{"id":1456,"date":"2021-03-09T15:52:19","date_gmt":"2021-03-09T15:52:19","guid":{"rendered":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/ita\/?p=1456"},"modified":"2021-03-09T22:12:54","modified_gmt":"2021-03-09T22:12:54","slug":"la-storia-come-decifrazione-una-conversazione-con-carlo-ginzburg","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2021\/03\/09\/la-storia-come-decifrazione-una-conversazione-con-carlo-ginzburg\/","title":{"rendered":"La storia come decifrazione: una conversazione con Carlo Ginzburg"},"content":{"rendered":"\n
Purtroppo non ho seguito questi progetti<\/span>1<\/sup><\/a><\/span>. E non ho partecipato a una storia dell’Europa sin dai tempi di un’impresa del genere, condivisa con Maurice Aymard e con Perry Anderson, negli anni ’90 – allora avevo abbandonato il progetto perch\u00e9 la casa editrice Einaudi era stata acquistata da Berlusconi.<\/p>\n\n\n\n Tuttavia penso che forse possiamo riflettere sulla possibilit\u00e0 di scrivere una storia dell’Europa come un tassello intermedio di fronte ai problemi che pone la storia globale. Nel caso dell’Europa, infatti, esistono delle relazioni dense tra gli attori e gli spazi, cosa che non avviene quando si tenta di scrivere una storia globale. Ma penso ci siano dei rischi che vanno evitati in entrambi i casi. Il primo, forse il pi\u00f9 ovvio, \u00e8 quello della teleologia, cio\u00e8 l\u2019idea che ci sia una sorta di fine verso cui la storia tende. Questo \u00e8 un problema che si pone non solo per la storia globale o d\u2019Europa, ma per qualunque storia. <\/p>\n\n\n\n Nel caso dell’Europa, esistono delle relazioni dense tra gli attori e gli spazi, cosa che non avviene quando si tenta di scrivere una storia globale.<\/p>carlo ginzburg<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n Credo che il problema si ponga a partire dalle fonti. Ho scritto un saggio, Il filo e le tracce<\/a><\/em>, sulla coppia etica-emica<\/em><\/span>2<\/sup><\/a><\/span>. Possiamo dire che le domande che poniamo alla storia d\u2019Europa sono delle domande in questo momento etiche, <\/em>legate al livello dell\u2019osservatore, ma il problema \u00e8 ottenere delle risposte emiche. <\/em>Sono partito da questa dicotomia, proposta dall\u2019antropologo, linguista e missionario protestante Kenneth Pike, ma l\u2019ho riformulata perch\u00e9 mi pareva che nella versione di Pike vi fosse un elemento quasi di positivismo un po\u2019 basilare: riconduce il livello scientifico al livello etico, <\/em>ma non vede il processo. <\/em>Secondo me invece bisogna guardare al processo. <\/p>\n\n\n\n Per questo, ho riletto Pike partendo da Marc Bloch<\/span>3<\/sup><\/a><\/span> \u2013 che in realt\u00e0 si era posto lo stesso problema anche se usando dei termini diversi, per esempio nel saggio che ha scritto alla fine degli anni ’30, in cui si chiedeva se si poteva utilizzare il concetto di classe nel Medio Evo. <\/p>\n\n\n\n Lo stesso problema secondo me si pone per la storia d\u2019Europa. Noi intanto partiamo dall\u2019idea che esista un\u2019entit\u00e0 a un certo livello che chiamiamo Europa, cosa che esisteva ad altri livelli prima e ancora prima non esisteva. Non possiamo quindi parlare di Europa al tempo dell\u2019Impero Romano. Ci\u00f2 non toglie che noi partiamo da questa idea. Ovviamente esistono degli elementi che hanno reso possibile la costruzione in corso \u2013 molto fragile \u2013 dell\u2019Europa odierna, che rinviano anche all\u2019Impero Romano (l\u2019unit\u00e0 linguistica, il latino), ma anche qui bisogna evitare la teleologia. C\u2019\u00e8 questa specie di confronto con delle domande che sono necessariamente anacronistiche per cercare di ottenere delle risposte che non lo sono, o lo sono il meno possibile. <\/p>\n\n\n\n Nel mio saggio ho messo una frase di Marc Bloch <\/em>in cui dice “la chimica aveva il grande vantaggio di rivolgersi a realt\u00e0 incapaci, per loro stessa natura, di darsi da sole un nome<\/em>“. Al contrario, quando facciamo storia, le parole cambiano, cambia il significato, cambia il contesto, cambiano gli attori. Questo tipo di domande si pongono specialmente nel caso di una storia d\u2019Europa.<\/p>\n\n\n\n Questa \u00e8 una bella domanda, ma qui torniamo al problema, di qui parlavo prima, dell\u2019anacronismo. Non c\u2019\u00e8 dubbio, a mio parere, che l\u2019Europa si sia costruita contro il Turco, <\/em>cosa che a mio parere non pu\u00f2 essere utilizzata come argomento oggi per dire che la Turchia non possa far parte dell\u2019Europa. \u00c8 un caso, abbastanza estremo se si vuole, del rapporto complicato che esiste tra una realt\u00e0 storica passata e una realt\u00e0 storica in costruzione. A mio parere sarebbe illegittimo usare la storia dell\u2019Europa come si \u00e8 venuta costruendo per tracciare dei limiti oggi, perch\u00e9 credo che il termine identit\u00e0 <\/em>sia un termine politico che non ha nessun valore analitico. L\u2019identit\u00e0 europea <\/em>non esiste, come non esiste l\u2019identit\u00e0 francese, l\u2019identit\u00e0 italiana, l\u2019identit\u00e0 ebraica, eccetera. Sono dei termini fittizi che vengono usati come armi politiche. So bene che papa Benedetto XVI \u2013 mi pare \u2013 ha parlato di identit\u00e0 cristiana europea, ma queste sono costruzioni politiche, cosa dovremmo fare delle comunit\u00e0 non cristiane che vivevano in Europa? Questa del Turco \u2013 uso questo termine con la T maiuscola \u2013 \u00e8 un\u2019idea su cui si \u00e8 costruita l\u2019idea di Europa, ma questo \u00e8 diventato un elemento della costruzione nel momento in cui \u00e8 diventato consapevole. <\/p>\n\n\n\n A mio parere sarebbe illegittimo usare la storia dell\u2019Europa come si \u00e8 venuta costruendo per tracciare dei limiti oggi, perch\u00e9 credo che il termine identit\u00e0 <\/em>sia un termine politico che non ha nessun valore analitico.<\/p>carlo ginzburg<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n Poi ci sono degli elementi che invece sono entrati a far parte della costruzione ma che risalivano a un passato pi\u00f9 antico, come le lingue, come il latino come lingua da cui sono nate le lingue romanze (ma le lingue non romanze? Nessuno penserebbe a un\u2019Europa romanza, anche se, ma dovrei controllare, ho l\u2019impressione che Koj\u00e8ve abbia detto qualcosa di interessante \u2013 ma inaccettabile \u2013 a proposito di questo, qualcosa che si riferiva a una sorta di Europa romanza alla fine degli anni 50, ma dovrei controllare). Questo ci ricollega al rifiuto del teleologismo: non \u00e8 che questi elementi fossero preordinati verso un fine. L\u2019Europa si costruisce \u2013 e in questo momento \u00e8 sempre pi\u00f9 fragile, una realt\u00e0 dolorosa di cui dobbiamo renderci conto, come ci mostrano le elezioni europee, che sono una minaccia per il futuro dell\u2019Europa molto seria.<\/p>\n\n\n\n Ho scritto un saggio \u2013 uscito solo in inglese \u2013 che affronta esattamente questo tema: Micro history and world history<\/em><\/span>4<\/sup><\/a><\/span>. \u00c8 un saggio che ha due parti, la prima parte \u00e8 una rilettura di un saggio di Francesca Trivellato, che si chiede se la microstoria italiana possa dare un contributo alla storia globale, rispondendosi s\u00ed. Trivellato parte da questa domanda e d\u00e0 una risposta positiva. Io parto dalla risposta di Francesca Trivellato e cerco di andare oltre, cercando cio\u00e8 di costruire una sorta di genealogia storico-teorica della microstoria basata sull\u2019idea di esperimento mentale. La genealogia implica dei rapporti diretti, ad ogni anello della catena. Comincia con Hobbes, poi c\u2019\u00e8 Vico. Il rapporto tra Hobbes e Vico non \u00e8 stato preso in considerazione neanche da Croce quando ha scritto il suo libro su Vico, \u00e8 stato accennato molto rapidamente da uno studioso americano che l\u2019ha tradotto in inglese negli anni ’40, che si chiama Fish. C\u2019\u00e8 quest\u2019idea dell\u2019esperimento mentale: Hobbes, Vico, Marx (che nel Capitale <\/em>fa una lunga nota su Vico), Labriola, Croce, Gentile, Collingwood, che con la sua idea di re-enactment<\/em> secondo me \u00e8 l\u2019ultimo anello di questa catena. Per me, la microstoria \u00e8 un esperimento mentale, proprio perch\u00e9 ha un elemento artificiale legato alla costruzione dell\u2019oggetto. In questo processo di costruzione, mi rifaccio a Croce che dice \u201cogni storia \u00e8 storia contemporanea\u201d e dico \u201cogni storia \u00e8 storia comparata\u201d perch\u00e9 implica innanzitutto una comparazione tra il presente del ricercatore e il passato. <\/p>\n\n\n\n Tuttavia, la microstoria \u2013 in quanto storia e analisi di casi \u2013 pone inevitabilmente un problema di generalizzazione. Si tratta di un paradosso, perch\u00e9 credo profondamente che la microstoria, soprattutto per le prospettive che apre in storia comparata, offre la possibilit\u00e0 di fare una buona storia globale. Tempo fa, alla biblioteca Angelica di Roma, avevo incontrato un libro, uscito all\u2019inizio del ‘700, che \u00e8 un parallelo tra i riti indiani e i riti ebraici testimoniati dalla Bibbia, firmato da Lac<\/em> e tre asterischi. \u00c8 un libro straordinario, con illustrazioni e incisioni: c\u2019\u00e8 una delle prime rappresentazioni europee della vedova, al rogo, dopo la morte del marito. Affronta per esempio il tema della circoncisione, che troviamo in Paesi diversi. \u00c8 un ottimo esempio di storia comparata, che mette insieme un approccio comparato, microstorico e, in ultima istanza, globale. <\/em>Di fronte a questo triplice approccio, ho l’impressione che una scala continentale, intermedia, limiterebbe di molto le possibilit\u00e0 di comparazione. \u00c8 per questo che non mi ha mai attratto molto. <\/p>\n\n\n\n Bella domanda, a cui rispondo con un\u2019obiezione. Penso che la parola empatia vada scartata e che si debba parlare di filologia. L\u2019empatia non \u00e8 sufficiente, d\u00e0 per scontata una trasparenza che non esiste. L\u2019idea invece di Vico, che bisogna decifrare il linguaggio, in senso lato, delle testimonianze, mi sembra molto pi\u00f9 feconda. <\/p>\n\n\n\n L\u2019empatia non \u00e8 sufficiente, d\u00e0 per scontata una trasparenza che non esiste. L\u2019idea invece di Vico, che bisogna decifrare il linguaggio, in senso lato, delle testimonianze, mi sembra molto pi\u00f9 feconda.<\/p>carlo ginzburg<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n Per\u00f2 in qualche modo ho ripercorso questa traiettoria, quello che dico adesso \u00e8 il risultato della mia esperienza. Sono partito dalla volont\u00e0 di raccontare la voce delle vittime, e come ho scritto c\u2019era anche un elemento autobiografico, cio\u00e8 i miei ricordi di bambino ebreo durante la guerra. <\/p>\n\n\n\n Per\u00f2 a un certo punto, dopo anni, mi sono reso conto che accanto a questo sforzo di contiguit\u00e0 emotiva con le vittime c\u2019era una contiguit\u00e0 intellettuale con l\u2019inquisitore e ho scritto un saggio, uscito nella raccolta Il Filo e le Tracce<\/a><\/em>, che si chiama L\u2019inquisitore come antropologo<\/em>. In esso, ho cercato di riflettere su questa contiguit\u00e0 intellettuale, nel senso che mi sono accorto che tra il mio sforzo di comprendere le motivazioni delle imputate e degli imputati e quello che facevano gli inquisitori c\u2019era una convergenza, anche se io non emetto una sentenza. <\/p>\n\n\n\n C\u2019\u00e8 un caso che io analizzo in I Benandanti<\/em> in cui non c\u2019\u00e8 l\u2019inquisitore, ma c\u2019\u00e8 qualcuno che lavora sui documenti dell\u2019inquisitore, il vescovo di Bressanone, il grande filosofo Niccol\u00f2 Cusano, che in un sermone che era verosimilmente in tedesco ma di cui esiste solo la versione latina parla e analizza un processo contro due vecchie contadine della Val di Fassa, e le analizza con una perspicacia straordinaria. Si tratta del caso pi\u00f9 impressionante che abbia incontrato di distanza culturale, questo grande filosofo che analizza le credenze di due vecchie.<\/em> <\/p>\n\n\n\n Le rispondo con un aneddoto. Ero a Mosca, dove dovevo fare una conferenza, e mi arriva una telefonata di qualcuno che si presenta come membro di un gruppo che si occupa della storia dei gulag. Avevo gi\u00e0 sentito parlare di loro, dei loro sforzi per raccogliere i nomi delle vittime, per quanto era possibile, e per i diritti civili in Cecenia. Volevano invitarmi a un incontro, io risposi che non capivo a che scopo. Mi risposero che avevano letto il mio testo, in inglese, L\u2019inquisitore come antropologo, <\/em>e volevano discuterne con me. Si chiedevano se fosse possibile usare questa lettura obliqua delle fonti anche nel caso dei processi dell\u2019era staliniana, cio\u00e8 processi in cui uno pensa di trovare soltanto preconcetti, il pregiudizio dei giudici. Io penso che in effetti questo sia possibile. <\/p>\n\n\n\n Quando ho iniziato a lavorare sui processi di inquisizione, (per esempio c\u2019\u00e8 un libro su quei processi, The Witch-Craze<\/em> di Trevor-Roper), ci si interessava ben poco agli imputati: gli storici si giustificavano dicendo che le fonti erano prodotte dai giudici, le risposte degli imputati dovevano necessariamente essere falsificate. Al contrario, io penso che si possa sempre cogliere qualcosa che non \u00e8 controllato da chi produce il testo. Questa \u00e8 una cosa che io ho formulato in forma generale, cio\u00e8 che qualunque documento non pu\u00f2 mai essere controllato al 100%: c\u2019\u00e8 sempre qualcosa che sfugge.<\/p>\n\n\n\n Qualunque documento non pu\u00f2 mai essere controllato al 100%: c\u2019\u00e8 sempre qualcosa che sfugge.<\/p>carlo ginzburg<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n Vi rispondo con un altro esempio. Ho lavorato su uno scritto di un gesuita francese, Charles Le Gobien, pubblicato nel 1701, che si chiama Histoire des isles marianne<\/em>. Sfogliandolo mi sono imbattuto in un arringa che Le Gobien riferisce, in cui Urao, il capo di una tribuna indigena, parla contro gli europei che hanno invaso le isole Marianne. C\u2019\u00e8 questa accusa contro gli invasori. Sono partito dall\u2019idea che questo testo fosse una ricostruzione e quindi ho cercato di capire quali fossero gli elementi che la consentivano. Uno \u00e8 certamente l\u2019Agricola <\/em>di Tacito, dove c\u2019\u00e8 un\u2019arringa contro l\u2019Impero Romano da parte dei britanni colonizzati, in cui si dice che \u201cla distruzione che fanno la chiamano pace\u201d, e mi sono ricordato che durante la guerra in Vietnam, nella Piazza dei Cavalieri a Pisa, davanti alla scuola Normale, dove ero stato studente e poi sono tornato come professore, avevano messo dei lenzuoli con scritta questa frase di Tacito in latino riferita agli americani: \u201cla distruzione che fanno la chiamano pace\u201d. Pezzo per pezzo, ritrovavo gli elementi che Le Gobien aveva usato per costruire questa arringa.<\/p>\n\n\n\n Per\u00f2 c\u2019\u00e8 una nota a pi\u00e8 di pagina, al punto in Urao accusa gli europei di aver portato insetti che portano malattie, in cui si dice che l\u2019idea \u00e8 assurda. C\u2019\u00e8 improvvisamente una presa di distanza, su un particolare minimo, tra chi propone l\u2019arringa e il contenuto dell\u2019arringa, come un\u2019incrostazione di quello che io ritengo un discorso che sar\u00e0 stato riferito a Le Gobien. Il testo era fuggito al suo creatore. <\/p>\n\n\n\n Ricordo che questa conferenza era ancora inedita e l\u2019ho presentata a Londra, alla School of Oriental and African Studies, davanti a un pubblico estremamente eterogeneo dal punto di vista etnico. Dopo aver citato un lungo passo di questa arringa di Urao, \u00e8 venuto un giovane africano che mi ha detto \u201cmagnifica\u201d. Il testo agiva ancora, ed \u00e8 sconvolgente! Questo a proposito dell\u2019impossibilit\u00e0 di controllare interamente un testo. <\/p>\n\n\n\n Per quanto riguarda i Benandanti<\/em> non parlerei di pratiche, ma di pratiche descritte<\/em>, e propongo un confronto tra questi racconti che i Benandanti fanno in Friuli, le lotte per la fertilit\u00e0 contro le streghe, e un processo molto anomalo, contro un lupo mannaro della Livonia. Questo confronto \u00e8 stato criticato da pi\u00f9 parti. Da parte mia, avevo tentato piuttosto un approccio strutturale, mettendo in relazione la morfologia dinamica di Goethe e la storia. <\/p>\n\n\n\n Io non credo tuttavia che le pratiche descritte dicano qualcosa di specificatamente europeo, al contrario. La mia prospettiva non \u00e8 europea, ma euroasiatica. Ma vorrei sottolineare che questa prospettiva non ha niente di politico. Non ha in questo momento nessuna attualit\u00e0. <\/p>\n\n\n\n Alla fine del libro Storia Notturna<\/em>, presento quelle che chiamo congetture euroasiatiche, sulla possibile circolazione di questi temi dalle steppe dell\u2019asia centrale all\u2019Europa. La morfologia ci dice che ci sono delle somiglianze impressionanti. Io ho citato in una nota di quel libro un passo de l\u2019Anthropologie structurale<\/em><\/span>5<\/sup><\/a><\/span> di L\u00e9vi-Strauss che mi aveva colpito enormemente. L\u00e9vi-Strauss ha incarnato la figura dell’avvocato del diavolo, nel senso che poneva delle domande inquietanti, precisamente nel suo attacco alla storia: affermava che l\u2019idea della rappresentazione doppia, che si trova nelle culture dell\u2019Alalska e in Cina, \u00e8 il momento in cui scopre lo strutturalismo. Per lui, anche se le costruzioni pi\u00f9 avventurose del diffusionismo dovessero essere provate, rimarrebbe sempre il problema di capire la persistenza. Perch\u00e9 la diffusione e la persistenza pongono dei problemi che non possono essere verificati. Questo passo mi \u00e8 sembrato straordinario e l\u2019ho citato per intero, <\/p>\n\n\n\n La persistenza dei miti e delle pratiche pone un altro problema, ancora pi\u00f9 profondo della loro diffusione. Infatti sono convinto che il diffusionismo \u00e8 una teoria debole: la diffusione \u00e8 un fatto, quando c\u2019\u00e8, ma non dice niente della persistenza. Quello che \u00e8 appassionante \u00e8 capire come pratiche o credenze sono state riprese ed eventualmente rielaborate. Questo il diffusionismo non ce lo dice. <\/p>\n\n\n\nParlando di questi elementi, secondo lei, dal momento che si potrebbe parlare di un\u2019Europa come elemento storico, quali sarebbero gli elementi storici, culturali e geografici che comporrebbero questa realt\u00e0 attuale che \u00e8 l\u2019Europa? <\/h3>\n\n\n\n
Ha parlato dei problemi che pone la storia globale. Pensa ci sia un modo di adeguare la microscala \u2013 che ha rappresentato una parte importante della sua opera \u2013 alla scala globale, magari passando per una scala continentale?<\/h3>\n\n\n\n
Lei ha provato in parte della sua opera a scrivere una storia dal basso, cercando soprattutto di ridare una voce ai muti <\/em>della storiografia ufficiale, un metodo che ha sconvolto la nostra concezione delle credenze popolari. Pensa che questo approccio, questa empatia che si mostra quando si considera chi non ha parola, manchi alle \u00e9lite europee nei confronti dei popoli europei? E secondo lei potrebbero imparare dallo sforzo di empatia mostrato da storici come lei? <\/h3>\n\n\n\n
E trova estensioni contemporanee a questo sforzo filologico che ha fatto come storico?<\/h3>\n\n\n\n
Cio\u00e8?<\/h3>\n\n\n\n
Nel suo <\/a>I Benandanti<\/a> <\/em>ha esaminato un rituale praticato nel Friuli settentrionale in epoca moderna: i Benandanti sostenevano di combattere le streghe in certe notti per garantire la fertilit\u00e0 della terra. Nel corso del libro, lei menziona pratiche simili in Livonia. Mircea Eliade disse di aver individuato pratiche simili in Ungheria e Romania. Per lui, come per altri pensatori vicini alla Nuova Destra Europea, era un segno della persistenza di una cultura pagana che faceva parte dell’identit\u00e0 europea. Come risponderebbe a loro?<\/h3>\n\n\n\n