1619],"tags":[],"geo":[],"acf":[],"yoast_head":"\nLa svolta realista dell'ecologia politica - Il Grand Continent<\/title>\n<meta name=\"robots\" content=\"index, follow, max-snippet:-1, max-image-preview:large, max-video-preview:-1\" \/>\n<link rel=\"canonical\" href=\"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2021\/04\/29\/la-svolta-realista-dellecologia-politica\/\" \/>\n<meta property=\"og:locale\" content=\"it_IT\" \/>\n<meta property=\"og:type\" content=\"article\" \/>\n<meta property=\"og:title\" content=\"La svolta realista dell'ecologia politica - Il Grand Continent\" \/>\n<meta property=\"og:description\" content=\"Perch\u00e9 gli ambientalisti devono imparare a parlare il linguaggio della geopolitica.\" \/>\n<meta property=\"og:url\" content=\"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2021\/04\/29\/la-svolta-realista-dellecologia-politica\/\" \/>\n<meta property=\"og:site_name\" content=\"Il Grand Continent\" \/>\n<meta property=\"article:published_time\" content=\"2021-04-29T07:28:38+00:00\" \/>\n<meta property=\"article:modified_time\" content=\"2021-04-29T12:17:42+00:00\" \/>\n<meta property=\"og:image\" content=\"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/wp-content\/uploads\/sites\/12\/2021\/04\/gc-ilrl-scaled.jpg\" \/>\n\t<meta property=\"og:image:width\" content=\"2560\" \/>\n\t<meta property=\"og:image:height\" content=\"1439\" \/>\n\t<meta property=\"og:image:type\" content=\"image\/jpeg\" \/>\n<meta name=\"author\" content=\"giovannicollot\" \/>\n<meta name=\"twitter:card\" content=\"summary_large_image\" \/>\n<meta name=\"twitter:image\" content=\"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/wp-content\/uploads\/sites\/12\/2021\/04\/gc-ilrl-scaled.jpg\" \/>\n<meta name=\"twitter:label1\" content=\"Scritto da\" \/>\n\t<meta name=\"twitter:data1\" content=\"giovannicollot\" \/>\n\t<meta name=\"twitter:label2\" content=\"Tempo di lettura stimato\" \/>\n\t<meta name=\"twitter:data2\" content=\"13 minuti\" \/>\n<script type=\"application\/ld+json\" class=\"yoast-schema-graph\">{\"@context\":\"https:\/\/schema.org\",\"@graph\":[{\"@type\":\"WebPage\",\"@id\":\"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2021\/04\/29\/la-svolta-realista-dellecologia-politica\/\",\"url\":\"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2021\/04\/29\/la-svolta-realista-dellecologia-politica\/\",\"name\":\"La svolta realista dell'ecologia politica - 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