Arriva quel periodo dell’anno in cui la legge di bilancio occupa stabilmente il dibattito pubblico italiano. Solo che stavolta, essendoci davvero poche risorse, l’esecutivo deve far ricorso al marketing politico e quindi parlare d’altro. Le elezioni europee dell’anno prossimo aiutano a sviare l’attenzione, ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (Lega) non è esente da preoccupazioni: «Faremo una legge di bilancio prudente e che tenga conto delle regole di finanza pubblica», ha detto, invitando gli alleati di governo a non esagerare con le richieste. 

Anche perché c’è già da pagare il conto di scelte compiute da esecutivi precedenti, come il Superbonus 110%, che rimborsa integralmente i contribuenti per le spese sulle ristrutturazioni energetiche, remunerando il loro investimento del 10%. La misura è stata abrogata dal governo in carica, ed è stata molto contestata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma i suoi effetti graveranno sui conti pubblici per circa 100 miliardi in questa legislatura. Il compito di Giorgetti è doppiamente delicato. Perché il ministro, assieme al profilo tecnico (è laureato in Economia alla Bocconi), mantiene un solido ruolo politico. 

È in Parlamento dal 1996, è stato presidente della Commissione Bilancio della Camera, ruolo grazie al quale ha potuto conoscere tutti gli attori istituzionali e portatori di interesse economico-finanziari. È in quell’occasione che ha potuto conoscere Mario Draghi ben prima che diventasse presidente del Consiglio, sviluppando con l’ex presidente della Bce un consolidato rapporto, anche personale. Oggi all’Economia, è dunque responsabile della credibilità finanziaria del paese più indebitato d’Europa dopo la Grecia, in un contesto di rallentamento della crescita e aumento dei tassi di interesse. Allo stesso tempo è vicesegretario di Matteo Salvini, leader della Lega e ministro delle Infrastrutture, in piena campagna elettorale per le elezioni europee del 2024, come dimostrano le continue sortite, per esempio sulla gestione dei migranti, contro lo stesso governo di cui fa parte. Il doppio ruolo tecnico-politico alimenta la narrazione di moderato, capace di stemperare le uscite più azzardate di Meloni e Salvini, ormai in aperta competizione. 

Giorgetti, apprezzato negli anni per le sue qualità tecnico-politiche e la sua proverbiale riservatezza, prova a difendersi assumendo un ruolo più pubblico: rilascia persino delle interviste, riunendo i giornalisti per spiegare la linea di politica economica. Ma è davvero la sua linea? Difficile dirlo, anche perché gli mancano le caratteristiche adeguate per una piena leadership. 

Si è parlato di lui in passato come di un’alternativa a Salvini, ma in più di un’occasione (di recente con la tassa sugli extra profitti delle banche, quando a giugno smentiva l’ipotesi di un provvedimento che invece poche settimane dopo c’è stato) si è dovuto piegare alle esigenze tattiche di turno. Un comportamento che non si sposa con un futuro da capo politico, e che prefigura, forse, una certa arrendevolezza quando la discussione sulla legge di bilancio entrerà nel vivo e le richieste di sforare i parametri concordati con l’Unione europea saranno più pressanti. In molti ritengono che sia l’unico in grado di tenere a freno la matrice populista e sovranista del governo, ma quella di Giorgetti non è, per dirla con Antonio Funiciello, una leadership che attraversa i deserti.