{"id":1403,"date":"2021-03-04T20:29:38","date_gmt":"2021-03-04T20:29:38","guid":{"rendered":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/ita\/?p=1403"},"modified":"2021-03-05T10:09:25","modified_gmt":"2021-03-05T10:09:25","slug":"italia-ed-europa-uscire-da-un-purgatorio-irrisolto-verso-un-futuro-piu-giusto-conversazione-con-fabrizio-barca","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/legrandcontinent.eu\/it\/2021\/03\/04\/italia-ed-europa-uscire-da-un-purgatorio-irrisolto-verso-un-futuro-piu-giusto-conversazione-con-fabrizio-barca\/","title":{"rendered":"Italia ed Europa: uscire da un purgatorio irrisolto verso un futuro pi\u00f9 giusto. Conversazione con Fabrizio Barca"},"content":{"rendered":"\n

Lei ha partecipato all\u2019esperienza di un governo tecnico. Come giudica il governo Draghi appena insediato?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Il governo appena costituito dal Presidente del Consiglio Mario Draghi rappresenta un unicum<\/em>,<\/a> anche in un paese con una storia particolare come la nostra. Infatti i governi Dini <\/span>1<\/sup><\/a><\/span><\/span>, e Ciampi <\/span>2<\/sup><\/a><\/span><\/span>, due tecnici, erano governi con un forte mandato politico, l\u2019uno di centro destra, l\u2019altro di centro sinistra. Il governo Monti <\/span>3<\/sup><\/a><\/span><\/span> era un governo tecnico sia nella testa sia nella composizione, ma eseguiva, anch\u2019esso, un preciso mandato politico, contenuto in un Programma negoziato dal governo di centro-destra con l\u2019Unione Europea al fine di mettere in sicurezza i conti pubblici del paese, poi fatto proprio dal centro sinistra quando apparve che solo un governo di unit\u00e0 nazionale e tecnico potesse garantirne l\u2019attuazione.   <\/p>\n\n\n\n

Qui siamo invece in presenza di un governo senza un mandato strategico-politico da parte dei partiti. Viste le dichiarazioni molto aperte fatte in sede di presentazione dal Presidente del Consiglio, si tratta di un governo che potr\u00e0 essere giudicato soltanto quando si capir\u00e0 in che modo intende realizzare gli obiettivi proposti, quali l\u2019accelerazione della campagna vaccinale, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e gli altri obiettivi annunciati <\/span>4<\/sup><\/a><\/span><\/span>.  <\/p>\n\n\n\n

Rispetto, per l\u2019appunto, al <\/strong>Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR),<\/strong><\/a> come analizza il rischio, sollevato da alcuni italiani, che il <\/strong>recovery plan<\/em><\/strong> intensifichi il vincolo esterno sull\u2019Italia, procrastinando cos\u00ec una crisi euroscettica di qualche anno? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Questa \u00e8 un’enorme partita per l’Europa. Perch\u00e9 \u00e8 la partita su cui l’Europa forse si avvia a (e rischia di) cambiare la propria governance.<\/em> Ovvero emettere titoli di stato europei, andando nella direzione sana indicata Piketty<\/a> ed altri, accompagnando al potere monetario un potere fiscale, un Ministro del Tesoro, un Parlamento che lo controlli etc… Quindi la partita ovviamente non \u00e8 solo italiana. E se la partita va male, va molto <\/em>male per l’Italia, ma va molto male anche per l’Europa, dato che quest’ultima si sta giocando la sua partita in Italia…  <\/p>\n\n\n\n

Cosa \u00e8 stato fatto dal governo Conte II? Cosa cambier\u00e0 con il governo Draghi? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Il governo Conte II \u00e8 stato, in qualche modo, consapevole dell\u2019importanza della partita che stava giocando: ci ha messo l’anima, nel modo in cui si lavora in quest’epoca, cio\u00e8 negli uffici del governo. Dopo una partenza sbagliata \u2013 raccolta dei progetti esistenti, prima dell\u2019identificazione di una gerarchia di obiettivi \u2013 e una prima bozza (a inizio dicembre 2020) fragile e con un\u2019ipotesi di governance <\/em>velleitaria, le critiche ricevute \u2013 anche le nostre<\/a>, di Forum Diseguaglianze Diversit\u00e0 (ForumDD) \u2013 l\u2019hanno indotto a modifiche, incorporate nella bozza approvata il 12 gennaio, da cui il Governo Draghi sta ora ripartendo. <\/p>\n\n\n\n

Su quel testo noi del ForumDD abbiamo avanzato proposte puntuali<\/a> affinch\u00e9 il Piano divenga una strategia-paese. Sono proposte che riflettono diagnosi e visione del ForumDD. Bisogna rendere espliciti i risultati attesi in termini di condizioni di vita e lavoro, in modo da fornire un quadro di certezze<\/em> per i milioni di italiani che stanno ricostruendo il loro piano di vita: per lavoratrici e lavoratori che non hanno o presto non avranno pi\u00f9 un lavoro; per le PMI; per i giovani presi in contropiede dalla crisi. Far\u00e0 per loro differenza sapere che aumenteranno i posti negli asili nido (fonte di maggiore uguaglianza di opportunit\u00e0, di domanda nel territorio, di possibilit\u00e0 di lavoro specie per le donne), verranno rigenerati (energeticamente ed esteticamente) palazzi e luoghi pubblici, promosse imprese nella filiera verde, migliorati i servizi di cura e della salute e la mobilit\u00e0, rafforzata la collaborazione imprese-universit\u00e0, e offerte opzioni di rilancio (magari attraverso Workers Buyout<\/em>) a imprese in difficolt\u00e0. E sapere in quale misura e quando. Lo Stato pu\u00f2 giocare questa carta, una carta keynesiana non solo nel senso di spingere la domanda aggregata, ma anche nel senso di dare certezze in una situazione di forte incertezza. E per fare ci\u00f2 bisogna che, da un lato, siano coinvolte in prima fila, con forti missioni strategiche, le nostre grandi imprese pubbliche; e dall\u2019altro che siano individuate le filiere territoriali di attuazione e siano investite del compito di attuare gli interventi rompendo, l\u00ec dove si possono rompere, i silos settoriali, e costruendo strategie territoriali che coinvolgano gli attori e siano monitorate e sollecitate.<\/p>\n\n\n\n

Non \u00e8 detto che non ce la facciamo. Ma per riuscirci \u00e8 necessario che il nuovo governo, come avevamo chiesto al precedente, esca dalle sue stanze chiuse. Non si illuda che basta sostituire tecnici a tecnici. Si cambino tempestivamente, come spesso \u00e8 necessario, i vertici delle amministrazioni centrali responsabili dell\u2019indirizzo e poi si costruisca un confronto serrato e informato fra queste tecno-burocrazie e i saperi diffusi rappresentati dal forte partenariato sociale ed economico del paese. Non un \u201cgrande dibattito sui massimi sistemi\u201d, ma un confronto sui singoli obiettivi strategici: raccolta di reazioni, quesiti e proposte; valutazione e decisione; informazione alle parti e al paese circa le decisioni assunte e le loro motivazioni. E poi, subito dopo, un reclutamento di giovani e forti risorse umane in tutte le filiere amministrative di attuazione, sfruttando l\u2019opportunit\u00e0 unica del rinnovamento di un\u2019intera generazione \u2013 oltre 500.000 posti da riempire \u2013 con bandi rapidi (3-6 mesi) e moderni, e curando poi l\u2019inserimento con la saldatura fra \u201cvecchi\/e\u201d e \u201cnuovi\/e\u201d attorno ai risultati attesi del Piano. Su quest\u2019ultimo punto il nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi ha dato segnali convincenti. Non ha fatto lo stesso, ancora, sull\u2019indispensabile dialogo sociale. Qui si gioca la partita italiana.<\/p>\n\n\n\n

Il patto di stabilit\u00e0 va bene cos\u00ec o potrebbe essere abolito, <\/strong>come propone Olivier Blanchard<\/strong><\/a>? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

La pars destruens<\/em> di Blanchard \u00e8 condivisibile ed evidente. \u00c8 noto da tempo che un sistema \u201cone size fits all<\/em>\u201d, che valuti la sostenibilit\u00e0 del debito su regole fisse, \u00e8 un sistema inadatto, dato che, come osserva giustamente Blanchard, la sostenibilit\u00e0 \u00e8 legata a una molteplicit\u00e0 di fattori: dai comportamenti futuri dei governi alle vicende del contesto esterno, alla fiducia degli investitori. Che a questo limite si possa trovare una soluzione, sostituendo un meccanismo composto da regole fisse con dei criteri discrezionali che verranno interpretati di volta in volta, valutando tali molteplici e variabili fattori, mi lascia dubbioso. Sorgono due possibili opzioni. Tale valutazione potrebbe essere affidata, come suggerisce Blanchard, ad un organo tecnico \u2013 nonostante il fatto si tratti chiaramente di una valutazione politica: tale opzione sottrarrebbe dunque ulteriore credibilit\u00e0 democratica. Alternativamente, la valutazione potrebbe essere affidata al Consiglio Europeo: ci\u00f2 potrebbe mettere il Consiglio nella condizione di effettuare un bilanciamento di condizioni politiche, meno irrigidito di quanto non sia oggi. Opzione che rappresenterebbe, probabilmente, un passo in avanti, ma sempre soggetta alla volatilit\u00e0 del quadro delle alleanze inter-statali.<\/p>\n\n\n\n

La vera soluzione si cela nell\u2019evoluzione dell\u2019Unione monetaria in un\u2019unione politica: nella quale il neonato Stato federale europeo, valuterebbe, nel suo complesso, le scelte fiscali da prendere.  <\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Rimane il fatto che la vera soluzione si cela nell\u2019evoluzione dell\u2019Unione monetaria in un\u2019unione politica: nella quale il neonato Stato federale europeo, valuterebbe, nel suo complesso, le scelte fiscali da prendere.  <\/p>\n\n\n\n

Lei coordina il <\/strong>Forum Disuguaglianze Diversit\u00e0<\/strong><\/a>, una <\/strong>rete di associazioni e di accademici<\/strong><\/a> la cui visione e filosofia fa delle disuguaglianze il punto di partenza per ogni discussione, proposta ed azione politica. Oggi le disuguaglianze costituiscono una delle questioni strutturanti del dibattito sia scientifico che politico: come analizza l\u2019evoluzione e la costruzione delle diverse posizioni riguardo alla questione? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Per usare un\u2019espressione gramsciana, veniamo da un quarantennio segnato da una profonda modifica del senso comune, marcato dalla depoliticizzazione, personalizzazione e responsabilizzazione esclusivamente individuale degli stati di disagio e di minore accesso e opportunit\u00e0 di voce delle persone. Questo fino a modificare radicalmente la parola \u201cpovert\u00e0\u201d: se nel Dopoguerra tale parola richiamava il contesto nel quale le persone erano nate, in cui si erano trovate a dover crescere e vivere, in quest\u2019ultimo quarantennio la \u201cpovert\u00e0\u201d viene assai spesso percepita come il frutto di una scelta individuale. Nessuno ha negato l\u2019esistenza delle diseguaglianze, ma esse sono state reinterpretate come uno stato passeggero della vita degli individui e delle societ\u00e0, come frutto delle loro personali scelte. <\/p>\n\n\n\n

Questa visione \u00e8 poi cambiata?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Verso la fine di questo lungo periodo \u2013 nei primi anni 2000, anche prima della crisi del 2008 – la punta di diamante del pensiero neoliberale e liberale, The Economist<\/em>, ha iniziato a percepire che la concezione delle diseguaglianze come stati temporanei \u2013 della vita delle persone o delle societ\u00e0 \u2013 non reggeva. La teoria del trickle down effect<\/em>, del \u201ctanto poi si cresce e la ricchezza arriva a tutti\u201d, era errata. Al livello europeo, questa consapevolezza era gi\u00e0 molto forte \u2013 in grandi figure come Anthony Barnes Atkinson, e in reti di studiosi europei che portavano avanti il tema delle disuguaglianze personali e territoriali sul piano analitico ed empirico.  <\/p>\n\n\n\n

\u00c8 una consapevolezza che ha radici nell\u2019impianto costitutivo dell\u2019UE. Ricordo che il Trattato UE alla parola \u201cfelicit\u00e0\u2019\u201d presente nella Costituzione americana preferisce \u201charmonious development<\/em>\u201d<\/a>, lo sviluppo armonioso che prevede che a ognuno sia data una chance. E che sin dai suoi albori la Comunit\u00e0 e poi l\u2019Unione Europea mostrano piena consapevolezza del fatto che la libera circolazione di lavoro, merci e capitali tende di per s\u00e9 ad accrescere le disuguaglianze territoriali. E dunque, che l\u2019obiettivo della pace debba essere fondato su un\u2019”identificazione” \u2013 la parola utilizzata da Freud nelle sue risposte a Einstein nel 1933 su cosa potesse evitare la guerra che incombeva \u2013 fra i cittadini dell\u2019Europa, degli uni negli altri e nelle altre. Concetto fissato nell\u2019obiettivo della \u201ccoesione\u201d, valorizzato nei Trattati e, non a caso, da Jacques Delors quando si \u00e8 imboccata la strada dell\u2019Unione Monetaria, e di nuovo o ora nel Next Generation EU.<\/em> <\/p>\n\n\n\n

E invece, soprattutto dagli anni novanta, l\u2019azione pubblica dell\u2019Unione Europea e dei suoi Stati Membri muove in una direzione diversa e le disuguaglianze si aggravano. Nelle loro tre distinte forme. Al di l\u00e0 delle disuguaglianze \u201cclassiche\u201d, ovvero economiche, di reddito e di ricchezza, che cessano di ridursi e spesso crescono, anche con forza, dagli anni \u201980, ve ne sono due altre: quelle \u2013 assai gravi – di accesso ai servizi fondamentali, causate dall\u2019indebolimento del welfare state<\/em>, con la negazione e la corrosione dei sistemi pubblici della salute, della scuola, della mobilit\u00e0, e dell\u2019accesso e uso consapevole del digitale; e le disuguaglianze di riconoscimento, concetto fondamentale della filosofia tedesca, ovvero la negazione del riconoscimento del valore, del ruolo, dell\u2019identit\u00e0, dei valori propri a fasce della societ\u00e0, siano esse insegnanti, operai o residenti nelle aree marginalizzate, periferiche e rurali di tutta Europa. Come del resto avviene anche negli Stati Uniti. <\/p>\n\n\n\n

Per usare un\u2019espressione gramsciana, veniamo da un quarantennio segnato da una profonda modifica del senso comune, marcato dalla depoliticizzazione, personalizzazione e responsabilizzazione esclusivamente individuale degli stati di disagio e di minore accesso e opportunit\u00e0 di voce delle persone. Questo fino a modificare radicalmente la parola \u201cpovert\u00e0\u201d, che viene percepita come il frutto di una scelta individuale.<\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

E si noti che il mancato riconoscimento dei propri valori, la loro messa in discussione da parte di valori diversi, la sfida delle \u201cdiversit\u00e0\u201d all\u2019omogeneit\u00e0 e unicit\u00e0, rappresenta, secondo la grande politologa e studiosa di comportamenti umani, Karen Stenner, sin dal suo volume anticipatorio del 2005 (\u201cThe Authoritarian Dynamic<\/em>\u201d<\/a>), il fattore scatenante di quella reazione di rabbia e risentimento da parte di chi ha una predisposizione, appunto, all\u2019omogeneit\u00e0. \u00c8 l\u2019insieme di questi fattori che, in assenza di un disegno alternativo progressista che proponga a un tempo forti valori comuni e uno scenario di vita possibile pi\u00f9 giusto, spiega le spinte autoritarie dell\u2019ultimo decennio.<\/p>\n\n\n\n

Come si \u00e8 tradotta tale consapevolezza in termini di proposte e iniziative concrete al livello europeo e internazionale?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Anche in Europa come negli Stati Uniti c\u2019\u00e8 stato chi ha previsto ci\u00f2 che stava per succedere: Danuta H\u00fcbner, economista e social-democratica polacca, che aveva accompagnato e gestito l\u2019entrata della Polonia nell\u2019UE, avvertiva che questi fenomeni stavano aprendo faglie gravi. E che dietro pesava la negazione di ogni via collettiva di uscita: There is no alternative, it\u2019s up to you\u2026. Take your life in your hands; we can\u2019t do anything about it.<\/em> E cos\u00ec, divenuta Commissaria europea proprio alla coesione, ha tentato, nel 2008, la costruzione di una operazione europea che usi la politica di coesione come leva per aprire un\u2019alternativa, luogo per luogo, nello spirito di Jacques Delors. Mi chiam\u00f2 a costruire e coordinare la squadra e producemmo, attraverso un percorso di oltre un anno, un Rapporto di diagnosi e di proposte: \u201cAn Agenda for a Reform of Cohesion Policy<\/em><\/a>\u201d, che anticipava ci\u00f2 che dieci anni dopo \u00e8 diventato pensiero comune: le disuguaglianze personali e territoriali non sono sostenibili, la priorit\u00e0 politica sta nell\u2019innalzare l\u2019accesso e la qualit\u00e0 dei servizi fondamentali, per rendere davvero \u201ceuropea\u201d la cittadinanza. E proponeva opzioni concrete animate da un metodo, il place-based approach<\/em>, nonch\u00e9 un modo di disegnare e attuare le politiche, n\u00e9 top-down<\/em> n\u00e9 bottom-up,<\/em> che unisce forti indirizzi generali di principio a livello europeo-nazionale-regionale con strategie territoriali affidate ai Comuni, con un forte dialogo sociale con la societ\u00e0 civile, il mondo del lavoro e le imprese. <\/p>\n\n\n\n

Tale tentativo \u00e8 stato contrastato con forza dal pensiero neoliberista dominante incarnato dalla componente egemone della Banca Mondiale. Ma ha trovato invece nell\u2019Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), uno spazio di discussione (non a caso) nel Comitato sulle politiche territoriali <\/span>5<\/sup><\/a><\/span><\/span> \u2013 da cui matureranno alcune delle idee che Hubner far\u00e0 sue. Questo in parallelo con altre importanti operazioni OCSE iniziate negli anni 2000 e 2010, operazioni intellettuali che hanno visto Enrico Giovannini<\/a> <\/span>6<\/sup><\/a><\/span><\/span> \u2013 mio compagno di strada di una vita \u2013 in prima linea, e la Francia in una posizione interessante, con la Commissione Stieglitz-Fitoussi-Sen <\/span>7<\/sup><\/a><\/span><\/span> lanciata da Sarkozy nel 2007. E\u2019 un’iniziativa che promuove la discussione sui limiti delle misurazione data dal PIL (\u201cBeyond GDP<\/a>\u201d) e sull\u2019instaurazione di nuovi indicatori basati sul benessere, e che ha  costituito la base di diverse iniziative OCSE negli anni a venire, nonch\u00e9 dell\u2019iniziativa ONU del 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile.<\/p>\n\n\n\n

Il tentativo ha influenzato il disegno della politica di coesione, ma non \u00e8 stato raccolto dalla politica, rimasta ancorata all\u2019impianto del ventennio precedente. Eppure inizia a maturare un\u2019altra visione, che vede nelle diseguaglianze un fenomeno permanente, frutto di scelte \u2013 come dir\u00e0 Anthony Atkinson – e non di fenomeni inevitabili. Non frutto della globalizzazione, ma di come l\u2019abbiamo gestita: a partire nell\u2019accordo TRIPs <\/span>8<\/sup><\/a><\/span><\/span> del 1994, che sbilancia il difficile equilibrio fra tutela della propriet\u00e0 intellettuale e della conoscenza come bene comune prioritario dell\u2019umanit\u00e0 – di cui paghiamo in queste ore, con i vaccini, le drammatiche conseguenze. E frutto, ancora, di un new public management<\/em> che assume la conoscenza perfetta da parte di pochi centri di competenza e nasconde decisioni politiche dentro gusci tecnici. Fino a culminare in una sistematica disattenzione per i saperi diffusi. Queste sono, in estrema sintesi, nell\u2019analisi del ForumDD, le cause dell\u2019attuale stato di cose. <\/p>\n\n\n\n

Certo, l\u2019entrata in gioco in produzioni competitive di masse di forza lavoro in Cina, Indonesia e India tende a ridurre il potere contrattuale della classe operaia e medio-bassa dell\u2019Europa. Ma anzich\u00e9 rispondere con un ruolo pi\u00f9 forte e innovativo dei sindacati, si risponde delegittimandoli e considerandoli istituzione del passato. Cos\u00ec, gli sviluppi della tecnologia dell\u2019informazione e del digitale destabilizzano i vecchi lavori. Ma di nuovo, a questa sfida non si risponde interrogandosi a livello di politiche pubbliche su come indirizzare il cambiamento affinch\u00e9 produca buoni e non cattivi lavori, ma lasciando fare a una supposta intelligenza del mercato e permettendo che le piattaforme digitali diventino possesso esclusivo e monopolio di poche corporation. <\/em>Si abbandona cos\u00ec il terreno di quella che sta diventando la nuova grande leva di trasformazione mondiale. Insomma, l\u2019attuale grave stato delle disuguaglianze \u00e8 frutto di scelte, di politiche e di quel cambiamento di senso comune da cui siamo partiti. <\/p>\n\n\n\n

L\u2019attuale grave stato delle disuguaglianze \u00e8 frutto di scelte, di politiche e di quel cambiamento di senso comune da cui siamo partiti. <\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

I populismi presenti in Europa oggi sono quindi il frutto del ritardo di comprensione del ruolo strutturale delle disuguaglianze?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Certamente. Alle lacerazioni sociali i partiti di sinistra e centro-sinistra, egemonizzati dalla cultura neo-liberista, non danno risposta e cessano di esercitare \u201crappresentanza\u201d. La democrazia viene mortificata perch\u00e9 il suo metodo di formazione delle decisioni e di attuazione della sovranit\u00e0 popolare viene ridotto al voto, negando e chiudendo gli spazi per il metodo del \u201cgoverno attraverso il dibattito\u201d, per la partecipazione, per il confronto acceso, aperto, informato e ragionevole: il solo strumento, come scrive Amartya Sen, che consente di prendere decisioni giuste. Da qui, la nascita di movimenti e populismi. Da un lato, la nascita di forme nuove di azione politica, anche assai diverse: partiti-movimenti, movimenti che combinano azioni pratiche locali e solidariet\u00e0 internazionale ma rifuggono dal misurarsi con le istituzioni (folk politics<\/em>, li definiscono Nick Srnicek e Alez Williams), organizzazioni di cittadinanza attiva che realizzano azioni collettive o influenzano le azioni pubbliche, e alleanze, come quella dello stesso ForumDD. Dall\u2019altro, a volte in connessione con queste forme, la ricerca di forme semplificate che tornino a rendere visibile il popolo. Che si definisca il populismo con Pierre Rosanvallon <\/span>9<\/sup><\/a><\/span><\/span> o con Chantal Mouffe <\/span>10<\/sup><\/a><\/span><\/span>, esso costituisce un tentativo di ricostruire una visibilit\u00e0 del popolo. Che tuttavia pu\u00f2 evolversi in direzioni assai diverse.<\/p>\n\n\n\n

Si potrebbe dunque valutare lo scontento come un elemento positivo, in quanto epifenomeno del malfunzionamento del sistema? In questo senso, \u00e8 abbastanza facile pensare il populismo in termini positivi, associandolo ad esempio alle recenti manifestazioni e rivolte in America Latina \u2013 che hanno addirittura portato, in <\/strong>Cile<\/strong><\/a>, alla formazione di un\u2019Assemblea costituente. Diventa per\u00f2 pi\u00f9 difficile quando ci si riferisce all\u2019episodio di <\/strong>Capitol Hill<\/strong><\/a>. Lei ha scatenato una <\/strong>polemica su Twitter<\/strong><\/a> riguardo a questa vicenda, indicando l\u2019insurrezione come una conseguenza delle diseguaglianze negli Stati Uniti. Non si tratta qui giustificare l\u2019ingiustificabile?  <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Non dobbiamo mai confondere la parola \u201cgiustificare\u201d con \u201cspiegare\u201d. Giustificare \u00e8 riconoscere la validit\u00e0 di un modo di comportamento; spiegare significa non accontentarsi di semplificazioni \u2013 in questo caso, classificare Trump come causa e non, primariamente, come effetto – e ricercare le ragioni ultime di ogni fenomeno. Il fatto \u00e8 che sinora il populismo, che pure pu\u00f2 aprire opportunit\u00e0 per il rilancio di progetti di emancipazione, \u00e8 stato colto e cavalcato assai pi\u00f9 di frequente e con ben pi\u00f9 efficacia da progetti autoritari di destra, in Italia come altrove nell\u2019Occidente.<\/p>\n\n\n\n

Il populismo \u00e8 uno stato transeunte, non \u00e8 una condizione stabile. Si manifesta e scatena quando viene meno quello che Rosanvallon chiama il popolo sociale<\/em>, quando rimane solo il popolo costituzionale e numerico. Quando viene negata al popolo, attraverso l\u2019indebolimento dei corpi intermedi e della democrazia, la possibilit\u00e0 di contare e di combattere, o, come direbbe Albert Hirschmann, di avere una voce. Gli si d\u00e0 solo la possibilit\u00e0 di exit.<\/em> Allora la democrazia si impoverisce, e scattano questi meccanismi. Nel fenomeno populista ci sono due anime: da un lato, il tentativo di ricostruire canali di rappresentanza che non ci sono pi\u00f9; dall\u2019altro, la tentazione di risolvere proprio la complessit\u00e0 della rappresentanza in un rapporto diretto con un leader, un grande semplificatore, un Cesare.  <\/p>\n\n\n\n

Il populismo \u00e8 uno stato transeunte, non \u00e8 una condizione stabile. Si manifesta e scatena quando viene meno quello che Rosanvallon chiama il popolo sociale<\/em>, quando rimane solo il popolo costituzionale e numerico.<\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Nella storia, abbiamo assistito all\u2019evoluzione in entrambe le direzioni. Il populismo americano anti-baroni della finanza a cavallo fra \u2018800 e \u2018900 si evolve e influenza il Partito democratico alimentando di idee e di impulsi il New Deal<\/em>. Si pensi, anche in termini di virulenza del linguaggio e di radicalit\u00e0 della battaglia contro poteri che apparivano invincibili, ai lavori e alle conclusioni della Commissione del Senato diretta dall\u2019italo-americano Ferdinand Pecora <\/span>11<\/sup><\/a><\/span><\/span>, che condurr\u00e0, fra l\u2019altro, alla disgregazione della Banca Morgan. L\u2019altra strada \u00e8 quella del fascismo: stessa rabbia, stesso scontento, stessa incapacit\u00e0 di trovare una rappresentanza. Che tuttavia determina, \u00e8 cavalcata e incanalata, da una proposta autoritaria. Quindi il populismo pu\u00f2 prendere due strade: o rigenera la democrazia, o diventa autoritarismo. Ha in s\u00e9 entrambe le potenzialit\u00e0. <\/p>\n\n\n\n

Chi dovrebbe essere l\u2019attore politico responsabile di promuovere un processo che dia una voce al popolo, nel contesto delle strutture partitiche esistenti oggi in Italia e in Occidente? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

I partiti rappresentano, in Italia anche per dettato della Costituzione, l\u2019associazione fondamentale della democrazia. Al giorno d\u2019oggi, i partiti si dovrebbero lasciare rigenerare dalla domanda di ricostruzione di un popolo sociale, e tornare ad esercitare questa nuova funzione all\u2019interno del quadro democratico. Ma non nello stile degli anni del trentennio post-bellico! Non si tratta di ricostruire partiti di massa.<\/p>\n\n\n\n

E questo per due ragioni fondamentali. In primo luogo, perch\u00e9 oggi i saperi sono diffusi: l\u2019istruzione di massa, con tutti i suoi limiti, fa s\u00ec che milioni di essere umani in Europa, come altrove, abbiano i saperi che servono a governare: pazienti, studenti e studentesse, anziani e anziane, pendolari\u2026 tutti sentono di poter contribuire e possono contribuire al disegno dei servizi fondamentali. Non esprimono solamente bisogni; esprimono anche soluzioni. E questo richiede una democrazia diversa da quella che avevamo quarant\u2019anni fa.<\/p>\n\n\n\n

In secondo luogo: oggi torniamo a riconoscere il tema gravissimo della subalternit\u00e0 di classe, ovvero della necessit\u00e0 di un riequilibrio di poteri fra chi controlla solo il proprio lavoro e chi controlla anche il capitale, materiale o immateriale che sia. Ci\u00f2 si accompagna anche con consapevolezze che nacquero, ma non furono abbastanza fertili, nel \u201968: la consapevolezza di altre tre subalternit\u00e0, quella di genere, di razza, e una subalternit\u00e0 di tutti noi a noi stessi, sarebbe a dire il riconoscimento della non sostenibilit\u00e0 ambientale. Io qui sono mouffiano [da Chantal Mouffe, ndr<\/em>]: ricostruire la democrazia significa ricostruire arene di confronto e di raccolta di saperi, di elaborazione di decisioni e atti che diano forma e allo stesso tempo soddisfino queste quattro subalternit\u00e0, senza perderne la specificit\u00e0. <\/p>\n\n\n\n

Che fare? Come ricostruire la democrazia?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Per farlo, c\u2019\u00e8 un solo modo possibile, indicato da uno dei maggiori pensatori viventi, Amartya Sen: un confronto acceso \u2013 ovvero che consenta a tutti di parlare, inclusi gli antagonisti; informato \u2013 dove nessuno parla due volte senza portare elementi verificabili a sostegno delle proprie tesi; aperto \u2013 dove la comunit\u00e0 conta, ma solo se \u00e8 una comunit\u00e0 aperta, come descritta dal filosofo di origini ghanesi Kwame Anthony Appiah <\/span>12<\/sup><\/a><\/span><\/span>; e ragionevole <\/span>13<\/sup><\/a><\/span><\/span> \u2013 ovvero non solo autoreferenzialmente razionale, ma anche che riesce a mettersi nelle scarpe degli altri. <\/p>\n\n\n\n

C\u2019\u00e8 un solo modo possibile: un confronto acceso \u2013 ovvero che consenta a tutti di parlare, inclusi gli antagonisti; informato \u2013 dove nessuno parla due volte senza portare elementi verificabili a sostegno delle proprie tesi; aperto \u2013 dove la comunit\u00e0 conta, ma solo se \u00e8 una comunit\u00e0 aperta; e ragionevole. <\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Questa modalit\u00e0 \u00e8 possibile? Sicuramente s\u00ec: \u00e8 stata gi\u00e0 sperimentata in Europa, e anche gli Stati Uniti dimostrano di averla intesa. Ad esempio, se oggi il Senato americano non \u00e8 pi\u00f9 a maggioranza repubblicana \u00e8 perch\u00e9 in Georgia si sono sviluppati movimenti e reti progressisti<\/a> che, venendo raccolte dal Partito Democratico, hanno portato al voto cittadini che in passato ne erano stati lontani, producendo un risultato inatteso fino ad un anno e mezzo fa. Le reti di democrazia organizzata al livello di cittadinanza sono la strada da seguire. <\/p>\n\n\n\n

Si nota nella sua analisi una critica implicita a quella che \u00e8 stata chiamata la cosiddetta \u201cterza via\u201d. Potrebbe esplicitare questa critica?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

La terza via \u00e8 un\u2019illusione ottica. \u00c8 lo schiacciamento del centro-sinistra sul pensiero neoliberista, in tutti i paesi: dei partiti socialisti e social-democratici, della parte progressista dei partiti popolari, della parte progressista dei liberali\u2026 ovvero delle tre grandi anime culturali dell\u2019Europa e dell\u2019Italia. E\u2019 una giustificazione per potersi schiacciare sul pensiero neoliberista, nulla di pi\u00f9. Spesso in buona fede. C\u2019\u00e8 il convincimento di essersi illusi circa la possibilit\u00e0 di trovare nuovi equilibri fra sentimenti individualisti e di reciprocit\u00e0, e circa la possibilit\u00e0 di evitare le trappole dirigiste dello Stato; l\u2019illusione illuminista di possedere le conoscenze per capire cosa sia meglio per tutti, in ogni luogo, indipendentemente dai contesti; l\u2019illusione che le imprese, stimolate da molti stakeholders<\/em>, possano risolvere la complessit\u00e0 nell\u2019interesse generale; una visione riduttiva della libert\u00e0 come exit<\/em>. L\u2019unica genuina differenza della terza via \u00e8 la gerarchia dei valori, dove si d\u00e0 in genere (non sempre) pi\u00f9 importanza al tema delle disuguaglianze. Quindi la parte compensativa delle disuguaglianze \u00e8 pi\u00f9 forte: \u201cnon li possiamo lasciar morire di fame\u2026\u201d. Ma il metodo rimane lo stesso. Quindi non \u00e8 una vera e propria terza via.<\/p>\n\n\n\n

Soprattutto pesa con forza il convincimento dell\u2019inutilit\u00e0, della vacuit\u00e0, del confronto acceso e del dialogo pubblico. Il messaggio di Tony Blair, anche nella drammatica vicenda della demenziale avventura irachena, che segna un nuovo, storico  peggioramento nell\u2019intera vicenda mediorientale e nel rapporto fra mondo cristiano e islamico, \u00e8 chiarissimo: tu mi voti ogni cinque anni, e anche di fronte alla pi\u00f9 grande dimostrazione mondiale della storia io non defletto; poi, avrai il potere di votarmi contro. E cos\u00ec in ogni campo. Tu, cittadina e cittadino, oltre al voto, mantieni comunque il potere di exit. Non ti piace l\u2019ospedale, la scuola: te ne vai; non ti piace la citt\u00e0, non ti piace la Gran Bretagna, te ne vai. C\u2019\u00e8 ovviamente libert\u00e0: la libert\u00e0 di andarsene. Ma che si contrappone al restringimento dello spazio della democrazia deliberativa e al mascheramento tecnico di decisioni politiche.  <\/p>\n\n\n\n

E cos\u00ec il new public management, <\/em>che pure introduce strumenti nuovi e utili (migliore misura dei risultati, indicatori, ruolo della valutazione), conduce a un riduzionismo metodologico, con l\u2019illusione anti-hayekiana e anti-liberale, decisamente di sapore pianificatorio, per cui i grandi centri di competenza possono regolare il sistema attraverso complete contract<\/em>s, che stabiliscono il da farsi in tutti gli \u201cstati del mondo\u201d. Si tratta dunque, fondamentalmente, di una depoliticizzazione e de-democratizzazione dei processi di decisione pubblica.<\/p>\n\n\n\n

E in Italia?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

In Italia \u00e8 sempre stato tutto un po\u2019 parossistico e ritardato. Ricordo ai non italiani che leggono che l\u2019Italia presenta una sofferenza in pi\u00f9: il suicidio dei partiti organizzati legato, da un lato, all\u2019accertamento da parte della magistratura dei diffusi casi di corruzione nel finanziamento dei partiti, noto come Tangentopoli; dall\u2019altro, al modo in cui il Partito Comunista italiano ha scelto di affrontare la caduta del muro di Berlino, esprimendo un sentimento di colpa, con la conseguente rimozione contemporanea sia delle proprie ambiguit\u00e0, sia delle proprie specifiche acquisizioni politiche e culturali. In nessun altro paese \u00e8 avvenuto un simile suicidio di massa. <\/p>\n\n\n\n

Al suicidio dei partiti si somma il fatto d\u2019aver sempre avuto amministrazioni pubbliche arcaiche e deboli e di non averle sapute riformare, con effetti negativi in termini di efficacia dell\u2019azione pubblica e di spazi per la corruzione. Consapevolezza che ci porta al vero e proprio quesito rispetto alla vicenda italiana: com\u2019\u00e8 possibile che, nonostante tutto ci\u00f2 e quello che \u00e8 successo, il paese tenga? La risposta rende evidente l\u2019esistenza di un forte fattore di compensazione di cui non parliamo a sufficienza: il telaio territoriale, pi\u00f9 forte che altrove, fatto di comuni, organizzazioni di cittadinanza, sindacati, reti di imprese sociali e pensionati sindacalizzati, universit\u00e0 territoriali, reti locali di imprese, cooperative, cooperative di comunit\u00e0, fondazioni. Un fattore che rivela e riproduce non solo solidariet\u00e0 e mutualismo, ma anche creativit\u00e0 e imprenditorialit\u00e0. Un fattore robusto abbastanza da impedire che il paese fallisca, ma che il paese non riesce a convertire con orgoglio in strumento di rilancio e sviluppo.<\/p>\n\n\n\n

Com\u2019\u00e8 possibile che, nonostante tutto ci\u00f2 e quello che \u00e8 successo, il paese tenga? La risposta rende evidente l\u2019esistenza di un forte fattore di compensazione: il telaio territoriale, pi\u00f9 forte che altrove, che rivela e riproduce non solo solidariet\u00e0 e mutualismo, ma anche creativit\u00e0 e imprenditorialit\u00e0. Un fattore robusto abbastanza da impedire che il paese fallisca, ma che il paese non riesce a convertire con orgoglio in strumento di rilancio e sviluppo.<\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Con questi suoi tratti, l\u2019Italia vive particolarmente male la cosiddetta terza via. Se in altri paesi la nuova  ideologia \u00e8 messa al servizio di tecnostrutture robuste e di una buona amministrazione pubblica, producendo perlomeno la fissazione di obiettivi effettivamente misurabili e verificabili, in Italia il nuovo approccio aggrava la burocratizzazione e la deriva procedurale nei servizi e deteriora il rapporto fra pubbliche amministrazioni e imprese sociali, concepite come strumento di erogazione di servizi di minore qualit\u00e0 con lavoro mal retribuito. Cos\u00ec come, su un altro fronte, il processo di frettolosa privatizzazione delle imprese pubbliche, la colonna vertebrale dell\u2019industria di un paese storicamente povero di grandi imprese private, \u00e8 stato accompagnato dallo smantellamento ideologico di ogni tentativo di programmazione e indirizzo delle imprese restate pubbliche (quasi 30%, oggi, del patrimonio quotato nella Borsa di Milano). Prendendo sul serio l\u2019arresto di ogni politica industriale, in realt\u00e0 proseguita da paesi come Stati Uniti, Germania o Olanda. Sta in queste specificit\u00e0 quella stagnazione della produttivit\u00e0 che in Italia si aggiunge all\u2019aumento delle disuguaglianze.  <\/p>\n\n\n\n

Si trovano per\u00f2 in Italia delle forme di innovazione politica, incarnate principalmente dal Movimento Cinque Stelle e, anteriormente, dalla figura di Berlusconi, leader televisivo e imprenditoriale, manifestazione della trasformazione del partito in partito-impresa.<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Berlusconi \u00e8, in fondo, un antesignano di tanti processi. In lui si manifesta una forma estrema di depoliticizzazione della politica, non tanto attraverso la sua persona, quanto nella sua idea di governo. Seguendo la logica secondo la quale le scelte pubbliche sono solo un tema di efficienza: c\u2019\u00e8 un solo modo di fare le cose, e quindi vanno gestite dalle persone pi\u00f9 adeguate e migliori possibili in quel campo. Non esiste pi\u00f9, in apparenza, una scelta politica. <\/p>\n\n\n\n

Approccio che va coniugato alle sue scelte di alleanze politiche, in particolare con la vecchia Lega Nord.<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Certo. Grazie alla saldatura con la Lega Nord dei territori, rappresentativa di un ceto medio produttivo e delle aree rurali e capace di esprimere il sentire specifico di comunit\u00e0 territoriali \u2013 un compito che in passato era stato svolto dal PCI e dalla DC – Berlusconi colma il vuoto di rappresentanza. Lo fa giocando una carta forte, quella della persona che si \u00e8 fatta da s\u00e9. Un ruolo che la sinistra spocchiosa e disattenta ingigantisce prendendolo in giro perch\u00e9 magari da pi\u00f9 giovane suonava sulle navi, o per la popolarit\u00e0 dei suoi modi o delle sue barzellette (pur non contrastando a sufficienza la degenerazione nell\u2019uso dell\u2019immagine della donna sulla televisione pubblica).   <\/p>\n\n\n\n

Siamo molto lontani dai valori di populismo nazionalista che sono diventati parte centrale della narrativa autoritaria della nuova Lega di Salvini. Quei valori che oggi sono tenuti sottotraccia dall\u2019adesione al governo Draghi, dettata dagli interessi delle piccole e medie imprese che della Lega sono ancora l\u2019asse vitale. <\/p>\n\n\n\n

E il Movimento Cinque Stelle? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Il Movimento Cinque Stelle \u00e8 un genuino tentativo, rientrante nei canoni del populismo di cui prima si \u00e8 detto, di riempire il vuoto di democrazia e di partecipazione. Lo fa in due modi. Primo, con forme di partecipazione diretta alle decisioni, attraverso piattaforme informatiche, come quella che con meno del 60% dei votanti ha di recente accettato la partecipazione al governo Draghi. Secondo, e pi\u00f9 interessante, con lo strumento dei meetup<\/em>. <\/p>\n\n\n\n

Cosa sono i meetup<\/em><\/strong> <\/span>14<\/sup><\/a><\/span><\/span>? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Sono arene di confronto territoriale in cui si mira a dare a tutti i partecipanti la possibilit\u00e0 di confrontarsi in modo acceso e informato per decidere la linea del movimento su temi locali o nazionali. L\u2019analisi di esperienze concrete di questo strumento <\/span>15<\/sup><\/a><\/span><\/span>restituisce la genuinit\u00e0 degli intenti, ma anche l\u2019impreparazione metodologica, che, come accade, costringe progressivamente a restringere i paletti del confronto o addirittura a troncarne gli sviluppi, con l\u2019emersione di leadership <\/em>dirigiste e strumenti sanzionatori – una sorta di giacobinismo autoritario. La straordinaria accelerazione dei risultati elettorali del Movimento toglie linfa a questa esperienza. In sostanza, la chiusura dei meetup<\/em> priva il Movimento Cinque Stelle di un pezzo fondamentale della sua stessa originalit\u00e0 e ragione d’essere. <\/p>\n\n\n\n

Su tutt\u2019altro fronte, un\u2019esperienza di costruire luoghi di confronto viene tentata nel Partito Democratico. Sono stato io stesso a condurla con una squadra nazionale durante i miei tre brevi anni di militanza all\u2019interno del Partito Democratico. Con quindici unit\u00e0 territoriali di quel partito (o reti di unit\u00e0) che avevano risposto a una call<\/em>, abbiamo sperimentato per un anno, in un progetto denominato \u201cLuoghi Ideali\u201d, l\u2019idea di trasformare i circoli interni al PD in luoghi ideali di confronto, tramite la condivisione di saperi diffusi. Scartata l\u2019idea di \u201crimettere il dentifricio nel tubetto\u201d, ossia di riportare nel partito, come nell\u2019esperienza dei partiti di massa, cittadine e cittadini di diversi ceti, abbiamo voluto fare delle unit\u00e0 territoriali del PD luoghi di incontro e laboratori, congiunzione fra saperi diffusi, organizzazioni di cittadinanza e i quadri dirigenti del partito. I risultati sono stati interessanti ed esaminati in un Rapporto di valutazione<\/a> che \u00e8 stato discusso a lungo dagli organi dirigenti del PD. Dopo lungo confronto, alcune proposte in questo senso sono state approvate da una commissione nazionale del PD e indirizzate all\u2019Assemblea (1000 membri) del PD stesso. Non saranno mai discusse.  <\/p>\n\n\n\n

Quindi per lei il fallimento dei <\/strong>meetup<\/em><\/strong>, come tentata applicazione dell\u2019idea di democrazia di Amartya Sen, \u00e8 paragonabile al travisamento del contratto sociale di Rousseau e alla conseguente deriva autoritaria data dal giacobinismo durante la Rivoluzione francese? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Esatto. Alla fine, ci\u00f2 che veramente manca \u00e8 un’organizzazione nazionale che rassicuri i livelli territoriali sulla natura sperimentale del processo, sul fatto che si possa andare avanti, che si possa discutere, che le regole sono fissate e mantenute, che garantisca trasparenza; che legittimi e sproni il meetup<\/em> che ha continuato a discutere fino alle 3 del mattino senza concludere, affiancandolo nel metodo. La mancanza di tale organizzazione nazionale si \u00e8 profondamente sentita nell\u2019esperienza meetup<\/em>. Il loro tentativo di ricostruzione di un intellettuale collettivo \u2013 come direbbe Gramsci – \u00e8 venuto meno a causa della mancanza di un\u2019avanguardia intellettuale, la cui funzione non \u00e8 quella di imporre le modalit\u00e0 e i contenuti, ma di dare una sensazione di serenit\u00e0, di non pensare di perdere tempo, e di avere fiducia nella correttezza di metodo entro la quale continuare l\u2019esperimento. <\/p>\n\n\n\n

Il loro tentativo di ricostruzione di un intellettuale collettivo \u00e8 venuto meno a causa della mancanza di un\u2019avanguardia intellettuale, la cui funzione non \u00e8 quella di imporre le modalit\u00e0 e i contenuti, ma di dare una sensazione di serenit\u00e0, di non pensare di perdere tempo, e di avere fiducia nella correttezza di metodo entro la quale continuare l\u2019esperimento.<\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

E invece il successo elettorale del Movimento produce esattamente l’effetto opposto, dando la sensazione e l\u2019illusione di avercela fatta, che adesso si tratta di comandare, di occupare il Palazzo. E quindi arrivano nel Palazzo senza gli strumenti metodologici non solo per governare ma anche per mantenere le connessioni con chi li aveva eletti. <\/p>\n\n\n\n

Perch\u00e9 lei non ha preso la tessera del Movimento 5 Stelle invece che del PD? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Per affinit\u00e0. E per convenzione. L\u2019affinit\u00e0: perch\u00e9 il PD, con tutti i suoi vizi di origine, ovvero di aver interrotto un confronto intellettuale e politico fra le sue tre anime, liberale, cattolica e social-comunista, continua ad avere un’organizzazione. E quindi aveva la chance<\/em> di mettere tale organizzazione al servizio delle sue inusitate articolazioni territoriali. <\/p>\n\n\n\n

L\u2019attrazione erano le opportunit\u00e0 offerte da un partito che ha ancora 300-350.000 iscritti di cui forse ben 100.000 molto attivi, con circa 5.000 unit\u00e0 territoriali. Non ci sono molte organizzazioni in Europa che presentano tale articolazione territoriale. Quindi a mio parere il PD nascondeva un potenziale enorme, che pareva poter essere utilizzato per ricostruire un partito moderno. Matteo Renzi, mentre governava per un breve periodo in modo incontrastato, avrebbe forse potuto tollerare \u2013 non dico condividere \u2013 una simile sperimentazione, apparentemente affine al suo metodo iniziale. Ma nel pensare ci\u00f2 ho ingenuamente sottovalutato il grado di minacciosit\u00e0 e la lontananza culturale della mia proposta: ci\u00f2 che la fa respingere \u00e8 che il partito-palestra che ho in mente \u2013 l\u2019affidamento ai circoli di un ruolo forte nella formazione e selezione della classe dirigente \u2013 costituiva una minaccia troppo forte per la classe dirigente stessa, la classe dirigente auto-cooptata e cooptante. <\/p>\n\n\n\n

Lei oggi coordina<\/strong> una rete di associazioni \u2013 Forum Disuguaglianze Diversit\u00e0. Qual \u00e8 la differenza fondamentale fra partito, associazioni e reti di associazioni? Quali sono i pro e i contro delle reti di associazioni nel contesto attuale rispetto ai partiti esistenti?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

L’esperienza a cui abbiamo dato vita \u00e8 la risposta a una domanda. In Italia, prima di noi, era nata l’Alleanza contro la povert\u00e0<\/a>; poi, insieme a noi, \u00e8 nata ASviS \u2013 Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile<\/a>, diretta fino alla sua nomina a Ministro dal mio amico Enrico Giovannini e costruita per promuovere il cambio di paradigma disegnato dai 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile; e prima ancora la Rete dei Numeri pari<\/a>, che raccoglie 400 punti di mutualismo italiano, occupanti di case, fabbriche autogestite, beni sottratti alla mafia. E altre Alleanze ancora.  Sono reti molto diverse, alcune pi\u00f9 istituzionali, alcune pi\u00f9 radicali o antagoniste. La nostra, il Forum DD, \u00e8 un’organizzazione composta da otto robuste organizzazioni di cittadinanza, di dimensione e background<\/em> culturale assai diverso, e da cento accademici.<\/p>\n\n\n\n

Queste organizzazioni praticano<\/em> il confronto acceso e lo sperimentalismo democratico, migliorando le condizioni di vita di singole persone o di comunit\u00e0 in migliaia di luoghi del paese. Ma non hanno effetti di sistema. E sono consapevoli che gli elementi di sistema che sono incorporati nelle proprie pratiche, nei propri metodi, non arrivano nei palazzi delle istituzioni.<\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Bench\u00e8 diverse nella natura, tutte mirano a colmare il vuoto di confronto culturale-politico di sistema lasciato dai partiti. In Italia, accanto ai sindacati e alle associazioni imprenditoriali, operano decine di migliaia di organizzazioni di cittadinanza, animate dal 3,5% degli italiani \u2013 come volontari (2 milioni e mezzo) o come occupati (mezzo milione). Queste organizzazioni praticano<\/em> il confronto acceso e lo sperimentalismo democratico, migliorando le condizioni di vita di singole persone o di comunit\u00e0 in migliaia di luoghi del paese. Ma non hanno effetti di sistema. E sono consapevoli che gli elementi di sistema che sono incorporati nelle proprie pratiche, nei propri metodi, non arrivano nei palazzi delle istituzioni. Non cambiano il sistema. Ecco, \u00e8 alla domanda di farsi sentire dalle istituzioni, di cambiare rotta e paradigma al sistema, che queste Alleanze rispondono. Sanno di non avere a portata di mano partiti nei quali riversare le proprie idee; da qui la volont\u00e0 di organizzarsi in alleanze. Per influenzare il sistema. Per fare sistema.<\/p>\n\n\n\n

Quali sono le novit\u00e0 e peculiarit\u00e0 di ForumDD ?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

In primis, <\/em>il fatto di corrispondere alla domanda di cui le ho detto, combinandola con una forte presenza della ricerca e dell\u2019Accademia. Le altre strutture che ho nominato hanno anche loro ricercatori; noi abbiamo una presenza e uno approccio letteralmente bipolare da questo punto di vista. Teorizziamo che ci siano dei \u201csaperi del fare\u201d e dei \u201csaperi dell\u2019Accademia e della ricerca\u201d e il rapporto tra questi due saperi non \u00e8 assolutamente pensato in modo gerarchizzato.<\/p>\n\n\n\n

Ma i vostri lavori e proposte hanno un effettivo impatto?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Per dire qual \u00e8 l’impatto, bisogna dire prima qual \u00e8 l’obiettivo. Rispetto a tutto quello di cui abbiamo discusso finora, l’obiettivo \u00e8 duplice: ricostruire una visione, partendo dai due saperi; e formulare proposte con i piedi ben piantati per terra, che possano camminare. Noi abbiamo ricostruito una visione che \u00e8 fondata sul concetto di giustizia sociale di Amartya Sen, colto dal binomio \u201cdisuguaglianze\u201d e \u201cdiversit\u00e0\u201d.  Essere uguali vuol dire avere la stessa chance di vivere la vita che \u00e8 nelle proprie corde vivere, di esprimere la propria diversit\u00e0, non avere ostacoli al \u201cpieno sviluppo della persona umana\u201d, come scrive l\u2019art. 3 della nostra Costituzione. <\/span>16<\/sup><\/a><\/span><\/span><\/p>\n\n\n\n

La nostra diagnosi delle disuguaglianze \u00e8 quella che ho prima descritto. Se esse sono, come sono, frutto di scelte, possiamo aggredirle, cambiando tali scelte e tornando a modificare il senso comune. La visione del \u201cfuturo pi\u00f9 giusto<\/a>\u201d \u2013 il titolo del nostro libro per il Mulino <\/em>chiuso in piena pandemia <\/span>17<\/sup><\/a><\/span><\/span> \u2013 che ne discende produce proposte concrete, per raggiungere questo futuro. Nei primi tre anni ci siamo concentrati su azioni a tutti i livelli di governo<\/a> che possano radicalmente ridurre le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza e del controllo sulle decisioni. A livello internazionale: cambiare l’accordo TRIPs del 1994. A livello europeo: costruire una grande impresa pubblica europea per il digitale e la salute – lo scriviamo nel marzo 2019, prima dell’esplosione di Covid-19 e della proposta HERA della Presidente von der Leyen. Al livello nazionale: modificare le tasse di successione e introdurre un\u2019eredit\u00e0 universale per tutti i giovani; orientare l\u2019uso del digitale alla giustizia sociale; promuovere l\u2019impatto delle universit\u00e0 sulla giustizia sociale modificandone la valutazione. Al livello territoriale: costruire, territorio per territorio, consigli del lavoro e della cittadinanza che affianchino i consigli di amministrazione; cambiare radicalmente il metodo di costruzione e attuazione delle politiche pubbliche in modo place-based<\/em> rivolto ai luoghi, partendo dalla costruzione di comunit\u00e0 educanti per la scuola, per la salute, per la mobilit\u00e0. E altro ancora. Non ci siamo fermati alle proposte, ma  lavoriamo per la loro messa a terra<\/a>.<\/p>\n\n\n\n

Ci proponiamo dunque di introdurre contenuti e<\/em> di usarli. Ci prefiggiamo<\/a> anche di cambiare progressivamente, come ha invitato a fare Anthony Atkinson, il senso comune delle parole<\/a>. Perch\u00e9 senza cambiare il senso comune le politiche sono inutili, non passano. E\u2019 un impegno che esercitiamo culturalmente attraverso tutti i canali e le grandi reti di rapporti, soprattutto con le associazioni giovanili – ad esempio, abbiamo realizzato 136 ore ininterrotte, ovvero 16 giorni di webinar<\/em> in cui sono passate 200mila persone, e dove 13mila persone hanno speso in media un\u2019ora. Trasmettere contenuti, cambiare il senso comune, ma anche sperimentare operazioni sui territori. Costruire le officine municipali \u2013 una risposta alla diffusione del lavoro a distanza – a Napoli, realizzare i consigli del lavoro e delle cittadinanze in Emilia Romagna, lavorare con la Chiesa Valdese in Piemonte. L’altro giorno ad esempio parlavo con una rete di 50 associazione siciliane. Lavorare con organizzazioni che possono fare, non solo influenzare. <\/p>\n\n\n\n

Ci proponiamo dunque di introdurre contenuti e<\/em> di usarli. Ci prefiggiamo anche di cambiare progressivamente il senso comune delle parole. Perch\u00e9 senza cambiare il senso comune le politiche sono inutili.<\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

E per quanto riguarda enti pi\u00f9 prettamente politici – o esecutivi?<\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Si, certo, per ogni proposta abbiamo individuato anche gli interlocutori istituzionali, a livello del governo nazionale o di amministrazioni territoriali. Lo abbiamo fatto non solo sulle nostre proposte strutturali, ma su nuove proposte indotte dallo scoppio della pandemia. Appena esplosa, abbiamo fatto notare che le misure di emergenza escludevano circa 6,5 milioni di lavoratori, irregolari e precari; abbiamo chiesto l’introduzione di un reddito di emergenza, ottenendo uno strumento che non \u00e8 efficace come quello che chiedevamo, ma che comunque aiuta attualmente all\u2019incirca 750.000 persone, che sarebbero state escluse da ogni aiuto, e che avremmo spinto nelle mani dell’usura. Come ForumDD, siamo in un gruppo di lavoro del Ministero dell\u2019Universit\u00e0 e della Ricerca, insieme ai rettori delle universit\u00e0, e abbiamo appena ottenuto un\u2019importante modifica nella valutazione del loro impatto sociale<\/a>. Con l\u2019approvazione di Next Generation EU<\/em>, abbiamo iniziato una pressione costante sul governo, sin dal luglio 2020, perch\u00e9 il Piano di Ripresa e Resilienza dell\u2019Italia<\/a> (circa 209 miliardi di euro) sia disegnato secondo i principi, gli obiettivi, il metodo in cui crediamo.<\/p>\n\n\n\n

Dato lo scenario attuale in Italia che cosa pensate di fare con Forum? Ha pensato di trasformarlo in un partito? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Ad ottobre abbiamo approvato un documento politico<\/a> in cui abbiamo scritto cosa NON<\/em> vogliamo diventare: non vogliamo diventare un partito, perch\u00e9 vogliamo produrre contenuti, visione e influenzare. Non intendiamo influenzare i partiti esistenti, perch\u00e9 ne abbiamo sperimentato l\u2019insuccesso. Abbiamo invece deciso di accrescere la pressione su singoli membri degli esecutivi, pi\u00f9 sensibili, e di rafforzare l\u2019impegno formativo. E, ancora, di impegnarci per formare e promuovere candidati progressisti nelle prossime elezioni amministrative – probabilmente a giugno o a settembre. Stiamo portando avanti una sperimentazione con una piccola ma creativa associazione di politologi e attivisti gi\u00e0 esistente, che si chiama “Ti candido<\/a>“: l\u2019idea \u00e8 formare e promuovere candidati affini alle idee che abbiamo, dandogli strumenti di metodo e <\/em>di merito con cui potersi candidare e aiutandoli nella ricerca di mezzi finanziari. Questo \u00e8 il nostro massimo engagement<\/em> dal punto di vista del processo elettorale. <\/p>\n\n\n\n

Abbiamo infine un rapporto con tutti i parlamentari, di ogni parte, anche di destra; in particolare, con un gruppo di parlamentari progressisti, organizzati in una piccola associazione che si chiama “Movimenta”. Sono parlamentari che si sentono lontani dai partiti esistenti e trovano forza nel lavoro fra loro e con noi e altre associazioni o reti. Si tratta di sperimentazioni, operazioni pilota per aumentare la capacit\u00e0 di diffusione delle idee di cambiamento. <\/p>\n\n\n\n

Oggi si nota, su scala continentale, una convergenza su una linea progressista nei grandi centri urbani. Tutte le grandi citt\u00e0 privilegiano dei candidati sindaci abbastanza simili dal punto di vista del posizionamento politico, sia sulle questioni delle diseguaglianze, che le questioni ecologiche e la questione del ruolo d’azione pubblica. Questo fenomeno \u00e8 altrettanto sorprendente perch\u00e9 \u00e8 verificabile sia a Budapest, che a Varsavia, Milano, Barcellona, Parigi… Come si pu\u00f2 pensare di strutturare un progressismo alternativo che non sia portato avanti dalle grandi citt\u00e0? <\/strong><\/h3>\n\n\n\n

Da questo punto di vista, l’Italia, per le ragioni che ho detto, si trova in una posizione migliore di altri paesi. Il progressismo \u2013 non limitato a quello urbano \u2013 pu\u00f2 avere opportunit\u00e0 anche nelle aree rurali e interne del paese, esprimendosi con figure assai interessanti, giovani, professioniste, donne. Non \u00e8 un fenomeno di sistema, ma neppure circoscritto. Tocca la Liguria governata dalla destra, le montagne dell’Appennino tosco-emiliano, le aree interne della Sicilia, la difficilissima Calabria, le zone di confine del Friuli Venezia Giulia. Ho citato queste zone non a caso, perch\u00e9 l’Italia \u00e8 un paese rugoso e molto diverso dalla norma europea. Assomiglia all\u2019Austria, e a pochi altri paesi.  <\/p>\n\n\n\n

Da questo punto di vista dunque, esistono opportunit\u00e0: non a caso ho ritenuto, nel mio ruolo da Ministro per la coesione territoriale durante il governo Monti, di lanciare la Strategia per le aree interne<\/a> nel 2012, di farne uno dei capisaldi del governo. Oggi l’Italia ha 72 aree-progetto che organizzano 1.050 comuni, coprendo il 17% del territorio nazionale, due milioni di abitanti. Non abbiamo seguito la strada errata di spingere questi comuni a sciogliersi e fondersi: invece, li abbiamo spinti a costruire strategie comuni, condividendo servizi, scegliendo fra i Sindaci un leader, costruendo una visione di lungo termine attraverso il confronto con cittadine e cittadini. Ne sono spesso emerse strategie visionarie miranti alla valorizzazione, a fermare il deflusso demografico, a ridare riconoscimento e ruolo ai territori. Quindi l’Italia ha una chance<\/em> sia rispetto alla crisi climatica, sia rispetto all\u2019emergenza e agli effetti di lungo termine della crisi pandemica, che tendono a ridisegnare la gerarchia di valori, a sospingere fuori dalle citt\u00e0 giovani coppie, gruppi di creativi, tecnici e nuovi-contadini e nuove-contadine. Non \u00e8 un caso che un architetto italiano come Stefano Boeri e altre archistar <\/em>parlino sempre pi\u00f9 di aree rurali, pensino in termini rurali. E la cosa importante \u00e8 che le grandi intelligenze non trovino territori pronti a essere colonizzati, ma territori vivaci che esprimono classi dirigenti. Quindi l’Italia ha una chance<\/em> significativa di scalzare la deriva autoritaria dai territori rurali e farne luogo di sviluppo giusto e sostenibile. <\/p>\n\n\n\n

L’Italia, anche sul piano dell\u2019identit\u00e0 nazionale, non \u00e8 rappresentata dalle grandi citt\u00e0 \u2013 fra loro cos\u00ec profondamente diverse e difficilmente comunicanti \u2013 ma dalla sua rugosit\u00e0, dalle specificit\u00e0, comuni diversit\u00e0 e comuni opportunit\u00e0 dei suoi territori interni. Quindi l’Italia ha una chance<\/em> significativa di scalzare la deriva autoritaria dai territori rurali e farne luogo di sviluppo giusto e sostenibile.<\/p>fabrizio barca<\/cite><\/blockquote><\/figure>\n\n\n\n

Non dico che ci\u00f2 stia gi\u00e0 succedendo, ma \u00e8 tuttavia un processo in corso, su cui non a caso si guarda all\u2019esperienza italiana in tutta Europa e nell\u2019OCSE. Come non \u00e8 casuale che ForumDD abbia scelto di lavorare, oltre che sui consiglieri comunali delle grandi citt\u00e0, anche sui sindaci delle piccole. Perch\u00e9 l’Italia, anche sul piano dell\u2019identit\u00e0 nazionale, non \u00e8 rappresentata dalle grandi citt\u00e0 \u2013 fra loro cos\u00ec profondamente diverse e difficilmente comunicanti \u2013 ma dalla sua rugosit\u00e0, dalle specificit\u00e0, comuni diversit\u00e0 e comuni opportunit\u00e0 dei suoi territori interni. Torino e Palermo faticano a dialogare, a differenza delle Madonie  <\/span>18<\/sup><\/a><\/span><\/span> e della Val Maira  <\/span>19<\/sup><\/a><\/span><\/span>, perch\u00e9 queste ultime avvertono simili problemi e<\/em> simili aspirazioni. Hanno una cultura molto pi\u00f9 simile di quanto non l’abbiano i rispettivi capoluoghi. Questa \u00e8 una carta del mio paese. Le condizioni oggettive esistono. La piattaforma istituzionale anche. Sta alla classe dirigente nazionale coglierlo.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Abbiamo incontrato Fabrizio Barca, statistico ed economista, coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversit\u00e0. Aldil\u00e0 dei ruoli istituzionali da lui ricoperti \u2013 dalla Banca d\u2019Italia all\u2019OCSE, dal Ministero Economia e Finanze alla carica da Ministro per la coesione territoriale, Barca si presenta innanzitutto come portatore di una visione e di un\u2019etica chiara e convinta, che fa della lotta alle diseguaglianze il punto di partenza per ogni discussione. 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